SOVERIA MANNELLI:CARNEVALE SOLIDALE, QUANDO LA FESTA DIVENTA DAVVERO FELICE
E’ stato un Carnevale davvero speciale, quello festeggiato nel salone della casa di riposo “Emmaus” di Soveria Mannelli (da trenta anni attiva sul territorio). Era da tempo che non respiravo un ambiente profondamente umano e gentile. Era da anni che non vedevo unite diverse generazioni, in un contesto di vera festa. Un idea nasce così, quasi dal nulla. Sarina, l’Assistente Sociale (sostegno storico della struttura) e membro dell’Associazione “Le ali”, qualche giorno prima, ha immaginato di poter creare un momento realmente giocoso, nel quale fossero i “nonni” e le “nonne ospiti ad essere protagonisti. Detto e fatto! Dopo qualche giorno di frenetici preparativi, ci si è dati appuntamento sabato pomeriggio. Tutti presenti. E’ stato molto commovente, vedere le nostre radici in maschera ed in gioco. Loro che hanno vissuto la guerra e che sono riusciti a crescere (spesso da poverissimi) famiglie molto numerose, portandole avanti con semplicità e saggezza antica, ancora una volta in grado di sperimentarsi in un modo nuovo e diverso. Vedere “zia Rosa” (103 anni) ancora sorridente, scherzare con me e chiedermi del mio nipotino, è stato bellissimo. Ballare (grazie alla musica irresistibile del gruppo etnico “Notte Battente” ed all’animazione delle volontarie dell’Associazione “A mano libera”) una tarantella insieme a “ zia Giovannina” è stato un autentico atto estetico. Godere nel sentire cantare i canti popolari da signore e signori ultraottantenni è stato arricchente ed edificante (spesso noi giovani, ci alziamo tristi, già dalla mattina). Prenderci tutti per mano (familiari, ospiti, ragazzi, soci e volontari) e sentire scorrere nelle vene, la pulsione di vita giovane insieme alle mani stanche ma ancora con gli occhi lucidi dei nostri anziani, mi ha commosso profondamente. Non poteva mancare, la scenetta danzante di Giovanni (base fondante dell’Associazione Emmaus) ed i goliardici commenti di Mario ed Alfonso ( dirigenti delle Associazioni).
E’ stato solo nello spazio dedicato agli assaggi ( tutti piatti sapientemente cucinati, dalle volontarie dell’associazione e dai parenti degli ospiti), avendo ripreso respiro, che mi sono lasciato andare con un po’ di nostalgia ad una riflessione più seria. Siamo nel 2016, mi sono detto. Come mai spesso, troppo spesso, le famiglie e tutte le persone che operano con onestà, sacrificio ed amore nell’ambito sociale, sono lasciate da sole? Come mai, le istituzioni ed i così detti decision makers, non si rendono conto che il taglio lineare di risorse, nell’ambito socio-assitenziale è un abominio culturale e civile. Perchè non si valutano le persone, gli operatori e le strutture, sulla base del cuore, dei sacrifici e della spinta vitale che investono ( cercando di sostenerli), lasciando sempre più spazio ad affaristi del sociale? Creare ponti generazionali è possibile! Costruire spiragli di umanità è necessario. Sono stufo di galleggiare in questa “società liquida baumaniana” costituita da marionette solitarie. Desidero ardentemente riscoprire un umanità diversa, in grado di riattivare la sua capacità di donarsi, di farsi fango, di guardare alla sofferenza, come parte naturale della vita e di immergersi in essa, per alleviarla. Desidero una società che riesca ad essere nuovamente e maggiormente comunità. Quante iniziative in più, potrebbero realizzarsi se si uscisse da questo circolo vizioso che sembra ci voglia condannare ad un futuro da automi imbrutiti? Spero solo che la coscienza critica, aiutata anche dalla crisi, possa essere sempre maggiore al fine di attivarsi per mutare lo stato di cose presenti. A volte l’utopia ed il sogno, diventano armi pacifiche, in grado di riattivare meccanismi evolutivi da un punto di vista sociale. Concludo con un proverbio africano: “un vecchio che muore è una biblioteca che brucia”. La morte è parte della vita. Cerchiamo però di riassaporare la grandezza e la saggezza degli anziani, la loro stessa tenerezza. Le nuove generazioni, guidate dal mondo dei consumi e disabituate ad affrontare i problemi, ne hanno bisogno. Forse solo i nonni, potrebbero ritagliarsi un ruolo di allenatori di vita, per farci capire che anche da una società in stato di regresso, può nuovamente nascere speranza.
Giuseppe Bianco – Sociologo Dipartimento Ans Calabria, Life Coach