Troppa violenza nella “nostra” società
Editoriale di Barbara Conti *
Ogni giorno si apprende dai giornali una notizia che riguarda un episodio di violenza, nella maggior parte dei casi la violenza è rivolta verso le donne. Molto spesso questa violenza sfocia in tragedia. Dal mese di gennaio ad oggi sono state uccise 109 donne: ogni tre giorni viene uccisa una donna. Questo dato deve fare riflettere attentamente: cosa ha portato la società ad arrivare fino a questo punto? E come si può intervenire per combattere le diverse forme di violenza?
Dal punto di vista sociologico, la violenza è un comportamento aggressivo e volontario rivolto contro determinate persone con l’intenzione di ferire o uccidere, arrecare un danno oppure sottomettere al proprio dominio la volontà di un altro individuo. Violenza è dunque ogni forma di abuso di potere e controllo che si può manifestare come sopruso fisico, sessuale, economico, psicologico o violenza di tipo religioso. Non esiste un solo tipo di violenza. I vari tipi di violenza possono presentarsi isolatamente, oppure, come accade nella maggior parte dei casi, sono combinati insieme. La violenza più diffusa è sicuramente quella all’interno delle relazioni affettive in ogni società e cultura, ed ha le proprie radici nella millenaria disparità di diritti e sottomissione delle donne nella società patriarcale. Si assiste sempre più anche ad un incremento della violenza fra i giovani, che si scagliano contro i loro coetanei o addirittura contro un semplice passante per strada o un soggetto indifeso. Per non parlare della violenza sui luoghi di lavoro, litigi che spesso finiscono in tragedia per una competizione lavorativa o per disguidi che si sarebbero potuti risolvere semplicemente con il dialogo. È qui uno dei problemi della nostra società: il dialogo. Non si dialoga più nemmeno col vicino di casa, i ragazzi dialogano sulle chat dei loro telefonini trasportando nel virtuale tutto ciò che invece dovrebbe essere reale. L’incontro, le relazioni nella rete sfociano spesso in atti di discriminazione, bullismo e nei casi più gravi, in violenza verso gli altri.La violenza sotto qualsiasi forma ha sempre e comunque gravi ed importanti conseguenze, sia sulla salute fisica sia su quella psicologica di chi la subisce, conseguenze che si manifestano nel breve periodo ma anche e soprattutto nel lungo periodo, se non si interviene precocemente.
Si possono distinguere diversi tipi di Violenza:
1) Violenza fisica
Rappresenta ogni forma di violenza contro il corpo o la proprietà. Si riferisce all’uso di qualsiasi azione destinata a far male e/o spaventare qualcuno. Le aggressioni possono essere evidenti, ma a volte si rivolgono a qualcosa cui la persone tiene, ad esempio oggetti personali, animali, mobili o cose che sono necessarie alla persona.
2) Violenza psicologica
Consiste nella mancanza di rispetto verso la persona oggetto di violenza, offendendo e mortificando la sua dignità. Questo tipo di violenza può manifestarsi da sola , ma è sempre presente anche in tutte le altre forme di violenza. E’ quella che generalmente si manifesta per prima e poi favorisce lo svilupparsi delle altre forme. E’ una violenza meno visibile perchè non lascia segni esterni sul corpo, ma lascia dei segni indelebili nell’ aspetto interiore, segni a volte anche più gravi di quelli esteriori: spesso chi subisce questo tipo di violenza finisce con il percepirsi con gli occhi di chi perpetra la violenza. Si parla in questo caso di veri e propri abusi psicologici come intimidazioni, umiliazioni pubbliche o private, continue svalutazioni, ricatti, controllo delle scelte personali e delle relazioni sociali fino ad indurre la persona ad allontanarsi da amici e parenti e ad isolarsi da tutti.
3) Violenza sessuale
Indica il coinvolgimento in attività sessuali senza consenso. Qualsiasi atto sessuale, o tentativo di atto sessuale, contro una persona con l’uso della forza.
