Weber e la Gabbia d’Acciaio, una metafora ancora attuale

di Elisabetta Festa

 Nel 1920, moriva il grande scienziato sociale Max Weber. Lasciava un mondo da poco sopravvissuto alla carneficina della prima guerra mondiale e appena uscito dalla controversa Conferenza di pace di Versailles del 1919, cui Weber stesso partecipò come delegato della Germania. Il sociologo era nato nel 1864. Quando morì ne aveva dunque solo 56: fu stroncato dall’epidemia d’influenza spagnola. Un fatto, questo, che lo ricollega al nostro triste presente. Si tratta però solo di uno dei segni del suo legame con noi, perché la sua presenza continua a esercitare un’influenza profonda sul pensiero sociale contemporaneo.

<<== Max Weber

Weber scrisse – e agì – infatti   su tutte le grandi questioni che continuano ad agitare il mondo occidentale in particolare ci soffermeremo ad analizzare la metafora della “gabbia d’acciaio” che egli introdusse parlando della società contemporanea. Con questa espressione ci spiega quanto l’uomo fosse soggetto, ieri come oggi, ad una serie di costrizioni a cui non può sottrarsi, costrizioni che provengono dall’economia capitalistica e dalla burocrazia, due invenzioni che hanno caratterizzato la società moderna. La sfera economica e quella amministrativa, insieme alla sfera pubblica, ci obbligano ad osservare una serie di regole, norme e convenzioni che rendono la nostra vita “ostaggio” di una prigione mentale. Come egli sosteneva   la nostra società è molto più “repressiva” delle società premoderne perché vi è più alienazione derivata dal lavoro e dalle malattie psicologiche che si moltiplicano a causa della repressione di pulsioni e istinti che ci viene imposta. Un altissimo livello di strutturazione sociale oltremodo complesso ci lega tutti in modo indissolubile: ognuno ha il “posto” o ricopre il “ruolo” che la società gli ha assegnato. Esso rappresenta però un qualcosa che non esiste in modo concreto ma che deve essere visto come una posizione “volatile”, un costrutto “mentale” che assume anche connotati fisici in relazione al mondo del lavoro, della famiglia, delle relazioni sociali etc.

Dunque siamo tutti intrappolati   in questa “gabbia d’acciaio” che non vediamo, essa è volatile senza consistenza: è come se avessimo delle coordinate precise nello spazio “fluttuante” in cui viviamo.

La razionalizzazione sociale, economica e politica alla base della nostra società super evoluta non permette nessuna smagliatura, tutto deve essere perfetto ed efficiente come anche il “margine d’errore”, che rientra nella suddetta complessa razionalizzazione.

Per il sociologo tedesco ogni cosa è soggetta al processo di razionalizzazione: i movimenti politici rivoluzionari, le novità culturali, le “spinte centrifughe” presenti in tanti ambiti e tanto altro ancora. La razionalizzazione così intesa è un marchio distintivo dell’era moderna è un processo storico che investe e modifica tutti gli ordinamenti sociali.  Sono i vantaggi pratici a giustificare l’esclusione dall’organizzazione del lavoro di qualsiasi fattore irrazionale, individuale, del sentimento. Egli afferma: “Invece del vecchio coordinatore che è mosso da simpatia, favore, grazia e gratitudine, la cultura moderna ha bisogno per mantenere le sue sovrastrutture, del sostegno dell’emotivamente distaccato e rigoroso esperto professionale. Quindi conclude che un aspetto negativo della razionalizzazione è proprio la spersonalizzazione della società.

Dopo cento anni il suo pensiero è vivissimo ed attuale più che mai anche oggi si parla di sburocratizzazione, di semplificazione, di umanizzazione, conveniamo con lui che le speranze per un futuro migliore per l’umanità siano riposte nelle mani di “eroi carismatici” di “alte personalità” in grado di umanizzare i processi sociali restituendo un ruolo centrale alla dimensione etica.

Weber soffrì per lunghi periodi di acute depressioni, tanto da dover lasciare l’insegnamento accademico per alcune stagioni. In altri periodi fu talmente prolifico da sembrare avvolto da mania. Sono caratteristiche che ce lo rendono più vicino, quasi contemporaneo, avvolto da un’aura di tragica grandezza, lui allora come noi oggi, siamo tutti attanagliati in queste maglie dure che in nome del progresso annientano quotidianamente la nostra identità.

Dott.ssa Elisabetta Festa – Sociologa-
Direttore Laboratorio Sociologico ASI Avellino: “Asirpiniasociolab”-
Vice Presidente ASI Campania –
Presidente Collegio Probiviri ASI nazionale


Lascia un commento

Anti - Spam *

Cerca

Archivio