SPORT, COESIONE SOCIALE, GIUSTIZIA SPORTIVA E INGRATITUDINE : IL CASO REGGINA CALCIO

LATELLA 12 aprile 2015Lo sport è un importante elemento di   coesione sociale.   Ogni comunità si aggrega per le gesta della propria squadra di calcio, di basket o impegnata in altre discipline più o meno popolari. Lo fa nei momenti di gloria   del sodalizio di riferimento, in questo caso esaltandosi, ma lo fa anche nel periodo in cui la squadra del cuore attraversa un momento di crisi tecnica, societaria e, soprattutto, di risultati. In questo caso, l’entusiasmo lascia il posto alla delusione, ma rimane   accesa la fiammella della speranza. Scema l’entusiasmo, è vero, ma la fede (ovviamente sportiva) rimane intatta.   E rimane   anche l’orgoglio,     alimentato dalle imprese del passato   che contribuiscono a rafforzare le radici socio- sportive   e la tradizione di un popolo.   Come nella vita,   anche nello sport   quando si cade in “disgrazia” la strada del riscatto è disseminata di ostacoli:   naturali o artificiali. A volte da   entrambi.  E’ il caso della Reggina Calcio che, dopo nove campionati di serie A, tanti altri nella cadetteria,   da un paio di tornei     è precipitata nel limbo della serie C e, al termine di questa stagione,   quasi certamente, raggiungerà il punto più basso della gestione del presidente Foti.

Il calcio italiano è in crisi e quasi tutte le società, dalla massima serie fino ai dilettanti,   devono fare in conti con i bilanci in rosso. Grandi club hanno evitato il fallimento grazie all’aiuto di magnati stranieri, altri , come il Parma,   sono ad un passo dal baratro. Se alla crisi finanziaria dei club, dovuta, forse, alla scarsa lungimiranza dei propri dirigenti, si aggiunge una sorta   di accanimento nella richiesta d’applicazione di norme sportive, che non terrebbero   conto     delle linee guida indicate dal Consiglio Federale   (come   sostiene la Reggina Calcio in relazione al suo ultimo deferimento innanzi al Tribunale Federale Nazionale), appare poi difficile gestire il dissenso sportivo che spesso diventa la scintilla per proteste legate alla situazione   sociale, economica   ed occupazionale di interi territori.     Dallo Stretto di Messina   all’opulenta Milano, dalla ricca Parma alla Puglia, dal Veneto alla Sicilia   il calcio è malato, anche se non manca qualche isola felice.   Ed allora come dare torto al popolo amaranto quando usa   parole forti – come accanimento, persecuzione, resa dei conti –     per denunciare   questa vera o presunta ingiustizia?       Silenzio e rassegnazione   sono l’anticamera della codardia.

Questa terra, infatti,   sembra abbia perso finanche il sentimento dell’indignazione. E non vorremo che dopo lo scioglimento del Consiglio comunale per   presunta     contiguità   mafiosa (diversamente dal trattamento riservato al Comune   di   Roma:     i fatti venuti a galla dall’inchiesta “mafia Capitale” sono   ben più gravi di quelli a suo tempo contestati all’Amministrazione di Palazzo San Giorgio)   sia partita la campagna contro la Reggio sportiva.   E’ successo anche   al   Coni ( che il palazzo romano ha deciso di commissariare in nome   di una ridicola “incompatibilità caratteriale” del suo presidente, quel Mimmo Praticò che allo sport   ha solo e sempre dato)   e adesso sembra essere il turno della Reggina.   Non faccio il difensore d’ufficio di Lillo Foti, il Presidente sa difendersi da solo. Sto semplicemente sostenendo che la Reggina ( come d’altronde la   Viola) fanno parte del patrimonio   storico   di Reggio   che noi tutti,   soprattutto come cittadini, abbiamo il dovere   di difendere da chi, a torto o ragione, tenti di metterla definitivamente in ginocchio.   Quel carro del vincitore – sul quale presero posto, politici, amministratori, manager, sportivi, commercianti, imprenditori e tanti altri personaggi in cerca d’autore –   è ormai   abbandonato   in prossimità del greto del torrente Sant’Agata: location     dove una squadra di provincia scrisse una della pagine più belle del calcio nazionale.   Dopo   i tanti fasti,   sono certo che questo sito sportivo   non diventerà una delle cattedrali a luci spente di cui la Calabria, purtroppo, è satura.

Noi reggini siamo un popolo dalla memoria labile. Forse troppo labile.     Parte di   questo popolo,   che si definiva amaranto e   che fino a qualche anno fa   osannava il Presidente,   è in balia   di   un’opinione pubblica eterodiretta.   Cercare un capro espiatorio a tutti i costi –   Foti può anche aver sbagliato   – significa   ridurre in ceneri   quanto è rimasto di quel modello Reggina   che, in un recente passato, ha permesso a noi tutti di gonfiare il petto. Mi chiedo cosa sia rimasto di quell’orgoglio di ieri se oggi lasciamo solo un uomo   che è in giro per il mondo nel tentativo di salvare un pezzo del nostro passato socio-sportivo?


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