Saverio Rotundo tra creazione e distruzione: alcune considerazioni

Premessa

Quanto segue rappresenta il secondo “appuntamento” con le devianze. In questo caso, e non solo, ci occuperemo della devianza come forza creatrice e innovatrice, che trova ampio spazio nei lavori di un grande artista calabrese, ossia Saverio Rotundo.

<<== dott. Davide Costa

Cenni biografici a cura di Anna Rotundo, dottoressa in linguaggio dello spettacolo del cinema e dei media

Quando una persona inizia un nuovo cammino, non terreno, chi rimane, percorrere quello che resta della propria esistenza facendo i conti con la mancanza, con l’assenza.Quando Saverio Rotundo, mio nonno, è morto mi sono ritrovata ad affrontare la vita senza di lui, senza la nostra quotidianità, senza la sua presenza così ingombrante eppure così importante.Grazie alla sua arte nonno, non è andato mai via.

Chi è Saverio Rotundo meglio conosciuto come “U’ Ciaciu”? Saverio Rotundo nasce a Catanzaro il 2 Giugno del 1923. Tutta la sua vita si è svolta in questa adorata città, senza mai allontanarsi. Rimane orfano a soli 20 anni, (il padre Francesco muore il 28 agosto 1943 a causa dei bombardamenti avvenuti a Catanzaro), prende le redini della famiglia (era il primogenito di 9 fratelli) decidendo di dedicarsi completamente al lavoro piuttosto che allo studio. La sua caparbietà lo porta ad imparare a leggere e a scrivere da solo e nel 1975 (a 52 anni) si iscrive all’Accademia di Belle Arti di Catanzaro nella sezione scultura e negli anni avvenire conseguirà tutti i diplomi previsti.

Il soprannome “Ciaciu” identificava il mio bisnonno Francesco e successivamente tutta la sua discendenza, compreso mio nonno. Quando gli veniva chiesto (anche da me), cosa volesse significare “Ciaciu” nonno raccontava che il padre quando partì per andare in guerra nel 1915, tutti gli amici e i familiari salutandolo dicevano “ciau Cì”, sommando i vari saluti e le abbreviazioni dialettali uscì fuori la parola “Ciaciu”.

L’arte del ferro e quindi la maestria nella lavorazione dello stesso l’apprende nella bottega del Maestro (Mastru) Pullano. Per lui il ferro è come una seconda pelle.  Chiunque gli è stato accanto ricorda il profumo di ferro che emanava. Nelle sue mani questo materiale diventa morbido, malleabile, riesce a dominarlo e plasmarlo.

Per la realizzazione delle sue opere non utilizza solo il ferro ma anche, creta, gesso, mattoni, materiale cartaceo, tessuti, legno, pietra, lattine e plastica. Con molti di questi materiali ha realizzato abiti e cappelli che lui stesso indossava durante manifestazioni o performance. Attraverso i colori accesi e discordanti degli abiti, degli oggetti che indossava, e del trucco che spesso utilizzava in volto si può affermare che diveniva lui stesso opera d’arte.Nel corso degli anni ha realizzato numerose sculture in ferro di piccole, medie e grandi dimensioni, riciclando svariati materiali.

Negli anni ‘70 prendono vita i suoi lavori più importanti, ad esempio, ispirato dalle disposizioni di circolazione automobilistica a targhe alterne, crea “Malinconia dei giorni festivi” (fig.1), una scultura di grandi dimensioni realizzata con ferri di cavallo e altro materiale ferroso (fig.2), ritrae una donna dalle forme armoniose stringere tra le mani un volante d’auto; degli stessi anni è l’opera  “La minigonna” (fig.3), realizzata con rame sbalzato e punzonato, ritrae una donna in minigonna, simbolo dei movimenti femministi.

 Gli anni ’80 sono caratterizzati dalla realizzazione di opere di grandi dimensioni tra cui “L’Aquila”, “Cavallo” e “Il calciatore agguerrito” (fig.4), quest’ultimo realizzato in ferro e rame alto circa 3 metri. A metà degli anni ’80 inizia a ricevere i primi premi, il diploma di qualifica 1^ biennale “Città di Firenze”, l’assegnazione del diploma 1^ lingotto d’oro “omaggio a Donatello, rilasciato a Roma dall’Accademia internazionale, il titolo accademico d’onore 1^ Medaglia d’oro “Città di Parigi”, rilasciato dall’accademia culturale italiana Scandicci (Firenze).