4) Violenza economica
Questo tipo di violenza agisce come forma di controllo sull’autonomia economica di una persona. È spesso perpetrata dall’uomo nei confronti della donna. E’ difficile da rilevare e anche le vittime spesso non ne hanno consapevolezza. Comprende diverse forme di controllo economico che consistono non solo nel sottrarre o impedire l’accesso al denaro o ad altre risorse fondamentali, ma anche nell’ostacolare il lavoro della donna, impedendole di fruire delle opportunità e costringendo la persona a trovarsi inevitabilmente in una situazione di dipendenza che la priva della possibilità di decidere autonomamente.
5) violenza religiosa
Questo tipo di violenza si manifesta spesso nelle coppie miste: è una mancanza di rispetto verso la sfera religiosa o spirituale, quando non permette alla persona di esercitare le pratiche del suo credo religioso o vengono imposte le proprie.
6) Stalking
Anche lo stalking rientra nei comportamenti violenti e consiste in qualsiasi atto che va a ledere la libertà e la sicurezza. L’autore di questo tipo di violenza diventa un controllore sulla vittima e su tutte le azioni della sua vita quotidiana. E’ un tipo di violenza riconosciuta da pochi anni in Italia a livello normativo. Spesso si verifica quando una donna decide di interrompere la relazione con l’uomo. A volte accade anche al contrario, cioè che è la donna a perseguitare l’uomo dopo una relazione finita. Questo tipo di comportamento spesso precede i femminicidi o tentati femminicidi/omicidi. Si può manifestare con: invio indesiderato e quotidiano di regali di ogni genere, pedinamenti, minacce telefoniche, appostamenti presso l’abitazione, il luogo di lavoro o altri luoghi frequentati abitualmente dalla vittima.
Alle radici della violenza.
È risaputo che i comportamenti aggressivi sono innati nell’essere umano ed ereditati dal mondo animale per garantire alle origini la sua sopravvivenza. Nelle prime forme di società, infatti, la violenza è stata una costante abbastanza diffusa e praticata ma era un tipo di violenza messa in atto per un fine ben preciso: la sopravvivenza dell’uomo. L’Homo abilis la manifesta quando comincia a produrre degli utensili da usare per la vita domestica, per la caccia e per gli scontri a carattere tribale. Con l’apparire dell’Homo sapiens inizia a svilupparsi una cultura che porta alla nascita di forme di pensiero e di comunicazione; in questa fase vengono inventati mezzi di cooperazione attraverso relazioni sociali, basate su regole e divieti che riguardano l’allevamento dei piccoli, la difesa collettiva, l’attività sessuale di coppia, il sorgere della prima famiglia, imponendo anche i primi divieti (“tabù”) come l’incesto e il cannibalismo e la proibizione della violenza all’interno del gruppo. Si accentua la divisione dei compiti: l’uomo si dedica alla caccia e a procurare il cibo e la donna si occupa della cura dei figli. Nell’età moderna con la nascita dello Stato fondato sulla separazione dei poteri legislativo, esecutivo e giudiziario, si riconosce un monopolio della forza, che prevede un utilizzo legittimo della violenza in forme e situazioni stabilite dalla legge, al fine di garantire una sorta di controllo della violenza stessa all’interno della società. In tutte le società, strutturate secondo il principio d’autorità, esistono norme morali, leggi giuridiche e regole diverse che limitano l’autonomia assoluta del cittadino, per cui ogni individuo, che vive all’interno di una comunità, deve riconoscere l’esistenza di altri individui, i quali hanno interessi e bisogni che possono coincidere o contrastare con i suoi. Pertanto esiste in questo tipo di stato, un ordine costituito di regole che consentono la convivenza comune e tendono a disciplinare ogni forma di attività umana. A partire dal Novecento c’è la terribile violenza perpetrata durante le due guerre mondiali e con il dramma dell’Olocausto. In questo periodo si è però verificato un fenomeno positivo: la diminuzione delle manifestazioni violente individuali soprattutto per quanto riguarda la violenza mortale (omicidi). Nel nostro secolo invece tutto è cambiato nuovamente: continuano a manifestarsi varie forme di violenza. La rincorsa al successo e all’affermazione dei singoli, l’apparenza, anche a costo di danneggiare altre persone, l’individualità, l’egoismo, l’egocentrismo, portano gli individui ad una serie di frustrazioni, che si scatenano poi in tensioni aggressive. Nella vita sociale e politica delle attuali società si assiste a forme di competizione che favoriscono l’aggressività fino ad arrivare a vere e proprie lotte, producendo gravi fenomeni negativi all’interno dell’istituzione familiare e nei processi di socializzazione delle nuove generazioni. Tutto questo rende difficile una libera formazione della personalità con tutte le conseguenze che ne derivano.
