Social network: quando è inopportuna la libera manifestazione del proprio pensiero

MARCO LILLI  nuova

 

Forse, almeno in prima battuta, l’argomento che sto per proporre può sembrare di second’ordine, ma considerato il numero delle armi legalmente detenute nel nostro Paese, probabilmente qualche riflessione si pone. E cosa tutto questo ha a che fare con i social network, lo si capirà meglio nel prosieguo del presente contributo.

Due fonti giornalistiche da cui partire. Per esempio, secondo alcuni dati di qualche tempo fa, si legge: «In un rapporto Eurispes del 2008 si legge: Sono circa 10 milioni le armi legali presenti in Italia, con almeno quattro milioni di famiglie armate, una su sei che è in possesso di almeno una pistola. E nel 2007 il Dipartimento Armi ed esplosivi del ministero dell’Interno stimava in 4,8 milioni (pari all’8,4 per cento della popolazione totale) le persone in possesso di un’arma da fuoco corta o lunga, da caccia o da tiro a segno o ancora da difesa» (cfr. la Repubblica, online, L’Italia della violenza a mano armata, 30.07.2010).

Inoltre: «Si calcola comunque che tra pistole, fucili da caccia, armi sportive e da collezione, vi siano legalmente oltre 2 milioni di armi (cfr. la Stampa, online, Quante armi nelle case degli italiani? 29.06.2012).

Dati sensibilmente diversi, anche se offerti al lettore a poca distanza di tempo che intercorre dalle due inchieste giornalistiche, ma che comunque denota come non è per nulla agevole avere una stima delle armi che in qualche maniera circolano (legalmente) oggi in Italia.

Ebbene, in materia di porto d’armi ed eventuale divieto di detenzione delle stesse, avendo quest’ultimo, cioè il divieto,  l’esclusiva finalità di prevenire la commissione di fatti costituenti reato – ovvero di fatti lesivi della pubblica incolumità –, non necessita che l’abuso si sia materialmente verificato, essendo invece sufficiente la potenziale sussistenza di una situazione di pericolo. Queste, in linea di principio, sono le conclusioni cui è giunto il Collegio della Prima Sezione del Tribunale Amministrativo Regionale Umbria, con la Sentenza del 18 novembre 2015, depositata in segreteria il 19 febbraio 2016.

L’oggetto dei fatti esaminati ha riguardato un titolare di porto d’armi il quale aveva pubblicato sul proprio profilo Facebook una foto con la pistola in mano commentando e invitando i suoi lettori a farne uso quale forma di autotutela riguardo, nel caso specifico, alla di lui privata proprietà.

Pertanto, un provvedimento di divieto di detenzione delle armi, di natura squisitamente cautelare adottato dall’Autorità competente, rispetto all’ipotesi di pericolo della compromissione dei pubblici interessi caratterizzanti, appunto, una misura preventiva di tale portata. Misura, peraltro, pienamente rientrante nel principio di discrezionalità adottato dall’Autorità di polizia nei casi riguardanti l’ambito dell’ordine e della sicurezza pubblica.

Tanto premesso, come ricordano i giudici amministrativi, tenuto conto anche dell’articolo 39 del Testo Unico delle Leggi di Pubblica Sicurezza che così stabilisce: «Il Prefetto ha facoltà di vietare la detenzione delle armi, munizioni e materie esplodenti, denunciate ai termini dell’articolo precedente, alle persone ritenute capaci di abusarne».

In buona sostanza, ricorrendo al Tribunale Amministrativo Regionale, l’interessato lamentava «Eccesso di potere per travisamento dei fatti e difetto dei presupposti; difetto assoluto di istruttoria, contraddittorietà, illogicità manifesta, irragionevolezza ed arbitrarietà», poiché: «il supporto motivazionale del provvedimento gravato è incentrato sulla discussione, in un social network, dei fatti accaduti nella zona di (omissis) ove il ricorrente risiede e sulla fotografia che lo ritrae con una pistola in pugno, con invito a farne uso; il che peraltro non consente una valutazione della personalità e non costituisce di per sé indice di inaffidabilità di un soggetto che non è mai stato denunciato e non ha procedimenti penali pendenti».

Nonché: «difetto di motivazione, nell’assunto che la pubblicazione sul profilo facebook di immagini aventi valenza minacciosa non esaurisce la valutazione di inaffidabilità della persona». Inoltre: «eccesso di potere per illogicità e contraddittorietà, allegandosi che il pericolo di abuso delle armi deve essere adeguatamente comprovato e richiede una specifica valutazione non del singolo episodio, ma della personalità del soggetto, con conseguente giudizio prognostico».

Ebbene, motivano invece i giudici: «Ed invero il divieto di detenzione d’armi, avendo la finalità di prevenire la commissione di reati e di fatti lesivi dell’incolumità pubblica, non necessita che l’abuso da cui fare derivare il provvedimento si sia effettivamente verificato, essendo sufficiente che sussista una situazione di potenziale pericolo; l’Autorità di polizia, in definitiva, nella sua discrezionalità può ritenere valutabili anche quei comportamenti che, pur non integrando responsabilità penali, facciano ritenere che sia venuto meno il requisito dell’affidabilità. La circostanza, costituente il nucleo fattuale della motivazione provvedimentale, che nel profilo facebook […] si faccia riferimento a forme di “autotutela” della proprietà privata e sia pubblicata una foto con la pistola in pugno e l’invito a farne uso costituisce un elemento di valutazione, da parte dell’Amministrazione, non incongruo od illogico, tale dunque da non superare il limite sistemico del sindacato giurisdizionale consentito al giudice amministrativo. D’altro canto, occorre considerare che il rilascio della licenza di porto d’armi non costituisce una mera autorizzazione di polizia, ma assume contenuto di permesso concessorio, in deroga al divieto di  portare  armi […]; di conseguenza, in tale quadro, il controllo effettuato dall’Autorità di pubblica sicurezza viene ad assumere connotazioni particolarmente pregnanti e severe e spetta al prudente apprezzamento di detta Autorità l’individuazione della soglia di emersione delle ragioni impeditive della detenzione degli strumenti di offesa […]».

Chiosano infine i giudici: «come emerge dall’esposizione che precede, il potere dell’Amministrazione non è sanzionatorio o punitivo, ma è quello cautelare di prevenire abusi nell’uso delle armi a tutela della privata e pubblica incolumità, ragione per cui non occorre un obiettivo ed accertato abuso delle armi, ma è sufficiente la sussistenza di una o più circostanze che dimostrino come il soggetto non sia del tutto affidabile al loro uso» (cfr. T.A.R. Umbria (Sezione Prima), Sentenza 18.11.2015-19.2.2016).

In conclusione, osservo, ancora una volta, e laddove se ne avvertisse l’esigenza, che l’uso improprio o comunque discutibile della tecnologia, nel caso in esame dei nuovi mezzi di comunicazione e manifestazione del proprio pensiero, almeno in certe specifiche circostanze, lasciano poco scampo ad interpretazioni, mettendo di conseguenza in seria difficoltà, o comunque in una posizione particolarmente scomoda, coloro i quali di tali mezzi ne fanno un uso tutto da interpretare dal punto di vista psicosociale.

 Marco LILLI

Sociologo-Criminologo

www.marcolilli.it


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