UNA SOCIETÀ SENZA RICORDO POTRÀ COSTRUIRE UN FUTURO VERO ?
Da poco è stato celebrato il Centesimo anniversario di quella fatidica data nella quale l’Italia entrò nel Primo conflitto Mondiale. A distanza di un secolo, la società si è strutturata prevalentemente sulle aspettative immediate, lasciandosi alle spalle quell’esperienza costata tantissime vite umane e la fervente fase storica, scaturita a seguito del triste evento. Il debolissimo tessuto sociale, venuto fuori da quel conflitto bellico, è stato successivamente interessato dall’evolversi del Regime e dei 20 anni del suo operato. L’insieme dei fattori che hanno generato l’agire quotidiano, sviluppatosi in Italia ed in buona parte d’Europa, hanno contraddistinto la vita di migliaia di persone dando vita a dinamiche di particolare interesse, soprattutto dal punto di vista delle scienze sociali. I numerosi mutamenti venuti alla luce a seguito di questa delicatissima pagina storica sono stati causati anche da altri fenomeni co-dipendenti: primo fra tutti quello dell’emigrazione di massa verso gli Stati Uniti d’America e verso l’Europa Centrale e dalla campagna verso le città. Questi elementi hanno creato nel tempo veri e propri stravolgimenti sociali. La spoliazione demografica e la stratificazione sociale hanno fatto la loro parte all’interno di un’Italia che ha segnato il passo a lungo, mentre le altre nazioni costruivano ricchezza e stabilità economica. Alla luce di tali valutazioni potrebbe apparire fuori luogo riflettere sulla valenza del passato vista la tendenza sociale recentemente conclamata attraverso la definizione di “società liquida” che indicherebbe un cammino verso la direzione opposta. L’argomento proposto, seppur sottoponibile ad una discussione aperta a cause ed effetti, nel rispetto della pluralità di interpretazioni avanzabile dal lettore e pur essendo in controtendenza alla dinamica osservata, merita un minimo di attenzione ed eventualmente può essere utile all’avvio di una controtendenza volta a creare un ponte conoscitivo tra passato, presente e futuro utile soprattutto alle giovani generazioni per poter meglio posizionare le aspettative future. Il cambiamento ha consolidato una parola d’ordine: qualsiasi scelta è dettata unicamente dall’immediatezza. Non c’è tempo per l’attesa. Per questi motivi vengono lasciati pochi spazi alla costruzione di quelle emozioni che afferiscono ai ricordi. La coniugazione dei nostri pensieri è quasi sempre costruita al presente e, forse, per tali motivi, il passato ed il futuro nutrono sempre di più il sentimento della paura e dell’incertezza e perciò vengono evitate. Questo stato d’anima ritrova le proprie origini proprio nel Primo conflitto mondiale e nello stravolgimento che esso ha generato attraverso il vento di guerra, riportato nei pochi filmati rimasti e dalle profonde ferite sociali causate dalle vittime del conflitto. Quasi tutte le famiglie italiane, direttamente o indirettamente, hanno avuto perdite umane. Nella nostra vita esiste un piccolissimo ricordo di quell’evento, tramandato oralmente dai nostri avi e ampliato dai libri di storia e dalle curiosità di quando eravamo bambini e tra i libri delle scuole elementari scoprivamo la crudeltà del genere umano. Per molte generazioni gli effetti di quell’evento sono state ridotte gradatamente durante il secondo dopoguerra a seguito dell’avvento del benessere e dell’industrializzazione dell’Italia. Quel modello di vita, legato al benessere ed allo sviluppo, apparentemente era destinato a non esaurirsi mai. Questa convinzione non è stata utile a comprendere l’aggravarsi di una crisi economica ancora in atto che ha travolto il segmento medio-basso della società, colta improvvisamente dalla contrazione del mercato del lavoro e dal mercato economico. A partire dagli anni ’90, anche la cultura ha iniziato a segnare il passo: la dispersione scolastica, le riforme scolastiche e le nuove disposizioni del mercato del lavoro hanno collocato agli ultimi posti delle graduatorie europee per l’occupazione anche l’Italia del G7. Oggi, l’incognita generata da tali sentimenti creano spazi sociali ridimensionati e la costruzione della diffidenza diviene quell’isolamento alla quale nessuno riesce più a sottrarsi. A fronte di ciò sono stati sviluppati degli anticorpi sociali. Il primo fra tutti diviene il potere di scelta individuale. Questa motivazione ha un fondamento ben chiaro: non essere assoggettati alle scelte altrui ma vivere totalmente quella libertà individuale divenuta ormai l’essenza della società digitale. Tale potere ultimamente si è ripercosso anche nell’espressione di voto attraverso la crescita dell’astensionismo, figlio di una libertà e della mancata condivisione di un sistema sempre di più imbastito sul potere ed eroso dagli scandali continui e dalla crescente corruzione. Inoltre, persiste la volontà di non coniugare al passato ed al futuro gli atti quotidiani della vita. Quest’ultima fase esercita quel distacco che la storia ed i suoi eventi continuano a produrre effetti negativi, soprattutto all’interno di una società culturalmente livellata verso il basso che deve iniziare a fare i conti con una concorrenza sempre più ampia, rintracciabile nei confini dell’Europa. La “società liquida” di cui parla Bauman si è ormai consolidata su questi due elementi. Lo spunto di questa riflessione è nato proprio dal ricordo dell’ingresso dell’Italia nella Prima Guerra Mondiale, fatto transitare molto velocemente dai media e sempre più striminzito nei libri di storia a causa della velocità della comunicazione e dell’immane quantità di informazioni, oggi disponibili a chiunque, che di fatto creano la disinformazione 2.0 proprio per eccesso di notizia. Tutto ciò proietta le masse sociali verso confini sempre più ampi, resi labili proprio dalla penuria di conoscenze storiche, unico e vero pilastro del sapere spendibile nel futuro.
Francesco Rao -Sociologo