IL CORONAVIRUS E L’UTILITÀ DELLA “SOCIOLOGIA DELLE CATASTROFI” (O DEI DISASTRI)

di Antonio Sposito

Per comprendere in maniera più profonda il portato di un disastro o di una catastrofe come quella provocata dall’epidemia di Coronavirus, partiamo dall’etimologia dei due termini, utilizzabili indifferentemente, come genitivo del lemma Sociologia, in ambedue i modi.

DISASTRO 

Proviene dal latino “astrum” (stella) + il prefisso “dis”, la congiunzione delle due voci significa letteralmente “rottura di una stella”, “perdita di luce”, “oscurità”. Per una società vuol dire precipitare nel buio esistenziale, nel caos.

CATASTROFE

Deriva dal geco “katastrophḗ” (capovolgimento), il prefisso “Kata” vuol dire “giù”, “in basso”, “contro”, mentre la voce “strofa” è associabile al ritmo di una poesia. L’unificazione dei due termini sta a significare una “rottura del ritmo”. Ma di quale ritmo? Quello della vita quotidiana, che appunto si “capovolge”, si destruttura.

COME POSSONO ESSERE CLASSIFICATI I DISASTRI?

I disastri (o catastrofi) si classificano come “naturali” o “antropici”. Un “disastro naturale” è causato da terremoti, frane, inondazioni. ecc.; un “disastro antropico” può essere originato dall’esplosione, ad esempio, di una fabbrica di materie chimiche, di una centrale nucleare radioattiva o da altri fenomeni artificiali generati dall’uomo. Tuttavia, poiché dalla rivoluzione industriale in poi il dominio dell’uomo sulla natura e la conseguente manipolazione della stessa sono aumentati in modo esponenziale, in questa sede, mi sovviene quasi per obbligo, introdurre una terza tipologia ibridata: il “disastro antropo-naturale”, come possono esserlo, ad esempio, frane e valanghe determinate da un eccessivo disboscamento. In questo caso, la catastrofe si presenta come naturale, quando in realtà è stata provocata dalla rottura degli equilibri ambientali da parte dell’uomo.

Allo stato attuale delle conoscenze l’epidemia di Coronavirus è classificata come “disastro naturale”, anche se esistono ipotesi di manipolazione umana del virus, che, se provata, ridefinirebbe la stessa epidemia come “disastro antropo-naturale”. Per essere ancora più chiari nell’esplicazione del costrutto “catastrofe”, ad esempio, una rivoluzione politico-sociale che produce vittime non è classificabile come “disastro”, altrimenti il termine assumerebbe connotazioni ideologiche di parte.

QUALI SONO LE RICADUTE SOCIALI DI UNA QUALSIVOGLIA CATASTROFE?”

Una catastrofe naturale”, “antropica” o “antropo-naturale” è un fenomeno che ha conseguenze sociali dirompenti perché determina uno sconvolgimento della vita quotidiana (rottura della routine) e dell’identità collettiva, i cui effetti investono le strutture comunitarie. La frantumazione dei livelli di realtà causata dal “disastro” fa entrare le persone in una dimensione “altra”, surreale, come quella che stiamo vivendo in questi giorni da confinati in casa per evitare il contagio virale. Lo “shock da disastro” produce, a vari livelli di gravità, un disturbo da stress post-traumatico, vissuto sia individualmente sia collettivamente, caratterizzato da emozioni quali paura, rabbia, tristezza.

Anche la percezione collettiva di una minaccia di un disastro vissuta come imminente o della sua reiterazione genera ansia anticipatoria e allarmismo sociale più o meno giustificato a seconda delle capacità politiche di gestione. La capacità delle istituzioni di governare la crisi inoculata da una catastrofe nel sistema sociale, va stimata in riferimento alla rapidità e alla qualità delle risposte offerte.

L’UTILITÀ DELLA “SOCIOLOGIA DELLE CATASTROFI” (O DEI DISASTRI) E IL RUOLO DEI SOCIOLOGI.

