SUL RAGIONEVOLE DUBBIO
Codice di procedura penale, Parte seconda, Libro settimo, Titolo III, Capo II, Sezione II. Articolo 533 «Condanna dell’imputato». Comma 1: «Il giudice pronuncia sentenza di condanna se l’imputato risulta colpevole del reato contestatogli al di là di ogni ragionevole dubbio. Con la sentenza il giudice applica la pena e le eventuali misure di sicurezza». Quella appena citata non è solo una norma stabilita dall’ordinamento, ma, o almeno dovrebbe essere, dal mio punto di vista, una condizione e stato di fatto che guida chi è chiamato a giudicare coloro che possono incappare nelle maglie della giustizia, a prescindere dalla reale colpevolezza inerente ai fatti loro contestati. Quel «al di là di ogni ragionevole dubbio» è, ripeto, dal mio punto di vista, lo spartiacque fra due tristi condizioni: l’eventualità che un colpevole dribbli la giustizia, così come che un innocente paghi per ciò che non ha mai commesso, seppur reo, a volte, quest’ultimo, di trovarsi nel luogo sbagliato nel momento meno opportuno. È in tali casi, che la differenza non la fa tanto chi giudica giacché investito di tale ruolo, quanto chi, istituzionalmente prima e di parte poi, riesce a mettere nelle mani del giudicante stesso robusti elementi per farlo protendere per una decisione anziché verso un indirizzo diametralmente opposto.È trascorso quasi un decennio dal delitto noto come quello di Perugia, vale a dire l’uccisione della cittadina inglese Meredith Kercher, giunta nella città umbra per studiare, così come altri due giovani: Raffaele Sollecito e la statunitense Amanda Marie Knox, accusati sin dal principio di essere autori del delitto insieme all’ivoriano, naturalizzato italiano, Guede Rudy Hermann.
Quest’ultimo, mai reo confesso, unica persona ad essere stata riconosciuta colpevole per concorso in omicidio in via definitiva dalla giustizia italiana. Mentre gli altri due, dopo un travagliato iter giudiziario sono stati scagionati definitivamente dal reato loro ascritto, così come ha sentenziato la Corte Suprema di Cassazione, Quinta Sezione Penale, Sentenza n. 36080 del 27 marzo 2015, depositata in cancelleria il 7 settembre 2015. Preliminarmente preciso che ripercorre l’intera vicenda giudiziaria, sia dal profilo squisitamente giuridico, ma soprattutto criminologico, che risale appunto al giorno del delitto, consumato all’interno di una villetta a ridosso delle vecchie mura cittadine di Perugia, la notte del primo novembre 2007, impiegherebbe un tempo e un contesto che si discosta dall’obiettivo di questa rivista. Nel senso che le pubblicazioni qui riportate tendono ad essere spunto di riflessione e punto di partenza per ulteriori approfondimenti dei temi trattati da parte di chi ne fosse eventualmente e realmente interessato. Ciò premesso, e consapevole di “navigare” controcorrente, è tuttavia mia convinzione, così come peraltro ribadisco nel corso delle lezioni da me tenute, che nel rispetto dei principi costituzionali e dei diritti e libertà fondamentali dell’uomo, in caso di manifesta contraddittorietà degli elementi a carico di qualsiasi imputato, nel dubbio, non si condanna, ma si assolve.
Inoltre, non è mia intenzione con questo contributo esprimermi in merito alla giusta o errata assoluzione o condanna di alcuno, ma più semplicemente porgo all’attenzione del lettore alcuni elementi affinché ognuno possa riflettere non tanto sui giudizi cui è giunta la magistratura, bensì su come taluni fenomeni delittuosi restano impressi nell’opinione pubblica per anni, forse per sempre, al punto di rendere, ahimè, svuotate di significato perfino le sentenze stesse.Voglio partire dalla fine, almeno per ora, vale a dire, come riporta l’ANSA: «Raffaele Sollecito avvierà un’azione di risarcimento danni dopo l’intervista di Rudy Guede a Rai3. Lo ha detto […] l’avvocato Giulia Bongiorno, uno dei difensori dell’ingegnere pugliese. Reputo di una gravità inaudita – ha sottolineato l’avvocato Bongiorno – il mancato rispetto di una sentenza ormai definitiva che ha accertato la totale innocenza di Raffaele Sollecito. Arrivata al termine di un lunghissimo calvario giudiziario, reso ancora più duro dall’amplificazione mediatica. Per il legale esiste un limite alla spettacolarizzazione delle vicende giudiziarie» [1].
