Salutogenesi: la salute dipende dagli stili di vita e non solo
Il contributo della sociologia in merito agli aspetti che interessano la costruzione e il mantenimento della buona salute è rilevante, e lo è perché è proprio dalle ricerche di un sociologo[1] della salute di nome Aaron Antonovsky che si assiste alla nascita della salutogenesi. Salutogenesi significa: ricerca dei fattori che promuovono la salute (la parola “salutogenesi”, di fatto, deriva dal latino salus = salute e la genesi greca = origine).
La sociologia della salute parte dall’assunto che la sanità, così come la malattia, è un fatto sociale nel senso più ampio del termine ovvero politico, economico e culturale. Lo stato di infermità, come quello di salute, è determinato storicamente e culturalmente e non può ridursi assolutamente a mero fatto biologico. Studi antropologici hanno appurato come per alcune società un sintomo è considerato malattia, mentre per altre non lo è, ma viene ritenuto addirittura normale, piuttosto tollerabile e conseguente a stili di vita indaffarati. Persino la stessa cura delle malattie si differenzia spazialmente e temporalmente: basti pensare alle differenze tra la medicina occidentale e quella tradizionale cinese, entrambe riconosciute come valide dai rispettivi paesi di appartenenza. Tutto ciò significa, quindi, che non possiamo ridurre il significato di salute e malattia a qualcosa di strettamente biologico come suggerisce l’approccio biomedico, ma salute e malattia vanno considerati come costrutti sociali, cioè prodotti della nostra società.
Resta allora da chiedersi cosa ci dice la ricerca del padre del paradigma salutogenico Antonovsky (1923-1994) in merito alla costruzione della salute. Come si è arrivati a comprendere che la salute non è solo assenza di malattia, così come stabilisce anche l’OMS? Circa quaranta anni fa Antonovsky elaborò il modello della salutogenesi a partire dalle storie raccolte sull’esperienza di salute/malattia tra persone che avevano vissuto traumi importanti ed esperienze negative; in particolare osservò l’adattamento di donne ebree sopravvissute all’esperienza traumatica dei campi di sterminio durante la Seconda Guerra Mondiale. Indagando sulle loro condizioni di salute mentale, Antonovsky si accorse che alcune di queste non solo avevano saputo affrontare il dramma in modo coraggioso, ma erano state in grado di rispondere con adattamenti migliori a cause di stress successive. Antonovsky scoprì che molte persone erano riuscite a ritrovare il proprio equilibrio e a costruire “salute” nello loro vita quotidiana nonostante un trauma, una disabilità, una malattia. Da questa sorgente si generò la domanda salutogenica: cosa permette alle persone di apprendere come costruire e ricostruire il proprio equilibrio di salute e la propria qualità di vita? Cosa permette a un individuo di passare da una situazione di malessere ad una di benessere? Antonovsky lo spiega interpretando la salute come un continuum fra salute e malattia. Ognuno di noi si posiziona su questa linea immaginaria e ognuno di noi dispone di risorse e opportunità per favorire lo spostamento della propria condizione personale verso il polo della salute. La salutogenesi ci aiuta a capire, dunque, perché le persone rimangono sane e Antonovsky risponde in maniera molto semplice a questo interrogativo, attraverso il concetto di Sense of Coherence (SOC) il senso di coerenza caratterizzato da un forte e duraturo senso di fiducia nel fatto che il mondo è prevedibile e che c’è una buona probabilità che le cose vadano come noi ci aspettiamo. Quindi, potremmo dire che il SOC è uno stile di pensiero fondato su: prevedibilità, ottimismo e fiducia in se stessi. Ciò permette all’individuo di rispondere agli eventi con tre modalità vincenti:
- Comprensibilità (gli stimoli esterni sono prevedibili e spiegabili; rappresenta la DIMENSIONE COGNITIVA)
- Affrontabilità (dentro di me ci sono tutte le risorse per poter rispondere a questi stimoli: rappresenta la DIMENSIONE COMPORTAMENTALE)
- Significatività (ogni stimolo, ogni evento che mi accade è una sfida degna di impegno, quindi portatrice di significato; rappresenta la DIMENSIONE MOTIVAZIONALE)
Secondo Antonovsky, il SOC si forma durante l’infanzia e l’adolescenza e si stabilizza intorno ai 25-30 anni; esso rappresenta il nostro orientamento generale verso il mondo e il futuro.
