È iniziato un nuovo ciclo socio-produttivo, un nuovo modo di stare al mondo
I tempi che stiamo attraversando confermano la schiusa di “nuovi” scenari già emergenti. Ciò ci spinge a fare una ricognizione di quanto accaduto negli ultimi anni: cosa è cambiato, cosa sta cambiando?
Il paradigma socio-organizzativo odierno è il frutto dell’evoluzione di un sistema economico che è mutato da oltre trent’anni e che ha finito con l’incidere sulla condizione esistenziale e lavorativa. L’introduzione di iniziative politiche di deregolamentazione e privatizzazione a partire dagli anni Ottanta e la grande recessione (2007-2013) hanno destrutturato il mercato del lavoro alterandone processi e identità.
Il capitalismo si è quindi evoluto verso forme di astrazione del capitale e della produzione, continuando a modificare capillarmente la società, cambiandone regole, modelli e relazioni.
L’esistenza dei cosiddetti nativi digitali, la progressiva alfabetizzazione e la ricerca sul tema hanno fatto sì che le opportunità lavorative di tale mondo siano maggiormente e finalmente recepite. Possibilità che si palesavano già con la nascita dei grandi provider e dei motori di ricerca, nonché con i primi siti di e-commerce. Se le aziende hanno mostrato inizialmente un atteggiamento tiepido e conservativo, è con l’esplosione delle dot-com e dei titoli tecnologici che si avvia un percorso di digitalizzazione che – nonostante lo scoppio della bolla speculativa all’inizio degli anni duemila – segnerà il compimento della quarta rivoluzione industriale.
Internet ha permeato qualsiasi aspetto della nostra realtà, incidendo sempre più fortemente sulle nostre abitudini, i nostri hobbies e persino sui nostri bisogni. E lo ha fatto soprattutto sui giovani. Si tratta di una trasformazione socio-tecnologica talmente influente da condizionare i processi di creazione, scambio e distribuzione di valori. Sono ormai sempre di più le aziende click e mortar, ovvero le aziende tradizionali che irrompono sul web per garantire nuovi e migliori servizi all’utenza, nonché quelle che decidono di investire o addirittura nascere online.
Possibili soluzioni al problema occupazione-lavoro potranno provenire sempre più spesso dall’economia free: Google LLC è certamente uno degli esempi più importanti di questo modello di business che, senza far pagare alcun contenuto agli utenti, è riuscita a ottenere elevatissimi profitti e a imporsi in tutto il globo.
Ciò che delineerà il nostro futuro prossimo sarà il tele-lavoro o, meglio ancora, il concetto di smart working. Tale concezione è caratterizzata da una peculiare configurazione multipla degli spazi, da un’innovativa gestione del lavoro e da un orientamento agli obiettivi. Le statistiche sul tema sono univoche: lo smart working comporta vantaggi in termini di riduzione di tempi e costi, di conflittualità sul lavoro, di tassi di assenteismo e inquinamento, favorendo inoltre una maggiore soddisfazione personale che si traduce in una migliore performance lavorativa.
I lavoratori oggi devono necessariamente essere imprenditori digitali, sperimentare nuovi modi di condurre una libera professione. Saranno infatti sempre più frequenti i lavori nel campo delle tecnologie, ad esempio quelle d’identificazione, di sorveglianza o d’indagine, spazi in cui varrà la pena di investire le proprie energie.
Se da una parte le lauree tecnico-scientifiche mostrano percentuali di occupazione maggiori, le lauree in campo umanistico possono ancora fare la differenza. In questo senso, la complessità del digitale ha bisogno di forti dosi di creatività e relazione.
Ciò che suggerisco è di intraprendere percorsi post-diploma e post-laurea che si adattino alle esigenze del mondo del lavoro, al di là dei percorsi di studio intrapresi. Il digitale entrerà in tutti i campi dell’istruzione e sapersi muovere con anticipo in questa nuova realtà farà, indubbiamente, la differenza.