In questo scenario come si può fronteggiare la violenza?
In primis è necessario recuperare quei codici di comportamento che esaltino le regole di una convivenza civile. La prima istituzione su cui è necessario intervenire è sicuramente la famiglia, che rappresenta la principale agenzia educativa, dove però spesso continuano a essere presenti episodi negativi, forme di violenza fisica e psicologica che colpiscono i figli e il coniuge e che spesso si mascherano dietro aspetti di violenza invisibile. In particolare deve essere repressa ogni forma di violenza contro i minori e contro le donne che si verificano ahimè proprio nella famiglia.
In secondo luogo c’è la scuola che rimane l’istituzione pubblica più diffusa sul territorio, dove è possibile impartire un’efficace educazione contro la violenza, capace di ostacolare le pulsioni esterne che provengono dalla società, e fronteggiare con gli opportuni interventi i fenomeni di delinquenza minorile e di bullismo, fenomeni sempre più diffusi, messi in atto contro alunni ma a volte anche contro il personale della scuola.
Inoltre è fondamentale intervenire anche sul gruppo delle giovani generazioni, il gruppo dei pari, che ha un’enorme importanza nella formazione della personalità giovanile, perché al suo interno i giovani passano molta parte del loro tempo libero; si gioca in questo gruppo buona parte del loro futuro perché esso può essere un forte centro di aggregazione e di socializzazione positiva, ma può anche trasformarsi in luogo di origine dei comportamenti violenti spesso immotivati, messi in atto da individui che, presi singolarmente, non eseguirebbero delle pratiche violente. Il gruppo quindi che, da sano può trasformarsi in malato e pericoloso. È qui che bisogna stare attenti, fare in modo con diversi interventi che questa trasformazione del gruppo non avvenga. Essere più vigili sia da parte dei giovani stessi che fanno parte del gruppo, sia da parte delle loro famiglie e degli educatori che sono quotidianamente a contatto con loro e che devono essere in grado di comprendere i campanelli d’allarme.
C’è tanta strada da fare. Siamo un Paese immaturo da questo punto di vista. Siamo un Paese che ancora non accetta pienamente la cultura del rispetto, della parità, dei diritti delle donne, della diversità. La cronaca recente ci dice che una donna viene uccisa ogni tre giorni da un uomo che spesso è il suo compagno, o ex compagno, l’uomo che diceva di amarla . In Italia le leggi contro la violenza sulle donne ci sono: un nuovo disegno di legge è stato approvato e andrà ad implementare il Codice Rosso del 2019 e tutte le precedenti norme contro la violenza di genere. Si fanno nuove leggi ma nonostante ciò purtroppo lo scenario non cambia. Le leggi da sole non bastano, bisogna applicarle e garantire la certezza della pena, ridurre i tempi della giustizia; inoltre occorre investire sulla formazione e sulla rieducazione della società. Per educare alla non violenza è necessario lavorare fin dall’infanzia sulla creazione di relazioni positive e paritarie. Affrontare con bambini, bambine e adolescenti i temi dell’educazione al rispetto, fornendo la possibilità di sperimentare un ambiente accogliente dove nessuno giudica gli altri. Questo consentirà loro di procedere verso una destrutturazione dei ruoli e delle relazioni basate su stereotipi, per poter creare invece relazioni con se stessi e con l’altro basate su princìpi di libertà e di responsabilità: tutto questo potrà contribuire a costruire una società accogliente, inclusiva e soprattutto non violenta. Ma si deve investire anche nella formazione sui luoghi di lavoro, dove ancora sussistono differenze di genere e di trattamento fra le diverse figure professionali.
C’è qualcosa che ancora non va in questa nostra società troppo violenta.
* dott.ssa Barbara Conti
Sociologa, giornalista pubblicista e
Direttrice responsabile di Sociologia on web