Infatti, a parlare in esclusiva nella prima puntata del nuovo ciclo di “Storie maledette”, nota trasmissione della Rai, andata in onda il 21 gennaio appena scorso, è stato proprio Guede Rudy Hermann. Per la prima volta, almeno così si dice, racconta la propria versione dei fatti spiegando, afferma lui, come in realtà, sempre secondo la propria versione, si sarebbero svolti i fatti la notte di Halloween del 2007 a Perugia. In realtà, come già qui accennato e come scritto nelle sentenze, non sembrerebbe corrispondere che sia la prima volta che l’ivoriano riferisce in merito a sue versione dei fatti. Tanto è vero, come si legge in alcuni passi della Sentenza n. 36080/2015 sopra citata, scrivono i giudici riguardo proprio a Guede Rudy Hermann: «elemento chiave della vicenda, anche se incrollabilmente reticente (e mai confesso), portatore di mezze verità, peraltro di volta in volta diverse».Così come, nella stessa sentenza, riguardo un po’ più in via generale al mondo carcerario scrivono: «soggetti detenuti, di collaudato spessore criminale, di certo non insensibili ad istanze di mitomania e di protagonismo giudiziario, capaci comunque di assicurare loro la ribalta anche televisiva, spezzando, almeno per un giorno, il grigiore del regime carcerario».
Queste ultime parole, ribadisco a ulteriore precisazione, pronunciate non all’indirizzo di Guede Rudy Hermann, ma nei confronti di altro soggetto «condannato per un orrendo omicidio in danno di un bambino».Ma tornando alla responsabilità omicidiaria processualmente accertata in danno della studentessa inglese Meredith Kercher, si legge nella stessa sentenza qui menzionata, sempre riguardo a Rudy Guede: «Giudicato separatamente, quale concorrente nell’omicidio, è stato condannato, in esito a giudizio abbreviato, alla pena di anni trenta, poi ridotta in appello ad anni sedici […]. All’affermazione di colpevolezza del predetto si era giunti sulla base di tracce genetiche, sicuramente a lui riconducibili, repertate nell’abitazione di via della Pergola, sul corpo della vittima e nella stanza in cui era stato commesso l’omicidio». Inoltre, riguardo anche ai coimputati Raffaele Sollecito e Amanda Knox: «Un dato processuale di incontrovertibile valenza […] è rappresentato dall’assolta mancanza, nella stanza dell’omicidio o sul corpo della vittima, di tracce biologiche con certezza riferibili ai due imputati, laddove, invece, sono state rinvenute copiose tracce sicuramente imputabili al Guede […]. È, poi, palesemente illogico – oltreché poco rispettoso della realtà processuale – ricostruire il movente dell’omicidio sulla base di pretesi dissapori tra la Kercher e la Knox, acuiti anche dall’addebito che la ragazza inglese muoveva alla coinquilina per avere fatto entrare in casa il Guede, che aveva fatto un uso poco urbano del bagno […]. La “verità” offerta dall’ivoriano in una delle dichiarazioni rese nel processo a suo carico […] è, invece, un’altra. Il giovane si trovava, infatti, in bagno quando, a suo dire, aveva sentito la Kercher litigare con altra persona, di cui aveva percepito la voce femminile, di talché il motivo dell’alterco non poteva certo essere costituito dall’uso che egli aveva fatto del servizio».
Ripeto, non è qui il luogo ove esprimere pareri sulla credibilità dell’uno o altri attori processuali, cioè condannato o assolti che siano, semmai, a proposito di Guede, sarà un suo problema e di quanti lo sosterranno dal punto di vista giudiziario e criminologico-investigativo farsi ritenere credibile laddove decidesse di presentare istanza di revisione del giudicato che lo ha ritenuto colpevole [2].Sta di fatto che l’analisi criminologica di un delitto presuppone soprattutto freddezza da parte dell’operatore e assoluto distacco emozionale dai fatti, dai protagonisti, dai contesti e dal ritorno massmediatico cui sempre più spesso, invece, improvvisati esperti tendono di ottenere, assumendo per tale bizzarra ambizione posizioni e tesi prive di alcun pregio, sia dal punto di vista scientifico, sia logico deduttivo.L’intervista in esame rilasciata da Rudy Guede alla giornalista Franca Leosini, di “Storie maledette”, offre, così come la sentenza sopra indicata, molti spunti di riflessione. Per esempio, nella parte in cui lo stesso Guede descrive il momento zero, cioè quando secondo il narrante qualcuno a lui ignoto avrebbe compiuto l’omicidio [3].