Oggi viviamo in quella che Jan van Dijk e Manuel Castells hanno definito “società delle reti” (network society), ossia quella in cui le attività e le strutture sociali chiave si organizzano attorno a reti elettroniche. La tecnologia ha trasformato strutture e organizzazioni: essa è mezzo e luogo della comunicazione, matrice di una nuova forma socio-organizzativa. E’ cambiato il modo di parlare, di scambiare simboli.
Sui social network giovani e meno giovani creano una propria narrazione, sperimentando e ri-costruendo la propria identità. Dal web 2.0 in poi si esce così dalla vecchia logica di utenti passivi e si diviene consumatori e produttori (prosumer), alimentando pattern sempre più complessi di comunicazione. Sulla rete vengono condivise passioni, obiettivi, riflessioni; ci si informa, si partecipa alla vita sociale e politica. Il web viene quindi interpretato come un ambiente cognitivo dove riversare speranze e vissuti. E’ qui che i nostri ragazzi costruiscono la propria rappresentazione del mondo. Tutto viene filtrato dal web: ogni esperienza è infatti mediata dall’utilizzo della rete.
Tra le abitudini più radicate troviamo: l’ascolto e la visione di musica e film, l’utilizzo dei social network, i videogiochi multiplayer, la condivisione di foto, lo shopping online ma anche, più recentemente, la lettura e lo studio tramite l’utilizzo di dispositivi elettronici; queste sono tutte possibilità offerte concretamente dalla digitalizzazione. Le tecnologie digitali sono il prodotto di un’intensa ricerca e innovazione, di una scommessa tramutatasi in opportunità.
Dobbiamo capire che la società cambia all’interno di in un sistema di relazioni e che da queste nascono nuove necessità. Pensiamo ad Amazon, Uber, Booking, Netflix, a come abbiano influito sulla nostra quotidianità, proponendo nuovi servizi e nuove forme di esperienza. Certo, sono caduti diversi equilibri, ma essi sono il risultato di una rivoluzione, di un cambiamento di paradigma che si trova ancora nella sua fase iniziale. La digitalizzazione del lavoro porta e porterà inevitabilmente con sé una serie di mutamenti circa la regolamentazione giuslavoristica, giacché essa incide sull’occupazione, sui legami sociali e su conflittualità diverse.
L’industria 4.0 è quindi un vero e proprio paradigma economico, fatto di rapporti meno gerarchici e più orizzontali, di snellimento della burocrazia, ma anche di un orientamento al lavoro per progetti, nonché di nuove configurazioni degli spazi lavorativi. Ciò comporta la nascita e l’implementazione di settori chiave, quali l’user experience, il seo, la data analysis e la data protection. L’enorme mole di dati del mondo digitale renderà infatti sempre più ardua la loro interpretazione, elaborazione e verifica. In un futuro prossimo questi campi saranno sempre più bisognosi di risorse e tali necessità si stanno palesando già adesso in maniera cogente. Stanno progressivamente aumentando i lavori nel settore Ict e gli investimenti sull’imprenditoria digitale, avviando anche nuovi modi di condurre la libera professione attraverso il web. I giovani vogliono sempre più imporsi in lavori digitali e l’aumento esponenziale delle opportunità di guadagnare sul web ne sono una testimonianza.
È necessario oggi un ripensamento strutturale delle relazioni socio-economiche, nonché di nuove forme di integrazione, allo scopo di alimentare la coesione sociale e dare forma a nuovi tipi di comunità. Il mutamento sociale porta con sé nuove problematiche e il compito delle istituzioni è quello di accompagnare questo processo dando una direzione pro-sociale al cambiamento. Tra le maggiori sfide da affrontare vi sono: la questione del precariato (internet ha destrutturato il lavoro stabile), il ripensamento delle tutele (diritto alla disconnessione) e le retribuzioni (spesso frammentate e non più legate all’orario di lavoro). Si tratta di un cambio di paradigma e ciò comporta come sempre rischi e opportunità. Bisogna, dunque, affrontare tale fenomeno con la consapevolezza che è iniziato un nuovo ciclo socio-produttivo e nuovo modo di stare al mondo.
Antonino Calabrese, Sociologo della comunicazione
Membro del Consiglio direttivo nazionale – con delega alla stampa e alla comunicazione – dell’Associazione Sociologi Italiani