 Sono di recente creazione “Pietà per Mussolini” (fig.5) e “A serpa”, entrambe esposte, con sua grande soddisfazione, a Villa Bagatti a Varedo, in occasione di “ExpoArteItaliana”.

A causa di una rovinosa caduta e dopo aver lottato da guerriero, si spegne il 26 maggio 2019, all’età di 96 anni, all’ospedale di Serra San Bruno (VV) con accanto i suoi affetti più cari. Il complesso monumentale del San Giovanni ha ospitato la camera ardente e i funerali si sono svolti, nella giornata di lutto cittadino, il 28 maggio 2019.

L’arte di nonno è difficile da inquadrare. È un’arte indipendente, che ha voglia di sperimentare e creare una nuova arte. Attraverso la sperimentazione riesce a concretizzare le proprie idee. Disfa e costruisce costantemente, la sua serietà nel fare le cose non tollera derisioni, come invece accadde negli svariati anni.

Un pensiero costante durante la sua esistenza è l’amarezza di non essere apprezzato dalla propria città e di essere vessato dai politicanti del momento.                                                                                     

Dopo la sua morte, ad un tratto, le sue opere non sono più accozzaglie di ferro o orride creazioni, tanto è vero che, in un articolo addirittura è stato scritto che sarebbe necessario installare un cartello, presso una proprietà di mio nonno, e spiegare che ci si trova d’avanti ad un’opera d’arte e non ad una discarica. Così tutto è cambiato, le sue sono definite vere e proprie opere d’arte e di questo sono molto felice. Dare riconoscimento ad un uomo che ha donato tutta la sua vita all’arte è una bellissima cosa.

Nonno diceva: “La spazzatura è oro. Di cosa credi siano pieni i musei. Un giorno le discariche verranno scavate come miniere” (fig. 6). In fondo alla discarica si può trovare tutto quello di cui si ha bisogno, così da poter dar vita e speranza agli oggetti, come se si attuasse una trasfigurazione onirica – favolistica, come del resto è stata la sua vita, sospesa tra sogno e realtà.

Da qui anche il nome del suo laboratorio “Galleria dell’Arte di tutti i tempi dell’Abbandono” (riaperta da poco). L’ho sempre vista e concepita come una “nuova bottega d’artista” in cui nonno trae le migliori idee per la sua arte. È un laboratorio dove si respirava aria di novità, energia innovativa.

I materiali da lui utilizzati, non sono nati come opere d’arte, ma lo diventano per pura imposizione e forza di volontà dell’artista. Pensiamo alla serie di sculture che realizza negli ultimi anni, lattine schiacciate e assemblate tra di loro. Sono prodotti realizzati in serie, se pur con alcune varianti (utilizza lattine di coca-cola, Fanta, Sprite, latta di caffe etc.). Si perde l’unicità dell’opera, tipica dell’arte tradizionale, accostandosi alla cultura di massa che è anche la base della teoria della Pop-Art.

La mia mente torna all’infanzia, e penso a qualche ricorrenza particolare, quando, scartando qualche regalo, pretendeva che la carta non venisse buttata perché “può servire per realizzare qualche opera o ricoprire chissà che cosa”. Ed ecco che mi ritrovo ancora oggi con questo insegnamento: non gettare nulla e conservare anche la  più piccola cosa che per gli altri potrebbe essere unicamente spazzatura, mentre per me è un tesoro inestimabile.          

Nonno ha lasciato tanto di sé tra cui il precetto di amare l’arte e la libertà sopra ogni cosa a discapito anche delle persone che ci stanno accanto!

A distanza di 1 anno dalla sua scomparsa, nonno non smette mai di stupirmi!                                           Dopo la sua morte, insieme a mia sorella Rita e al caro amico Stefano, abbiamo scoperto un archivio storico costituito da migliaia di foto e vari documenti. Ciò che mi ha colpito era l’ordine, non certo una delle sue peculiarità, e la meticolosità dell’archiviazione; ho ritrovato opere, lettere, foto mai viste prima! Il che mi ha consentito di ricostruire una parte della sua vita artistica che non conoscevo minimamente. Di materiali ne abbiamo trovato tanto, ma uno a mio avviso resta esemplificativo…Tra gli appunti datati 1980 ho rinvenuto un bigliettino con su scritto: “Crisi politica, crisi economica, crisi energetica ecc. arte più avanti”.                                                                                                                            Ancora una volta l’arte!