E’ una branca della Sociologia che indaga l’essere umano quando lo spazio condiviso socialmente viene colpito da un evento traumatico come da classificazione. Nello specifico, l’obiettivo della ricerca sociologica empirica sui “disastri” è evidenziare la matrice sociale dei comportamenti individuali agiti in uno stato di emergenza. L’”analisi valutativa” sociologica è lo strumento in grado di misurare la tempestività e l’adeguatezza delle risposte offerte dal sub-sistema politico. A tale scopo, il sociologo nei luoghi disastrati utilizza dati statistici e strumenti di ricerca qualitativa, quali interviste strutturate e semi-strutturate, osservazione partecipante, raccolta di documenti. 

L’indirizzo “strutturalista” affronta le catastrofi applicando l’approccio centrato sull’organizzazione sociale. In tale prospettiva, il ruolo del sociologo va allocato in reti inter-organizzative deputate all’emergenza, in possesso di conoscenze e competenze interdisciplinari integrate, in cui lo stesso sociologo svolge la duplice funzione sia di “facilitatore sociale”, favorendo la creazione di “comunità terapeutiche di auto-aiuto” composte da cittadini da gestire, sia di coordinatore e conduttore della comunicazione di crisi.

Nell’approccio centrato sull’organizzazione sociale l’unità di analisi non è più il singolo individuo ma gruppi come famiglie, associazioni, istituzioni pubbliche e private, volontari, aggregazioni spontanee di cittadini, che negli interventi di aiuto vanno integrati tra loro in modalità flessibili. Dopo un disastro nulla sarà più come prima, la memoria collettiva trasmessa tra le generazioni ne ricorderà gli effetti dirompenti. Il sociologo, nel tentativo di ricostruire il tessuto sociale e un senso complessivo del vivere quotidiano, aiuta le comunità a “normalizzare”, a saldare la frattura tra continuità e mutamento sociale, colmando, in tal modo, un vuoto esistenziale collettivo. 

Le conoscenze sociologiche concernenti i “disastri”, sistematizzate in sub-aree specifiche e sub-sistemi centrati sul compito, prevedono una sequenza di fasi da gestire da parte delle istituzioni preposte, come risposte da fornire ai cittadini. 

L’UTILITÀ DELLA “SOCIOLOGIA DELLE CATASTROFI” (O DEI DISASTRI) E IL RUOLO DEI SOCIOLOGI.

E’ una branca della Sociologia che indaga l’essere umano quando lo spazio condiviso socialmente viene colpito da un evento traumatico come da classificazione. Nello specifico, l’obiettivo della ricerca sociologica empirica sui “disastri” è evidenziare la matrice sociale dei comportamenti individuali agiti in uno stato di emergenza. L’”analisi valutativa” sociologica è lo strumento in grado di misurare la tempestività e l’adeguatezza delle risposte offerte dal sub-sistema politico. A tale scopo, il sociologo nei luoghi disastrati utilizza dati statistici e strumenti di ricerca qualitativa, quali interviste strutturate e semi-strutturate, osservazione partecipante, raccolta di documenti. 

L’indirizzo “strutturalista” affronta le catastrofi applicando l’approccio centrato sull’organizzazione sociale. In tale prospettiva, il ruolo del sociologo va allocato in reti inter-organizzative deputate all’emergenza, in possesso di conoscenze e competenze interdisciplinari integrate, in cui lo stesso sociologo svolge la duplice funzione sia di “facilitatore sociale”, favorendo la creazione di “comunità terapeutiche di auto-aiuto” composte da cittadini da gestire, sia di coordinatore e conduttore della comunicazione di crisi.

Nell’approccio centrato sull’organizzazione sociale l’unità di analisi non è più il singolo individuo ma gruppi come famiglie, associazioni, istituzioni pubbliche e private, volontari, aggregazioni spontanee di cittadini, che negli interventi di aiuto vanno integrati tra loro in modalità flessibili. Dopo un disastro nulla sarà più come prima, la memoria collettiva trasmessa tra le generazioni ne ricorderà gli effetti dirompenti. Il sociologo, nel tentativo di ricostruire il tessuto sociale e un senso complessivo del vivere quotidiano, aiuta le comunità a “normalizzare”, a saldare la frattura tra continuità e mutamento sociale, colmando, in tal modo, un vuoto esistenziale collettivo. 