Dal minuto 00:52:44 al minuto 00:55:32 dell’intervista (vedi nota 3), quando la conduttrice inizia col chiedere a Guede quanti minuti si è intrattenuto in bagno, l’ivoriano risponde: «Io il minuto glielo so dire perché quando sono entrato nel bagno, ora questa cosa va chiarita perché sono una persona molto igienica, e dunque ho l’abitudine di porre la carta igienica sul water e mentre faccio questa operazione sento suonare il campanello. Meredith apre e lì riconosco, ne nasce un diverbio con Meredith, e riconosco la voce di Amanda Knox che è entrata in casa. Ora, io a sentire il dibattito, il diverbio che nasce fra le due sapendo che Meredith in precedenza si era lamentata contro Amanda Knox che prendeva dei soldi, per via del fatto comunque che era disordinata, sporca, non mi preoccupo più di tanto, me ne sto al bagno. Mai avrei immaginato che da una litigata, un diverbio fra due ragazze chissà cosa sarebbe nato. Dunque continuo ad andare in bagno […] io riconosco Amanda Knox assolutamente al centouno per cento. Sono assolutamente certo perché come ho detto prima ho avuto modo di conoscere le due ragazze, soprattutto Amanda Knox […] Comunque come le ho detto io continuo ad effettuare il bisogno di cui necessitavo ascoltando l’iPod. Guardi, sono stato dentro il bagno, poi me la sono presa proprio comoda, comunque, all’incirca per un periodo di 10/11 minuti […] dico questo perché ho ascoltato tre brani, di cui due totalmente, il terzo, e lo ripeto […] l’ho sentito fino a metà, dopodiché ho sentito un urlo più forte del volume della cuffia che avevo all’orecchio, e tenga conto che io tendo ad ascoltare la musica a volume altissimo. Il volume dell’iPod era altissimo, addirittura ho sentito una voce così straziante, alche mi sono preoccupato».
In sintesi, da questa rivelazione di Guede, mi pare di capire che egli dapprima trascorre in bagno del tempo che dedica a dei rituali preparativi di natura igienica, privo di cuffie alle orecchie al punto di distinguere nitidamente la voce della Knox (al centouno per cento, ribadisce per ben due volte), giunta di lì a poco; poi, indossate le cuffie per ascoltare musica a tutto volume si isola dal resto del contesto coinquilinizio. Tutto questo, sostiene sempre Guede, per una durata massima di 10/11 minuti, il tempo di ascoltare due brani e mezzo. Ebbene, dal punto di vista criminologico, osservo e concludo, tale spazio temporale così ricostruito, analizzato e contestualizzato con altri elementi facenti parte del quadro globale dei dati di riferimento, è di fondamentale interesse per determinare se Guede Rudy Hermann, nel riferire ciò dice, sia realmente credibile, oppure, come ha commentato sempre all’ANSA l’altro legale di Raffaele Sollecito: «Guede pensa alla revisione? Si ma in peggio, visto che la giustizia lo ha graziato infliggendogli solo 16 anni per un delitto tremendo come quello di Meredith Kercher» [1].
Dott. Marco LILLI
Sociologo-Criminologo
Note
[1] ANSA Perugia, 22 gennaio 2016 http://www.ansa.it/sito/notizie/topnews/2016/01/22/sollecito-chiedera-danni-per-guede-in-tv_05cebd61-2242-4869-a14c-5d19ed3ab2d7.html
[2] TGCOM24, 22 gennaio 2016 http://www.tgcom24.mediaset.it/cronaca/umbria/mez-la-versione-di-guede-innocente-penso-alla-revisione-del-processo-_2155963-201602a.shtml
[3] RAI TRE, 21 gennaio 2016 http://www.rai.tv/dl/RaiTV/programmi/media/ContentItem-64c39f86-4d87-420a-a248-61c8073b78fc.html