STIGMA SOCIALE DA CORONAVIRUS: COME NASCE E COME GESTIRLO
<< Definirò normali noi e quelli che non si discostano per qualche caratteristica negativa dai comportamenti che, nel caso specifico, ci aspettiamo da loro. […] Per definizione, crediamo naturalmente che la persona con uno stigma non sia proprio umana […] Mettiamo in piedi una teoria dello stigma, una ideologia atta a spiegare la sua inferiorità>>. (E. Goffman, 2003, pag. 15).
<<< dott.ssa Federica Ucci
Una delle eredità lasciate dalla pandemia da Sars Cov-2 è quella della “stigmatizzazione sociale” nei confronti delle persone “positive” al virus, di chi è guarito o di chi proviene da quelle che erano state definite “zone rosse”.
Il primo a teorizzare il concetto di “stigma” è stato il sociologo canadese Erving Goffman, il quale descrive la società come formata da contesti che stabiliscono diverse categorie sociali alle quali appartengono gli individui accomunati dalla reciproca condivisione di determinate caratteristiche.
All’interno di questa realtà sociale, le persone vengono “catalogate” anche attraverso una involontaria ed immediata percezione visiva. Ora che è iniziata la fase 2 e gradualmente si sta tentando di tornare a una vita più o meno normale, benché di normale nell’accezione che ricordiamo noi probabilmente resterà ben poco, anche per i contagiati che hanno superato questa esperienza con il Coronavirus è arrivato il momento di reinserirsi nella vita sociale, insieme al resto della popolazione.
Per “stigma” si intende una rottura tra l’identità sociale virtuale e l’identità sociale attuale di un individuo, tra ciò che sembra e ciò che è.
L’identità sociale è basata su un pregiudizio,su ciò che attribuiamo alla persona e sui requisiti fissati che ci permettono di stabilire in anticipo a quale categoria appartiene e quali sono i suoi attributi (nel fare questo ci fidiamo delle supposizioni fatte senza renderci conto che siamo noi a stabilirle).L’ identità attualizzata è convalidata da evidenze certe e rappresenta la categoria alla quale possiamo dimostrare che la persona appartiene e gli attributi che è legittimo assegnarle.
Lo stigma determina una situazione per cui l’individuo è escluso dalla piena accettazione sociale: si crea una dicotomia tra un “noi” percepiti come normali che non si discostano dai comportamenti attesi e un “loro” che deviano negativamente da questi comportamenti.
La devianza è implicita nel concetto di stigma perché quando una persona si allontana dalle norme imposte che governano la condotta interpersonale all’interno della società, essa viene marginalizzata ed etichettata in maniera differente dal resto del corpo sociale.
In queste settimane di emergenza, l’utilizzo di parole e di comportamenti che sembrano evidenziare che l’infezione non riguardi tutti, ma solo chi ne è toccato in prima persona ha fatto emergere stereotipi che hanno condotto alla ghettizzazione delle persone collegate con la malattia.
Ed ecco che lo stigma sociale da pandemia ha fatto materializzare in maniera visibile una minaccia invisibile che da subito ha tenuto in scacco l’essere umano, soprattutto attraverso la paura di ciò che gli è oscuro.
Oscuro e per questo ancora più sinistro.
Nella nostra mente quando percepiamo che una persona possiede un attributo che la rende diversa dalle altre, essa viene declassata, stigmatizzata appunto, perché l’attenzione si focalizza su questo attributo “negativo” a discapito di tutti gli altri attributi potenzialmente positivi in suo possesso.
Verso l’individuo che porta lo stigma sociale si attuano discriminazioni, inoltre avendo egli le stesse credenze degli altri riguardo all’identità, può convincersi di non essere normale e di non avere gli attributi richiesti. Dalla conseguente vergogna si originano diversi comportamenti per fronteggiare questa situazione, come una tendenza alla vittimizzazione, tentativi di correzione dei comportamenti non desiderabili oppure servirsi dello stigma per ottenere vantaggi secondari.
I momenti in cui “noi” e “loro” si trovano nella stessa situazione sociale si definiscono “contatti misti”, l’anticipazione di questi contatti può portare le persone normali e gli stigmatizzati ad organizzarsi in modo da evitarli: lo stigmatizzato sentendosi insicuro riguardo a come i normali lo identificano diventa dubbioso su cosa gli altri pensino davvero di lui. Quando la caratteristica per cui è screditato è evidente, inizia a considerare la compagnia dei normali una violazione alla propria intimità con conseguente chiusura in se stesso oppure con ostilità provocatoria. Le persone normali sono ugualmente a loro volta a disagio perché mostrando eccessiva comprensione potrebbero rischiare di essere invadenti o di offendere chi porta lo stigma oppure dimenticando la sua diversità possono arrivare a pretendere troppo oppure a ferirlo.
