SUL FUTURO DEL MONDO LAVORATIVO GIOVANILE

Pietro ZocconaliDi recente, nel corso di una lunga intervista ad un importante periodico, è stata chiesta la mia opinione sulla crisi nel lavoro, specie riguardo ai giovani, e nello sviluppare quel tema mi fa piacere ora puntualizzare e approfondire.
L’argomento sul lavoro giovanile, legato a quello del lavoro in genere, attualmente è molto sentito   e in molti si chiedono qual è la tendenza per il futuro. Per questo si muovono sia gli ottimisti che le cassandre, ognuno   a vaticinare, come se leggessero la risposta in una palla di vetro, non potendo   tener conto delle fluttuazioni dell’economia nazionale e internazionale dovute ad esempio alle catastrofi naturali (leggi Giappone con le tre recenti piaghe: terremoto, tsunami, centrali nucleari in avaria;  USA con le alluvioni sempre più catastrofiche che recentemente stanno interessando anche la “Capitale del Mondo” New York;  molti paesi, tra cui purtroppo l’Italia, ogni tanto sconquassati da violenti terremoti), senza contare gli improvvisi cambiamenti di geopolitica (primavera araba, nordafricana e mediorientale, crisi Israele/paesi musulmani), che con le grosse ondate di immigrazioni possono causare nel nostro Paese immediati cambiamenti a livello previsionale in tutti i settori, compreso quello lavorativo.

Nonostante tutto però, ci possiamo regolare come per le previsioni del tempo, correggendo ed affinando la previsione, appunto, a mano a mano che ci si avvicina al periodo da studiare.
Sembra che una buona maggioranza dei giovani, da sondaggi effettuati, sia abbastanza pessimista riguardo alla situazione lavorativa, d’altronde l’anno corrente si è rivelato, per l’Italia, peggiore dei precedenti, tutto ciò nonostante il mondo del lavoro in generale e quello governativo siano sempre in attesa di notizie positive.
Le notizie di questi giorni, in effetti, sono altalenanti e non consentono di spostare una posizione o l’altra. Da una parte c’è il Governo che prevede la fine della crisi e il ritorno in positivo della crescita industriale a metà del prossimo 2013, dall’altra c’è Bruxelles che invita in continuazione i governi “del Sud Europa”, compreso il nostro, a stringere ulteriormente la cinghia, e la popolazione studentesca, ed è cronaca di questi giorni, anche in Italia, sta scendendo in piazza per protestare contro i tagli alla cultura e al loro stesso futuro.
Immancabilmente a fine anno molti di noi, nello stringere la cinghia dopo aver pagato IMU, la nettezza urbana e altre varie gabelle, sentirà declamare dai maghi di fine anno, “oroscopari” vari e pseudofuturologi, sella fine della crisi e sulla ripresa per il prossimo anno, per un futuro in generale che risulterà “più bello e superbo che pria”, parafrasando l’espressione lanciata dal compianto attore Ettore Petrolini. Queste fauste profezie, però, le avevamo già sentite gli scorsi anni. A gennaio 2011 i telegiornali affermarono che la ripresa sarebbe arrivata nel 2012. Adesso tutto si sposta verso il 2013. Di sicuro però gli italiani hanno aperto gli occhi e credono sempre meno alle favole.
Gli ultimi dati Istat confermano la disoccupazione record per quanto riguarda i giovani, e tra questi quella elevatissima riguardante le regioni del sud Italia.  Purtroppo è questo l’andamento del lavoro e non c’è da farsi tante illusioni. Il problema è che con la globalizzazione siamo entrati in un mercato mondiale. Tutti noi acquistiamo prodotti che provengono dai Paesi in via di sviluppo e che, nonostante le spese di trasporto, costano meno dei nostri. Questo avviene perché in quei Paesi il tenore di vita è molto più basso che in Occidente e soprattutto perché sono, almeno per il nostro metro, non sufficientemente sviluppati i diritti civili e quelli dei lavoratori;  situazione che, in questa concorrenza mondiale, rischia di avere ricadute negative anche da noi: leggi il caso della Fiat, che sta cercando di adeguarsi al mercato a svantaggio e tra l’indignazione dei suoi operai (stando molto attenti, però, a non tagliare anche gli stipendi e il tenore di vita dell’alta dirigenza).
I datori di lavoro dell’Occidente, per tutta questa serie di motivazioni, stanno quindi cercando di abbassare il costo del lavoro, assumendo, magari a nero, immigrati, e modificando, chiaramente a proprio vantaggio, i contratti di lavoro con gli italiani, specie i giovani neoassunti.
I nostri figli ormai si stanno accontentando anche di un impiego insicuro e mal pagato, pur di averne uno;  è da poco uscito un libro di   Franco Ferrarotti, Professore emerito di Sociologia dell’Università di Roma “La Sapienza”;  decano dei sociologi italiani, il quale, ne “La strage degli innocenti – Note sul genocidio di una generazione”,   prende in esame ciò che ruota intorno ai giovani e che genera la loro emarginazione, come “l’invecchiamento” della classe politica, la mistificazione psicologistica, la democrazia “truccata”, l’affermazione della realtà virtuale, il precariato lavorativo, focalizzando le peculiarità italiane in merito ai processi sociali e produttivi, che sempre meno vedono coinvolti i giovani;  asserisce Ferrarotti: “Stiamo assistendo a un fatto storicamente inedito e inaudito: un’intera generazione viene azzerata. Ridotta al silenzio”.
Ma parliamo anche di chi lavora da 20 o 30 anni e che, se una volta, vedeva la sua vita progredire con scatti di anzianità di stipendio (insieme a rughe, canizie e calvizie), oggi, con timore, dovrà lottare per tenersi stretto il posto di lavoro: quindi, mentre gli stipendi non aumentano, il costo della vita, quello si, aumenta sempre, e magari si è anche messo su famiglia con bocche da sfamare e teste da acculturare.
E intanto le famiglie segnano il passo. I dati sui consumi, sempre più al ribasso, si incrociano in maniera significativa con l’andamento dell’occupazione.

La conseguenza di tutto ciò è che le famiglie italiane, seppur in percentuale minima rispetto agli anni precedenti, rinunciano alle vacanze, alla mobilità, alle comunicazioni, all’abbigliamento, alle cene al ristorante che si sono trasformate in pizza il pizzeria. Si mantengono le spese per la salute, per gli elettrodomestici e per i beni e servizi per la telefonia: qui, in particolare, rispetto al 1992, la spesa è aumentata di cinque volte, ma agli italiani si può togliere tutto ma non un nuovo, fiammante e multifunzionale cellulare.
Siamo giunti in definitiva, ad una situazione assurda, con questa conseguenza: fino a qualche anno fa i lavoratori di mezza età, si sentivano importanti e al centro del mondo, poiché assistevano, anche economicamente, i genitori anziani, e mantenevano i propri figli crescendoli e facendoli studiare adeguatamente;  ora, in tantissimi casi sono i nonni, con le loro pensioni, a sostenere figli quarantenni, precari e mal pagati, con relativi nipoti.

Chissà se dopo la fuga dalla famiglia a seguito della rivoluzione sociale del ’68 si dovrà tornare forzatamente alla vecchia famiglia patriarcale.

 


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