Oltre al costrutto del SOC, Antonovsky formula quello del General Resistance Resources (GRR) il quale non è altro che l’insieme delle risorse salutogeniche interne ed esterne che ci permettono di affrontare i fattori di stress. In particolare, ci riferiamo a fattori:
- Biologici (sana costituzione)
- Materiali (denaro)
- Psico-sociali (conoscenze, autostima, capitale culturale, intelligenza, ecc…)
Nello specifico, le risorse salutogeniche interne sono tutte quelle potenzialità psicologiche, relazionali, emotive, mentali e cognitive dell’individuo (assests personali); le risorse salutogeniche esterne, invece, sono quelle economiche, sociali, culturali, ambientali (assests di contesto). Quello che è interessante notare in questo studio, è che le capacità di ognuno di noi di produrre salute sono indipendenti dalle attività dei sistemi sanitari. Questo significa che i sistemi sanitari non sono indispensabili nei processi salutogenici. La salute si crea a partire dagli STILI DI VITA che adottiamo. Altra puntualizzazione da fare è la distinzione tra prevenzione e promozione della salute; prevenzione significa prevenire eventi patogenici, mentre promozione vuol dire incentivare tutte quelle strategie che possono migliorare ulteriormente benessere e salute. Tutte le discipline devono concorrere alla promozione della salute. Pertanto, per una buona prevenzione e promozione della salute è di fondamentale importanza avere una VISIONE OLISTICA non solo dell’uomo, ma della conoscenza in generale poiché è solo attraverso l’interdisciplinarietà tra le diverse scienze (medicina, psicologia, filosofia, sociologia, pedagogia, ecc..) che è possibile creare una alchimia della salute, un benessere solido a 360 gradi. L’approccio più funzionale, quindi, non è tanto quello di combattere la malattia, ma di “espandere la salute” nell’ottica dell’approccio salutogenico, visto che in noi sono presenti tutte le condizioni per tornare in una situazione di EQUILIBRIO. A tal proposito, è importante imparare ad adottare stili di vita sani: dall’alimentazione corretta all’attività fisica, dal rispetto per il nostro corpo alla comprensione delle nostre emozioni, che implica la non repressione, ma l’accettazione di noi stessi. Tutti comportamenti che vanno appresi e messi in pratica grazie a figure di riferimento importanti che fungono da EDUCATORI A CORRETTI STILI DI VITA, come può essere la figura: del naturopata, dell’operatore shiatsu, del nutrizionista, dello stesso medico che incentra il proprio intervento sulla persona e non solo sul sintomo. Educare alla salute significa insegnare ad apprendere le regole che ci permettono di preservare il nostro stato di benessere. Qualcuno potrebbe chiedersi: perché investire tempo e denaro nel mantenimento della salute? Perché la salute si costruisce ininterrottamente da quando nasciamo a quando invecchiamo ed è l’unico capitale sul quale vale la pena investire. Se la scienza clinica e l’approccio biomedico finora si è concentrato troppo sui processi patogenici (cioè quelli che causano malattie e forme di malessere), è arrivato il momento di concentrarsi sulla comprensione dei fattori che proteggono la salute (fattori salutogenici). Del resto, fin dal 1948 l’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) definisce la salute come qualcosa di più dell’assenza di malattia, precisamente come: “uno stato di completo benessere fisico, psicologico e sociale e non semplice assenza di malattia o di infermità”. Emerge, dunque, un approccio BIO-PSICO-SOCIALE alla salute (Bertini, 1984), tant’è che si arriva a parlare di MEDICINA PREVENTIVA (Hilleboe) cioè quel tipo di medicina in cui tecniche mediche, sociali e del comportamento si mescolano allo scopo di fornire agli individui tutte le conoscenze necessarie per prevenire l’insorgenza di malattie.
Se l’approccio biomedico è ancorato a una visione dicotomica salute/malattia con eccessiva medicalizzazione di ogni aspetto della vita, quello bio-psico-sociale riconosce, oltre ai determinanti biologici, anche l’influenza della dimensione psicologica, emozionale e spirituale, nonchè l’incidenza delle relazioni interpersonali sullo stato di salute. La commistione tra approccio biomedico e approccio bio-psicosociale incentiva la costruzione di un paradigma olistico della cura in cui è l’individuo co-protagonista di tutti i processi inerenti il suo stato di salute. Da aggiungere, che l’interesse dell’OMS a promuovere la salute è dettato anche e soprattutto da ragioni economiche. Infatti, i Governi si sono accorti che le inequità di stato di salute tra gruppi sociali aumentano sempre di più. La distribuzione della salute e della malattia all’interno della società mostra grandi disuguaglianze e questo suscita interesse e preoccupazione sia sul piano politico sia su quello sociologico. Ad oggi, non ci sono le risorse economiche per sanare questo divario e la sola scienza clinica non riesce a intervenire sufficientemente sul moltiplicarsi di patologie a livello mondiale. L’unica strada percorribile per sanare questa piaga e ridurre il divario in termini di inequità di stato di salute tra i Paesi e al loro interno, resta la promozione della salute e il riorientamento degli investimenti dei diversi Governi in direzione dello sviluppo della salute.