Nella nostra società l’ “essere con qualcuno” in certe circostanze sociali condiziona in termini di informazione l’identità sociale di coloro con i quali l’individuo si trova in compagnia, soprattutto quando lo stigma è particolarmente evidente. In un ambiente percepito come ostile, dove il linguaggio stesso diventa troppo metaforico e addirittura iperbolico, alcune persone potrebbero essere indotte anche a non chiedere assistenza sanitaria per non essere discriminate e perdere il proprio status.
Questo tipo di comportamento può rientrare nel tentativo spiegato da Goffman di adottare strategie per fronteggiare la classificazione negativa. Quando queste strategie falliscono o si rivelano impraticabili lo stigmatizzato cerca categorie sociali che si mostrano comprensive nei suoi confronti, in particolare il proprio gruppo, che possiede il proprio attributo stigmatizzante, il gruppo dei saggi, ovvero persone “normali” che per motivi particolari sono comprensive e partecipi azzerando l’autocontrollo dello stigmatizzato e il gruppo empatizzante.
E’ così che,inevitabilmente, la stigmatizzazione si estende a macchia d’olio non solo su chi la vive in prima persona, ma anche sui suoi famigliari, sugli amici e sulla sua comunità. Le conseguenze potrebbero essere, perciò, non solo l’isolamento sociale ma anche più probabilità di diffusione del virus perché scoraggiando la richiesta immediata di assistenza sanitaria può venir meno anche l’adozione di comportamenti volti alla prevenzione.
La gestione dello stigma,oltre che dai fattori fondamentali della società, stereotipi o attese normative rispetto a condotte e caratteri, è influenzata anche dalla conoscenza dell’identità personale dello stigmatizzato, che permette di differenziarlo da tutti gli altri attraverso una storia continua di fatti sociali ai quali si ricollegano fatti biografici. Lo stigma riguarda l’identità sociale, mentre ciò che l’individuo ha fatto ed è in grado di fare riguarda l’identità personale. Tuttavia, sebbene i contatti interpersonali tra estranei siano quelli particolarmente soggetti a reazioni stereotipiche, non è detto che la familiarità, caratterizzata da rapporti più stretti che dovrebbero incoraggiare comprensione, solidarietà e giudizio realistico riesca ad evitare lo svilimento. Infatti, le persone più intimamente vicine allo stigmatizzato possono irrigidirsi allo stesso modo degli estranei fino ad arrivare a vergognarsene o a prenderne le distanze con conseguente isolamento anche affettivo all’interno dello stessa abitazione.
In questa fase così delicata di ritorno alla società, l’importanza dell’intelligenza emotiva risulta essere ancora una volta strategica per creare un clima in cui lo stigma possa indebolirsi, iniziando a fare attenzione anche al linguaggio utilizzato per raccontare o parlare di questa epidemia che ha sconvolto la vita postmoderna.
E’ importante che nell’ambito del counseling professionale si inizi a stimolare nelle persone l’attitudine al sostegno psicosociale del prossimo, in modo da “educarle” alla tolleranza e alla consapevolezza che il COVID-19 è una nuova malattia, non è un “caso isolato” o “sospetto” e chi ne è stato toccato è una persona che potrebbe averlo o lo ha contratto e non un bersaglio a cui attribuire una colpa.
La capacità di immedesimarsi nell’altro permette di allenare le proprie competenze relazionali ed empatiche per sintonizzarsi emotivamente alla giusta distanza, senza identificarsi eccessivamente o al contrario essere troppo distaccati.
Abbandonare il linguaggio bellico e apocalittico avendo cura di informarsi solo attraverso fonti scientifiche e attendibili, cercare di concentrarsi di più sulla condivisione delle misure di prevenzione per continuare a proteggere le persone più vulnerabili e supportare le attività in grado di creare un ambiente positivo di solidarietà e contrasto alla diffusione di comportamenti emarginanti è oggi più che mai indispensabile per porre delle basi più stabili alla ricostruzione della nuova vita post pandemia.
Dott.ssa Federica Ucci, Sociologa Specialista in Organizzazione e Relazioni Sociali
Bibliografia:
“Stigma. L’identità negata”, E. Goffman, 2003, Ombre Corte Editore.“Guida per prevenire e affrontare lo stigma sociale associato a Covid-19”, traduzione italiana di “Social Stigma associated with COVID-19” prodotto da IFRC (International Federation of Red Cross, and Red Crescent Societies), Unesco e WHO, a cura dell’Organizzazione Mondiale della sanità, 2020.