Le conoscenze sociologiche concernenti i “disastri”, sistematizzate in sub-aree specifiche e sub-sistemi centrati sul compito, prevedono una sequenza di fasi da gestire da parte delle istituzioni preposte, come risposte da fornire ai cittadini. 

Le fasi sono:

  • Prevenzione e preparazione (disposizioni di sicurezza, verificabilità della minaccia, sistemi di allarme, conoscenza delle prescrizioni e dei divieti relativi ai comportamenti da tenere in caso di emergenza, precedenti esperienze di disastri);
  • Gestione in itinere dell’emergenza (comunicazioni di massa e interpersonali, rafforzamento reciproco tra messaggi dei mass-media e comunicazioni interpersonali, coerenza ed autorevolezza dei messaggi di allarme, gestione del panico, operato delle organizzazioni di intervento , gestione dei conflitti, erogazione dei servizi medici d’emergenza, gruppi di aiuto spontanei, volontariato, attività di ricerca delle vittime e di soccorso);
  • Gestione post-crisi (ripristino dei servizi, misure definitive e provvisorie;
  • Monitoraggio e riabilitazione (controllo dell’utilizzo dei fondi pubblici per le emergenze, attività scientifica di analisi e calcolo delle probabilità di reiterazione o di prima eventualità, recupero delle capacità di azione individuale e collettiva.

Le condizioni politiche, economiche e sociali pre-disastro fungono da indicatori e predittori che consentono di prevedere l’impatto degli effetti post-disastro su una società, amplificando eventuali vulnerabilità latenti o manifeste antecedenti. In tal senso, vanno ponderati elementi strutturali quali: stratificazione e diseguaglianza sociale; qualità delle politiche amministrative e dei piani urbanistici; cultura delle istituzioni e qualità organizzativa; rapporti di potere, clientelismi e criminalità; cultura e senso civico delle reti relazionali (capitale sociale); etica sociale.

Pertanto, in ottica valutativa, in relazione a quanto descritto, si può ragionevolmente sostenere l’esistenza di una correlazione inversamente proporzionale: Quanto più in una struttura sociale i sub-sistemi politico-sociale-economico-“pattern maintenance” (modello di conservazione della coesione sociale) sono organizzati, integrati tra loro ed efficienti, minore sarà l’impatto distruttivo di un disastro e minori saranno le misure restrittive che mortificano la socialità, i diritti dei cittadini e lo sviluppo.

UNA CATASTROFE PUÒ ESSERE UN FATTORE DI MUTAMENTO SOCIALE E SISTEMICO?

Secondo l’OCSE (Organizzazione Cooperazione e Sviluppo Economico) la ripresa post-disastro può diventare una opportunità di cambiamento, attraverso le seguenti modalità: A) dopo aver soddisfatto i bisogni più immediati, pianificare e avviare una strategia di sviluppo integrata, accrescendo la capacità del sub-sistema economico e di welfare mix attraverso la cooperazione tra istituzioni, imprese, comunità, Enti del Terzo Settore; B) attuare strategie di innovazione tecnologica e di diversificazione delle competenze adeguandole alle esigenze del mercato del lavoro; C) ricostruire le identità collettive proteggendo e promuovendo il patrimonio ambientale, culturale e turistico. 

CONCLUSIONI

Come si è appurato la catastrofe che investe una comunità produce anomia, spaesamento, ansia collettiva da gestire politicamente e socialmente. Pertanto, collocandoci all’interno del sistema-paese Italia l’interrogativo sostanziale è: “Il ceto politico italiano è a conoscenza di quanto suggerito dalla “Sociologia delle catastrofi”? “E se così, avrà la volontà di applicarne i dettami durante e dopo l’epidemia di Coronavirus?”

Poiché il virus passa ma la società resta, per evitare nel prosieguo di assistere a tragedie umane ben più durature e gravi di una epidemia, tra cui suicidi, crisi economica dilagante, usura, devianza criminale e “sintomale”, ecc., causate da misure restrittive eccessive e poco equilibrate, forse, sarebbe il caso di ascoltare, oltre ai virologi, anche i sociologi, donne e uomini di scienza in grado di sussurrare all’orecchio del “Dio potere”. 

Antonio Sposito -Sociologo, Docente di Scienze Sociali, Umane e Relazionali, Giornalista


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