 Grazie a lui, l’arte ha superato tutti questi ostacoli, e a sua volta, grazie ad essi è riuscita a trarne beneficio attraverso l’esplosione della creatività. Tutto è più semplice con l’arte.  

Voglio concludere questo breve racconto con un dialogo che avveniva giornalmente tra me e lui. Quando si preparava per uscire, lo aiutavo a mettere la giacca o il suo inconfondibile camice blu da lavoro e mi diceva: «Io vado, buona giornata bella mia», ed io rispondevo: «Buon lavoro nonno».  Ebbene con un sorriso nostalgico anche oggi rinnovo il mio augurio: Buon lavoro nonno.

Considerazioni sociologiche a cura di Davide Costa, Sociologo e segretario regionale dell’Asi

L’arte è (…) assolutamente refrattaria a tutto ciò che assomiglia a una obbligazione, poiché è il dominio della libertà. Essa è un lusso ed un ornamento che è forse piacevole avere,(…).(…)  L’arte corrisponde al bisogno di espandere la nostra attività senza un fine preciso, per il piacere di espanderla”(Durkheim, 1899).

Era così che intendeva l’arte uno dei padri fondatori della sociologia, ovvero Emile Durkheim; eppure sembra una definizione creata ad hoc per un grande artista come Saverio Rotundo!

L’arte è il dominio della libertà, ma è anche espressione di quella naturale tensione che intercorre tra l’individuo e la società, tra valori collettivamente definiti e bisogni inconsci. 

Perché  si parla su una rivista sociologica de “U Ciaciu”? Per un motivo molto semplice, perché la sociologia si interroga anche sulle relazioni che intercorrono fra  la creatività artistica e il contesto sociale. Inoltre “L’ arte costituisce un settore della cultura estremamente ampio e variegato, nel quale trovano espressione emozioni, sentimenti, dimensioni del desiderio e dell’immaginario individuale e collettivo, rappresentazioni della realtà naturale e sociale, concezioni del mondo e della vita”(Caramiello et al, 2016)

Quindi, l’arte è per sua stessa natura una fotografia della società; nel caso di Saverio Rotundo, parliamo di una vera e propria forma di “arte sociologica”;  così appare evidente come la sociologia e  l’immensa eredità artistica lasciata dal Maestro Saverio possiedano una sorta di “interdipendenza funzionale”, forse perché in questo artista, e nelle sue opere, vi era quella forma di sociologia, che Alessandro Cavalli definisce “ingenua” ossia una sorta di propensione  innata verso la lettura e l’analisi della società…. Un artista, come  u Ciaciu, è un “sociologo visuale e iconografico”.

Ma ancora più interessante è la questione della coesistenza della creazione e distruzione nelle sue opere.

La convivenza di questi due fenomeni opposti ci ricorda come “… la vita di quest’universo è un perpetuo circuito di produzione e distruzione, collegate ambedue tra sé di maniera, che ciascheduna serve continuamente all’altra, ed alla conservazione del mondo; il quale sempre che cercasse o l’una o l’altra di loro, verrebbe parimente in dissoluzione”(Leopardi 1998).

Saverio Rotundo recuperava materiali abbandonati per farne opere d’arte… Molto spesso gli oggetti impiegati venivano promossi a nuova vita, distruggendo completamente la loro natura originaria.

Dappertutto è conosciuto come l’artista dell’abbandono… Ciò che non meritava di essere più considerato, nelle sue mani, prendeva una nuova vita.E’ in questi termini che Saverio Rotundo sembra aver interiorizzato il celebre concetto di Sabina Spielrein secondo il quale la distruzione sarebbe causa della nascita.

Ecco la frase immortale: “Una parte di quella forza che vuole sempre il Male e opera  sempre il bene”. Questa forza demoniaca, che nella sua essenza è distruzione(il male) e contemporaneamente anche forza creativa, dato che dalla distruzione(…)  ne nasce uno nuovo”(Spielrein frammento di una lettera inviata a Freud nel 1909).

Creazione e distruzione, che potremmo anche definire come “Eros e  pulsione distruttiva” per dirla in termini freudiani, le cui caratteristiche principali trovano una significativa definizione nella prima scena del “Faust” di Goethe, quando Mefistofele, definisce egregiamente la pulsione distruttrice:

Perché tutto ciò che nasce

Merita di perire(…)

Quindi tutto ciò che voi chiamate peccato,

Distruzione e, insomma, Male

E’ il mio vero elemento”.

