SETTE ANNI DOPO LA RIVOLTA DEGLI IMMIGRATI, NULLA E’ CAMBIATO A ROSARNO
Negli ultimi giorni il “Quotidiano del Sud”, in alcuni servizi firmati da Michele Albanese, ha riproposto la disumana condizione degli immigrati impegnati nella campagna agrumicola a Rosarno. Dell’inferno in cui sono sprofondati questi esseri umani, non si è mai scritto abbastanza e solo raramente i servizi giornalistici locali e nazionali (televisivi o della carta stampata) si interessano di questo capitale umano che, offrendo manodopera ormai scomparsa dal mercato locale, conferiscono ricchezza al territorio che stagionalmente li ospita. Della loro disumana condizione, l’opinione pubblica conosce poco o nulla, mentre viene cloroformizzata con notizie, messaggi, reportage che riguardano immigrati, coinvolti, attivamente e passivamente, in fatti di cronaca.
Oggi gli immigrati di Rosarno sono tornati al centro dell’attenzione mediatica grazie alla visita del Governatore Mario Oliverio. “Oggi è peggio di sei anni fa”, “la condizione è davvero disumana e inaccettabile”: ha detto l’on. Oliverio il quale ha reso noti i provvedimenti programmati dalla Giunta regionale per riportare dignità ai luoghi dove vivono 1200 braccianti africani. Una piccola comunità che, secondo MEDU (Medici per i Diritti Umani) nel 83% è priva di contratti di lavoro. Uomini sfruttati da altri uomini.
Sei anni dopo la rivolta di Rosarno cos’è cambiato nel rapporto tra l’immigrato e il sistema sociale in cui esso lavora come bracciante? Poco o nulla, se non una maggiore tolleranza a cui si contrappone una grande tensione che cova sotto una calma apparente, ma che, da un momento all’altro, anche per quegli episodi di intolleranza riportati dal giornalista Albanese, potrebbe riproporci pagine drammatiche come quella del 7 gennaio del 2010. I calabresi amano ripetere che dalle loro parti lo Stato è assente e che appare solo quando deve mostrare i muscoli. Non ce ne voglia nessuno, ma è proprio così. Mostrare i muscoli, contro la criminalità comune e organizzata, la corruzione e la violazione della norme penali e civili, è un obbligo dello Stato. Ma di obblighi la Costituzione ne prevede altri ai quali corrispondono i diritti in capo ai cittadini. E chi fa fino in fondo il proprio dovere non può, assolutamente, essere considerato un eroe, ma un cittadino modello. Eroi non sono (scusateci l’ardire) i magistrati e le forze dell’ordine (a cui noi tutti siamo grati), i quali per il mestiere che svolgono ricevono uno stipendio, al pari di un ferroviere, di un impiegato dell’anagrafe, di un geometra del Catasto, di un professore, di un docente universitario, di un infermiere o di un operatore ecologico. Uomini virtuosi non sono solo quanti militano nelle associazioni antimafia, ma anche chi la mafia la combatte osservando in silenzio le leggi.
Scriviamo questo, perché quanto avviene a Rosarno a volte, inconsapevolmente, sfugge alle cosiddette sentinelle di legalità la cui presenza, soprattutto in Calabria, si nota in lungo o in largo. Ecco perché quanto scritto da Michele Albanese non sono delle fantasie giornalistiche (che pure non mancano, soprattutto quando si scrive di ‘ndrangheta, fenomeno che purtroppo esiste, ma che spesso viene enfatizzato da presunte analisi sociologiche tratte dai mattinali o da indagini di PG). (1)
Basta visitare la tendopoli, la baraccopoli, gli accampamenti, il capannone di una dismessa fabbrica o viaggiare di notte per le stradine di San Ferdinando (dove centinaia di immigrati in bici rientrano dalle campagne per raggiungere le loro dimore) per rendersi conto che in questa parte dell’Italia, in ogni ora del giorno e della notte, uomini di razze e culture diverse vengono trattati peggio degli animali.
Queste cose le abbiamo documentate lo scorso anno in un reportage televisivo che ha registrato ascolti elevati, ma pochi interventi in grado di ripristinare una condizione umana che non solo non ci onora, ma ci riporta ai tempi della schiavitù. Noi siamo stati di notte in questi gironi infernali che i nostri governanti, diversamente da quanto ha fatto oggi Mario Oliverio, appaiono restii a mettere piede e parlano solo per sentito dire. E mentre tutto viene ricondotto alla presenza della ‘ndrangheta, forse per non disturbare il conducente, si chiudono entrambi gli occhi su quei proprietari che sfruttano, per una ventina di euro giornalieri, centinaia di persone che, in una terra senza regole, pagano pesanti gabelle, prima tra tutte quella ai caporali.
Se questo è un uomo, scriveva Primo Levi, per ricordarci i lager nazifascisti; se questi sono esseri umani dice ad alta voce la Calabria civile nel tentativo che qualcuno a Roma ascolti e, una volta per tutte, decida di intervenire seriamente. Gli immigrati, come evidenziano le statistiche, sono una risorsa e non già un peso come qualcuno vorrebbe far credere nel tentativo di cospergere di fertilizzante i campi razzisti che da Sud a Nord tagliano trasversalmente la società italiana.
Antonio Latella – Giornalista professionista e sociologo (Presidente del Dipartimento Calabria dell’Associazione Nazionale Sociologi)
(1) Foto: “www.illametino.it” ( tratta dal web)