Strumenti atti ad offendere

MARCO LILLI

Si è tornati a parlare in questi giorni di legittima difesa e, pur considerati i dovuti distinguo col caso che sto per proporre, i limiti che a questa impone la legge. In effetti, la questione qui in esame è un po’ diversa rispetto a quella dello sventurato di turno che si è visto violato il domicilio e che, per motivi al vaglio degli inquirenti, ha ucciso l’intruso.

Infatti, preciso (ri)sottolinearne, tenendo ben divise le fattispecie, il caso in esame tratta dell’acquisto e uso del, volgarmente detto, spray al peperoncino, da molti ambito per uso difesa personale, ma da altri per motivi a dir poco discutibili.

Diciamo pure che alla lettura del Decreto 12 maggio 2011, n. 103 (Ministero dell’Interno) – riguardo al “Regolamento concernente la definizione delle caratteristiche tecniche degli strumenti di autodifesa che nebulizzano un principio attivo naturale a base di Oleoresin Capsicum e che non abbiano attitudine a recare offesa alla persona” –, si osserva come, poste alcune prescrizioni di carattere squisitamente tecniche: «Gli strumenti di autodifesa […] in grado di nebulizzare una miscela irritante a base di Oleoresin Capsicum […] non hanno attitudine a recare offesa alle persone».

Ebbene, ciò premesso, anche in presenza del rispetto delle richiamate prescrizioni tecniche – che non sto ad elencare in quanto l’obiettivo del presente contributo ha un altro significato –, la Corte di Cassazione ha stabilito che il problema non è tanto e solo il rispetto di tali prescrizioni, quanto, anche e soprattutto, dell’utilizzo che si fa di tale strumento che può, di fatto, costituire idoneo mezzo per arrecare danno volontario alla persona.

Ritenuto in fatto: «Con la sentenza impugnata la Corte d’Appello […] ha confermato quella emessa dal Tribunale […] che aveva affermato la responsabilità di […] in ordine ai reati di […] lesioni personali aggravate […] commessi spruzzando negli occhi della […] uno spray urticante».

La difesa dell’imputato, richiamando proprio il Decreto 12 maggio 2011, n. 103, tra l’altro ha così argomentato: «dall’istruttoria è emerso come lo spray urticante impiegato […] contenente l’oleoresin capsicum, principio estratto dalle piante di peperoncino […] rientri nella categoria degli strumenti di autodifesa che non hanno attitudine a recare offesa alle persone […] e che come tali non possono essere considerati armi o ad esse assimilabili».

Riguardo alle considerazioni in diritto, scrivono invece i giudici di legittimità: «la giurisprudenza prevalente di questa Corte di Cassazione ha affermato il principio che il porto in luogo pubblico di tale bomboletta, contenente gas urticante idoneo a provocare irritazione degli occhi, sia pure reversibile in un breve tempo […] è idonea ad arrecare offesa alla persona e come tale rientra nella definizione di arma comune da sparo […] o ancora è ricompresa nel novero degli aggressivi chimici […] Risulta, perciò, isolata la decisione della stessa Prima Sezione Penale di questa Corte che aveva stabilito che la bomboletta contenente spray urticante a base di peperoncino non è ricompresa né tra le armi da guerra o tipo guerra né tra quelle comuni da sparo».

E inoltre, riguardo sempre al dettato di cui il Decreto 12 maggio 2011, n. 103: «Il tenore di detta previsione evidenzia che la sottrazione del dispositivo alla categoria degli oggetti atti ad offendere […] è subordinata non solo alla condizione di conformità alle caratteristiche tecniche […] ma anche alle modalità di impiego esclusivamente finalizzate all’autodifesa personale, mentre l’impiego come mezzo d’offesa […] comporta la piena e incondizionata applicazione della normativa in tema di armi» (cfr. Corte di Cassazione, Sezione VI Penale, Sentenza n. 10889/17, decisa il 24 gennaio 2017, depositata il 6 marzo 2017).

In conclusione, al di là dei singoli punti di vista che ognuno potrà esprimere in una direzione rispetto ad altra, a me pare che almeno un dato emerge certo dalla lettura delle suesposte motivazioni, cioè che se da un lato il Decreto 12 maggio 2011, a firma del Ministro dell’Interno, ha cercato di fare chiarezza in merito all’offensività del prodotto (dal punto di vista esclusivamente tecnico con riferimento al rispetto di talune caratteristiche), dall’altro, nulla ha chiarito (probabilmente non poteva in quanto fuori dalla propria competenza) in merito all’elemento psicologico riconducibile all’utilizzo del prodotto stesso, usato cioè come difesa da un’aggressione proveniente da terzi, piuttosto che come strumento necessario a produrre un’azione aggressiva ■

Dott. Marco LILLI

Sociologo Criminologo

www.sociologiacontemporanea.it

 

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