WELFARE E DOMANDA SOCIALE NELLA SOCIETA’INDUSTRIALE
“Programma pubblico di riduzione delle diseguaglianze e dei conflitti sociali”, questa potrebbe essere una definizione calzante di welfare state così come ce la propone il sociologo Paolo Zurla, ossia quella “serie di servizi e diritti ritenuti essenziali da uno Stato per rendere il tenore di vita dei propri cittadini accettabile”. Il programma che avrebbe dovuto sanare i costi umani e sociali dell’industrializzazione e costruire una rete protettiva fondata su una solidarietà istituzionalizzata. Se l’obiettivo è stato centrato è difficile dirlo, certo è che si sono fatti tanti passi avanti sul tema dei diritti umani nel ventesimo secolo, ma anche altrettanti passi indietro in quello successivo. Troppe discrasie e contraddizioni sono emerse, ma soprattutto profondi cambiamenti della struttura sociale imporrebbero una ridefinizione del welfare state, non più capace di fronteggiare una domanda sociale completamente trasformata con l’andare del tempo. Sistema sorto come “… dottrina del compromesso riformistico fra meritocrazia ed eguaglianza, fra mercato e integrazione sociale, tende in buona sostanza ad assicurare alla democrazia rappresentativa e all’economia di mercato il consenso delle classi operaie e di quei ceti medi che si sono orientati al socialismo o ad ideologie di riformismo sociale cristiano.” così come ce lo definisce il sociologo Achille Ardigò, questo welfare state non ha più senso, forse perché le classi operaie non esprimono più consenso e i ceti medi non esistono più, travolti dalla crisi della globalizzazione. La società industriale che doveva garantirsi il proprio sviluppo, sostituendosi all’agricoltura nella struttura occupazionale e nella produzione economica e affermando il capitalismo come assetto dominante nell’organizzazione della proprietà, non poteva, al contempo, garantire ad ogni membro della società di godere di uguali diritti.
Il welfare state ha fatto la sua parte ma, via via, si è arreso alla collusione tra finanza e politica, alle cancrene di una economia sempre più intangibile e di una società che, di conseguenza, si complessifica per suturare le ampie ferite. Nel suo sviluppo la società industriale è passata dal fordismo, dall’impiego a tempo indeterminato ed immobilismo sociale, alla società post-industriale degli anni ‘80 nella quale l’organizzazione del lavoro diventò flessibile, l’impiego discontinuo e precario pur con importanti possibilità di scalata sociale. A partire dagli anni ’90 poi subentrò anche una crisi di legittimazione del sistema, appesantita da una sempre più forte crescita delle aspettative che portò a percepire i servizi inefficaci e inefficienti. Agli inizi del nuovo secolo ci ritroviamo lo sviluppo rallentato, un aumento smisurato del debito pubblico e della persecuzione fiscale, mentre instabilità familiare, denatalità ed invecchiamento divengono piaghe delle economie avanzate. Una bomba ad orologeria che ha generato instabilità della spesa sociale e dell’occupazione, disoccupazione ai livelli massimi, gracilità della finanza virtuale e del sistema corrotto che si è creato attorno ad essa, aumento della povertà, vulnerabilità ed esclusione sociale che portano inevitabilmente ad una contrazione del welfare, ormai inefficiente dinanzi al crescere dei bisogni sociali che si trasformano e si complessificano, si intrecciano e si sovrappongono. È così che riemergono i working poors, le patologie della modernità come: tossicodipendenze, stati di malessere e di isolamento e solitudine, malattie mentali e personalità borderline, crescono le tensioni tra livello globale e locale in quanto l’incremento dei flussi migratori mette in discussione gli stessi diritti di cittadinanza. Le congiunture negative dell’economia debilitano ancor più i soggetti deboli come le donne che stentano nell’inserimento lavorativo e quando conoscono il lavoro mal lo conciliano con la gestione della famiglia. I giovani stentano ad avviare percorsi di autonomizzazione per la disoccupazione dilagante e la fragilità lavorativa, ricolma di flessibilità e precarietà, cui si aggiunge un alto indice di dipendenza dalla famiglia che diventa il vero ammortizzatore sociale. Gli anziani e i malati, i disabili sono sempre più afflitti da una nuova serie di bisogni socio-sanitari cui un sistema sanitario obsoleto, basato su strutture ospedaliere ed un sistema assistenziale basato sulla residenzialità o su trasferimenti alle famiglie, non è spesso in grado di rispondere in maniera soddisfacente.
Una situazione sociale perennemente off limits che non si risolve certamente rendendo il lavoratori più deboli nella contrattazione con le imprese o stimolando forme di competizione tra gli stessi o abbassando sempre di più i livelli retributivi, ma affermando i diritti dei lavoratori, restituendo dignità all’istruzione e alla formazione e certezza alla specializzazione, sviluppando la responsabilità sociale d’impresa. Abiurando le politiche passive basate sulla logica dell’indennizzo risarcitorio e promuovendo le politiche attive per il raggiungimento di sempre più alti gradi di autonomia ed autosufficienza, potenziamento delle risorse individuali attraverso la formazione e lo sviluppo di competenze mirate, attraverso la personalizzazione dell’intervento e aiuto diretto nella ricerca di una nuova occupazione e di una migliore inclusione sociale. Non si può certo fronteggiare l’emergenza sanitaria, caratterizzata da un aumento della morbosità e cronicità delle patologie diminuendo la spesa sanitaria, contraendo il ricorso ad esami specialistici o chiudendo gli ospedali, ma abbattendo gli sprechi e falcidiando la corruzione e le speculazioni in modo tale da mantenere servizi e interventi contenendo i costi, commisurando i servizi ai bisogni e rafforzando la collaborazione pubblico-comunità.
In ogni caso s’impone un’attenta verifica ed analisi della nuova domanda sociale sempre più complessa ed articolata, ma non sempre chiara e consapevole, che richiede una competenza nell’ascolto e nella valutazione dei bisogni espressi dalla cittadinanza. Per attuare ciò serve condividere le informazioni,raccogliere dati sull’utenza necessari per monitorare la domanda sociale e per conoscere i bisogni del territorio. Urge porre uno sguardo multiprospettico e multicausale che bypassi la semplice elencazione dei bisogni e fornisca un’ osservazione e lettura della realtà che permetta di identificare e risolvere i problemi. In tal modo si potrà effettuare un’attenta lettura e decodifica della domanda e una prima valutazione condivisa con il cittadino per orientarlo e sostenerlo nel suo percorso di autonomia e per il superamento delle difficoltà che esprime e avviare le nuove frontiere del welfare state.
Davide Franceschiello – Sociologo ANS Calabria (Dirigente Dipartimentale)