SANREMO, IL FESTIVAL DEI FIORI PRESI A CALCI
di Antonio Latella –
Se sulla sua musica “degustibus non disputandum est”, molto da dire, invece, vi è sul rispetto per le persone e le cose. E non basta un nome d’arte per sentirsi al centro dell’universo al punto da devastare il palcoscenico di Sanremo.
<<== Antonio Latella sociologo e giornalista
Una licenza artistica? Macché! Un’improvvisa rabbia, o mania di protagonismo? La prima non è certo un alibi, mentre il secondo rivela arroganza – ci consenta, Sig. rapper o cantante che sia – violenza, mancanza di riguardo, innanzitutto nei confronti del Capo dello Stato e, finanche, un duro attacco ai nostri valori di civiltà. Valori, ahinoi, sempre più contaminati dal clima di incontinenza verbale e fisica che è una delle caratteristiche dell’attuale società globalizzata.
Sanremo è un avvenimento identitario della nostra cultura musicale che, nonostante una metamorfosi lunga oltre 70 anni, non ha perso il fascino di una kermesse che aggrega milioni di italiani, e non solo di nostri connazionali, i quali restano in messianica attesa fin dall’estate precedente.
Eppure con l’inno di Mameli la serata inaugurale del Festival ci aveva fatto vivere un momento di grande emozione e di spirito patriottico. Proprio per questo, anche se non siamo giudici, non possiamo non osservare che quella scena, quasi isterica, non è passata inosservata a tutti quei bambini, adolescenti e giovani che hanno assistito al Festival davanti al piccolo schermo.
L’espressione popperiana “televisione cattiva maestra” non si riferisce tanto al mezzo, quanto ai messaggi che veicolati dalla fonte influenzano, spesso in modo negativo, milioni di telespettatori, in particolare le fasce di età più esposte al rischio dell’emulazione.
Ci rendiamo conto che è facile ragionare con senno di poi, di cui manzonianamente son piene le fosse, specie quando un episodio del genere si consuma nel corso di uno spettacolo in diretta. Quanti, come chi scrive, si sono ritrovati per anni a dover affrontare il bello (e il brutto) della diretta sanno che esiste una componente di alea con cui bisogna fare i conti. Ma è lecito domandarsi se la poderosa macchina organizzativa del Festival abbia fatto tutto il possibile, per ridurre al minimo il rischio di sortite come quella di martedì sera.
Ci si domanda, dunque, se gli artisti che si avvicendano sul palcoscenico del teatro Ariston siano preventivamente chiamati a sottoscrivere un codice etico o deontologico, visto che si esibiscono davanti a un pubblico di milioni di persone di ogni età; e, ancora, se siano previste delle sanzioni – come una multa o l’esclusione dalla gara – nel caso di comportamenti che possono offendere la sensibilità degli spettatori. Nel passato non sono mancate occasioni in cui, ad esempio, alcuni artisti hanno caratterizzato le loro esibizioni con comportamenti o con usi inappropriati di simboli religiosi, che hanno turbato le coscienze di tante persone.
Possibile che, per uno show che viene preparato nei dodici mesi precedenti, non sia stato trovato ancora un modo per impedire performance sopra le righe? In attesa di una risposta all’opinione pubblica, che probabilmente non arriverà mai, è fondato il sospetto che, tutto sommato, questi episodi servano ad aumentare l’audience, con l’involontario aiuto di quanti abboccano all’esca di simili comportamenti. Proprio come noi, che stiamo qui a scriverne.