Una volta delineate per grandi linee le caratteristiche della salutogenesi, vorrei giusto aggiungere qualche considerazione in merito all’applicazione delle medicine alternative o complementari ossia tutte quelle pratiche di cura che si oppongono o si aggiungono alla cosiddetta medicina ufficiale (Greco, 2016). I modelli alternativi di sanità e malattia sono sempre coesistiti insieme al punto di vista biomedico della medicina allopatica, quella ufficiale per intenderci. Ciò che emerge negli ultimi anni è il massiccio ricorso a queste pratiche complementari come: naturopatia, omeopatia, shiatsu, riflessologia, cristalloterapia, ecc. Perché si registra questo aumentato ricorso alla medicina alternativa? Secondo una ricerca condotta in Inghilterra, le persone si rivolgono alla pratiche complementari per una insoddisfazione nei confronti della medicina convenzionale. Del resto, la medicina ufficiale ha rivelato dei limiti nell’applicazione farmacologica ad alcune patologie. Inoltre, la medicina alternativa è una medicina dolce, non invasiva né aggressiva che ha la capacità di rivolgersi all’individuo in maniera empatica, cioè mettendosi nei panni del paziente. Il contatto umano gratificante per i malati, la dimensione soggettiva della malattia, l’attenzione e l’ascolto del paziente e la visione olistica nel trattamento della disfunzione sono sicuramente dei punti di forza delle pratiche di cura alternativa. Il modo di intendere la relazione di cura si basa su un ruolo attivo del paziente e sul riconoscimento dell’individualità dell’altra persona. Questo processo di UMANIZZAZIONE DELLE CURE è ciò che si cerca di portare anche al centro della medicina convenzionale; per umanizzazione delle cure si intende tutto ciò che, pur non guarendo, fa stare meglio perché si basa sull’apertura e sulla comprensione dell’interiorità del paziente, sull’attenzione alla persona come unica e insostituibile, sul malato come essere umano e non numero di posto letto con cui dialogare e apprendere forza e debolezza del trattamento medico. Da sottolineare che le medicine alternative intervengono, il più delle volte, in tutte quelle situazioni in cui si sta delineando la condizione rivelatrice o prodromica di una patologia. Solitamente si parla di DISTURBI FUNZIONALI, cioè situazioni borderline difficilmente inquadrabili per la medicina convenzionale e che colloca tali condizioni precliniche tra i disturbi psicosomatici. La visione olistica delle medicine complementari che si concentra sulla triade corpo-mente-spirito, ha particolarmente a cuore la cura dei disturbi psicosomatici. In passato questa relazione mente-corpo non era spiegabile scientificamente, fino alla scoperta di una novità che ha rivoluzionato il paradigma medico dagli anni ’80, ovvero l’evidenza di un sistema integrato chiamato PNEI (Psico-neuro-endocrino-immunologia), il quale mette proprio in relazione tre apparati:
-endocrino
-immunitario
-nervoso
Questo sistema dimostra biologicamente come lo stato mentale ed emotivo possono influenzare la risposta immunitaria, cosa non razionalizzabile dalla biologia e dalla medicina fino a qualche anno fa ossia prima della scoperta del sistema PNEI. Tutto questo, per dire che medicina convenzionale e medicina complementare sono in continua evoluzione, così come l’approccio salutogenico sta modificando i nostri stili di vita in vista di una costruzione autentica del benessere e della ricerca di una guarigione (intesa come armonia ed equilibrio) piuttosto che di una cura.
[1] La sociologia è quella scienza che studia i rapporti intersoggettivi e cerca di comprendere il nesso tra individuo e società. Si interessa della comprensione delle relazioni tra gli uomini e gli effetti che queste relazioni hanno sulla società, nonché ai mutamenti sociali. La sociologia della salute sostiene un nuovo modello di gestione della salute incentrato sulla promozione del benessere sociale. IN particolare, studia il rapporto tra i diversi attori sociali e istituzioni in merito alla costruzione sociale del benessere. Risponde alle seguenti domande: quali sono i processi sociali coinvolti nel fatto di ammalarsi? Quali quelli inerenti il mantenimento della salute? Qual è il rapporto tra professionisti e pazienti? Tenendo presente che salute e malattia sono costruzioni sociali (cioè cambiano di significato a seconda delle culture di riferimento e del contesto storico) la sociologia della salute cerca di formulare nuove interpretazioni del lavoro sanitario.
(Dott.ssa Sonia Angelisi – sociologa, counselor, ricercatrice indipendente)