SE LA MEDIOCRAZIA È AL POTERE, COSA SERVE UNA LAUREA?
di Maurizio Bonanno

“Studere, studere… post mortem quid valere?”
Chi è stato un liceale vagabondo come me, non avrà di certo dimenticato questo mantra che ci ripetevamo – con evidente ironia, con dichiarata provocazione, con il senso di sfida arrogante quando si ha diciott’anni e sei convinto che il mondo sia tutto ai tuoi piedi – per esorcizzare il gravoso impegno di dedicare la nostra vita, giovane ed in cerca di avventure, ai polverosi libri che rubavamo troppo tempo alla nostra voglia di vivere la “università della strada”.

Come poi siano andate le cose, è storia d’oggi. Infatti, meglio chiarirsi subito: sono laureato. Campeggia nel mio studio una splendida pergamena che guardo con orgoglio perché, essendomi laureato ad Urbino, è siglata dal prof. Carlo Bo in persona.

Ed anche i nomi dei professori che hanno autografato il mio libretto d’esami non sono niente male, che quasi quasi avrei dovuto conservarmelo piuttosto che riconsegnarlo in segreteria, quel benedetto libretto dove in sequenza cronologica si affastellavano esami su esami. In sociologia.
Ebbene, malgrado svolga il lavoro di giornalista, mestiere che mi onoro di portare avanti quotidianamente con sincera soddisfazione, non posso negare che quella mia laurea in Sociologia non è solo un punto d’orgoglio, quanto soprattutto un elemento insostituibile per meglio svolgere il diuturno lavoro di analisi e conoscenza dei fenomeni sociali che rappresentano il mio punto di riferimento professionale.
D’un tratto, però, mi ritrovo scaraventato in una realtà parossistica, sproporzionata, asimmetrica rispetto al mio abituale sentire. Laureato? Laureato in Sociologia? Ed a cosa serve? Perché mai dovrebbe esserci questa necessità?

Baumann? Comte, Durkheim, Weber, Shutz, Mead, Goffman? Adorno, Luhmann, Horkheimer, Marcuse, Dahrendorf, Ferrarotti, Foucault?
Perché perdere tempo dietro a questi nomi? Studiarli, approfondirli, apprendere, fino a conseguire una laurea, quella che ti accredita come specializzato in questa “strana” scienza umanistica chiamata Sociologia?
Ma cosa sarebbe mai ‘sta Sociologia? Ed i sociologi, poi?
Il punto è che, da troppo tempo ormai, stiamo andando incontro ad uno strano mondo che ci sta catapultando verso anfratti tortuosi che accarezzano strani ragionamenti con un rischio che tutti, (anche noi più o meno inconsapevolmente) stiamo correndo, in Italia ancor più che in Europa, nel momento in cui, anche politicamente, nel senso di chi è chiamato ad assumere decisioni e prendere provvedimenti, sembra prendere il sopravvento quella parte del paese inetta e rancorosa che si pasce all’idea che siamo tutti uguali e che lo studio, l’impegno e il sacrificio nella vita siano in fondo un dato relativo.

Perché uno vale uno, come nella Fattoria degli animali di Orwell, in nome di una libertà che è in realtà la peggiore forma di dittatura.
E così, ci ritroviamo una accozzaglia di sprovveduti che discute di economia o di politica, addirittura internazionale, senza mai aver aperto un manuale di storia; soprattutto, ci ritroviamo a vivere in una società di persone che pensano di potersi sedere di fronte a chiunque per discutere di qualsiasi cosa.
Per motivi volgarmente elettoralistici e qualunquistici, per mera speculazione economica (ovvero per fare business alla faccia degli sprovveduti) si offre la spalla a qualsiasi persona che, ignorando, si sente all’altezza di parlare di ogni cosa. Oltre le scienze e la medicina, oltre la storia e l’economia, oltre alla politica ed alla sociologia, oltre a chi ha passato la vita nei laboratori o nelle biblioteche a studiare e ricercare, oltre ai premi Nobel.
Prende
così il sopravvento gente che non ha coscienza di cosa sia lo studio e quanto
sacrificio ci sia dietro ad una ricerca, dietro ad una professione, che non
pensa ai ragazzi che hanno passato la vita sui libri per crescere e maturare,
per contribuire a far progredire la società, il proprio paese.
È la presunzione fine a se stessa. La professione di una presunta competenza
costruita in strada o tra le scartoffie di una scrivania d’ufficio, che viene
spacciata per sufficiente conoscenza, mentre in realtà è solo il grado zero
della civiltà. Perché non si può occupare un posto senza competenza, essere
pagati per un lavoro che non si è grado di fare, ma che attraverso un diplomoncino
raccattato secondo regole cambiate in corso d’opera e contro ogni logica,
darebbero una titolarità usurpata: è questa la peggiore forma di disonestà
civile.
Per secoli siamo stati la locomotiva della civiltà del mondo. Non perché non ci fossero altre grandi civiltà, ma perché ad un certo momento della storia siamo stati avanguardia della cultura, delle scoperte scientifiche, delle nuove tecnologie, del diritto degli individui e dei popoli.
Oggi assistiamo, invece, al prevalere di una società bloccata da logiche clientelari, al prevalere di una burocrazia asfissiante, che dalla pubblica amministrazione va pericolosamente spostandosi pure nel privato, che scoraggia la libera iniziativa sopprimendo l’intraprendenza e la voglia di emergere dei giovani. La stessa scuola, che da tempo nega il metodo scientifico e la sperimentazione, non aiuta a coltivare il senso critico preferendo un sapere preconfezionato che respinge la curiosità e la creatività, elementi invece che dovrebbero essere preponderanti soprattutto tra i giovani, per guidarli verso l’esplorazione del mondo. Al contrario, si offrono scappatoie, scorciatoie per raggiungere senza alcuna conoscenza specifica un obiettivo definito comunque professionale.
Vuoi fare il sociologo? e che ci vuole? Università, studi, approfondimenti, ricerche, tesi? Tempo perso: vieni da me ché un diplomoncino, un pezzettino di carta da incorniciare te lo do… senza troppi sforzi o impegni e… pure a prezzo conveniente?
Come denuncia Piero Paganini. “Siamo l’idealtipo della Mediocrazia”!
La mediocrità è il pensiero dominante che affossa qualsiasi proposta alternativa di interpretare il mondo
Perso il senso della vergogna, si immagina che tutto sia concesso a tutti, in nome di un falso concetto di uniformità, dimenticando l’insegnamento di Seneca, che già a quel tempo ricordava che “la vergogna dovrebbe proibire a ognuno di noi di fare ciò che le leggi non proibiscono”.
Ed ecco tornare il vecchio mantra: “Studere, studere… post mortem quid valere?”
Cav. Dott. Maurizio Bonanno -giornalista, sociologo e scrittore