Ma, nella stessa scena, descrive brillantemente anche l’Eros e la sua forza creatrice:

Nell’aria, nell’acqua e nella terra

E’ un continuo multiforme germinare,

Con l’umido e col secco, col caldo e col freddo,

Se a me non avessi riservato il fuoco,

Davvero che non ci avrei più neanche una mia specialità”.

Saverio Rotundo, così, è un vero cultore della  “burrasca di distruzione creativa”, per dirla alla Schumpeter, ovverossia del “processo di mutazione (…) che rivoluziona incessantemente la struttura (…)dall’interno, distruggendo senza sosta quella vecchia e creando sempre una nuova”(Schumpeter 1994).

E’ necessario insistere ancora su questo concetto della coesistenza della creazione con la distruzione, perché potrebbe essere un nuovo importante paradigma psicosociologico con il quale analizzare fenomeni sociali come quelli artistici e non solo. Sulla scia di questa precisazione, il coesistere di questi due eventi opposti, ma interdipendenti, potrebbe spingerci a definire Saverio Rotundo e le sue opere come śivaisti.

Śiva, una delle grandi divinità dell’induismo, è contemporaneamente creatrice e distruttrice, infatti nel suo culto “(…) La vita si alimenta con la morte. Non c’è nulla che viva senza distruggere, divorando vita”(Daniélou 1980).

E, proprio come u Ciaciu, anche Śiva è un amante dei luoghi dell’abbandono che diventano la fucina di nuove opere, infatti “(…)ama i luoghi della cremazione, ma cosa distrugge? Non soltanto i cieli e la terra alla fine del ciclo, ma anche le catene che legano ogni anima individuale. Che cos’è il luogo  della cremazione? Non già il posto in cui si bruciano le spoglie mortali, ma il cuore dei suoi fedeli, trasformati in deserto. Il luogo in cui l’ego è distrutto rappresenta lo stato in cui l’illusione e le azioni sono ridotte in cenere”(Coomaraswamy 1948).

Le opere di Saverio Rotundo, sono illusioni tangibili di azioni,  frammenti sociali polverizzati; ed è così che l’arte  di questo creatore-distruttore “(…)è parte “dissidente” del fluire storico, da cui fatalmente si differenzia, sia per formalità che per valore d’uso. Tanto è vero che l’uomo, nel circondarsi di oggetti d’arte, quindi nell’oggettivare “l’ideale dell’arte” non possiede in realtà tale ideale, ma partecipa ad un processo di conversione energetica degli oggetti, il cui sviluppo transnaturale delle loro energie vale come processo culturale”(Cossi, 2005).

La “dissidenza” creatrice e distruttrice di questo grande visionario è ancora oggi tangibile, anzi è più forte che mai! Perché alla creazione e alla distruzione consegue un costante fluire di forme, nel senso simmelliano del termine, ovverossia “(…) forme di relazione, istituzioni, simboli, idee, prodotti della vita economica ed opere artistiche”(Jedlowski 2011), e in ognuna di queste manifestazioni la vita, e la morte, creazione e distruzione, si affermano con forza sempre più preponderante, da cui, a sua volta discende il mutamento di tutte le “cose” di cui ‘Mastro’ Saverio resterà un grande Maestro perché “Il mutamento(…) è l’indice, o piuttosto la conseguenza dell’infinita fecondità della vita-e quindi della creazione e della distruzione-ma anche della profonda contraddizione in cui sta il suo eterno divenire e mutarsi di fronte all’obiettiva validità e l’autoaffermazione delle sue manifestazioni e forme, con le quali o nelle quali essa vive”(Simmel 1976).

Approfondimenti

E’ possibile scaricare cliccando sul link una galleria fotografica su alcune delle opere di Saverio Rotundo.

Riferimenti bibliografici

Caramiello L., di Martino G., Romano M, (2016), Percorsi di sociologia dell’Arte: Materiali per una formazione riflessiva.

Coomaraswamy A., (1948), The Dance of Shiva.

Cossi G. M., (2005), Il contributo dei classici alla sociologia dell’arte.

Daniélou A., (1980), Śiva e Dioniso la religione della natura e dell’eros.

Durkheim E.(1899), Rappresentazioni individuali e rappresentazioni collettive.

Goethe J. W.,(2005), Faust.

Jedlowski P., (2011), Il mondo in questione.

Leopardi G,(1832), Operette morali.

Schumpeter J. A.,(1994),  Capitalism, Socialism and Democracy.

Simmel G, (1907), Filosofia del denaro.

Zolberg, V.L., (1994), Sociologia dell’arte.


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