SCHIAVIZZATA DAL COMPAGNO E “VITTIMA” DELLA SOCIETA’ DELL’INDIFFERENZA
La riduzione in schiavitù della donna di Gizzeria e dei suoi due bambini sembra abbia paralizzato i grafomani della politica, bloccato il dinamismo della società civile, dell’associazionismo e di quanti fanno parte della galassia della solidarietà pelosa per dimostrare di esistere. Nella società dell’indifferenza tutto, come nel caso in questione, non può ridursi alla lettura di un titolo sui giornali, un take d’agenzia, un servizio tv, una news sul web. No, assolutamente, altrimenti dovremmo dare ragione a quanti sostengono che nell’era postmoderna e postindustriale anche le nostre coscienze rischiano di diventare eterodirette.La solidarietà nei confronti degli ultimi non è merce di scambio, un prodotto usa e getta tipico del modello consumistico, ma un valore umano che non può, assolutamente, essere negoziato per un ritorno d’immagine personale o di gruppo. I fotogrammi del tugurio degli orrori di Gizzeria, che la tv ha fatto entrare nelle nostre abitazioni, non hanno prodotto quella mobilitazione che, di solito, viene riservata ai fatti di sangue: la gente sembra preferirli rispetto ad altri efferati episodi che quotidianamente la cronaca ci propina. Per la riduzione in schiavitù della 29enne rumena, le privazioni e le violenze psicologiche dei due figlioletti è mancata l’indignazione e finanche un minimo tentativo di quella mobilitazione che di solito si registra quando c’è di mezzo un fatto di sangue. Oppure il protagonismo della ‘ndrangheta: organizzazione che abbiamo sempre condannato e continueremo a farlo. Ma dove c’è ‘ndrangheta esiste il protagonismo dell’anti ‘ndrangheta: due soggetti che, nonostante si collochino agli antipodi del consorzio civile, riescono a monopolizzare l’interesse dell’opinione pubblica che spesso aderisce a sfilate con canti, fiori e balli solo per il gusto di dire “io c’ero”.
Ciò avviene, intanto, per un fatto culturale, ma anche per l’uso di nuovi codici nella trasmissione delle notizie che, con la velocità che si ritrova, produce l’effetto babele e di conseguenza limita o impedisce la decodifica. Il messaggio giunge a destinazione pressoché privo di pathos e di conseguenza frena la spontanea reazione del cittadino che si mobilità solo se sollecitato da cosiddetti leader, non sempre disinteressati, che attuano strategie persuasive ampiamente collaudate. Domani ricorre la giornata contro la violenza alle donne. E noi tutti, non solo l’universo femminile, abbiamo il dovere di chiederci come mai il dramma della rumena sia durato quasi dieci anni e, senza indossare la toga di giudici, chiedere conto al servizio sociale del comune sul perché in tutto questo tempo tre esseri umani e il loro aguzzino siano stati dei fantasmi; all’istituzione scolastica e all’ufficio vaccinazioni dell’Asp la posizione dei due bambini, rispettivamente di nove e tre anni. Infine, alle forze di polizia spetta il dovere di informare l’opinione pubblica sui controlli fatti a carico l’aguzzino arrestato mercoledì scorso, il quale 22 anni fa era stato condannato per violenze consumate nei confronti di un’altra ragazza. Non mobilitarsi per esprimere solidarietà nei confronti di una donna con origini diverse dalle nostre potrebbe far nascere il sospetto di razzismo. Perché la dignità prescinde dalla nazionalità, dalla condizione sociale e dalla visibilità che ogni essere umano riesce a guadagnarsi.
Antonio Latella, giornalista e sociologo (Presidente nazionale dell’Associazione Sociologi Italiani)