RUOLO E RESPONSABILITA’ DEI MASS MEDIA NELLA CRISI ECONOMICA E SOCIALE

Foto giornali

Quante volte abbiamo sentito l’espressione “parole al vento”? Quante altre ci è tornato in mente quel vecchio brocardo latino, secondo cui “verba volant, scripta manent”? Frasi cariche di significato, ma oggi destinate ad essere ridimensionate nella loro portata. Viviamo nell’era della comunicazione globale, e il piano dell’essere è fortemente influenzato da quello dell’apparire. Oggi, sempre più spesso, nella vita di relazione e in quella lavorativa, l’immagine assume un valore che è paragonabile a quello della realtà sostanziale delle cose.
Sul piano mediatico, ciò che sembra si sovrappone a ciò che è, fino a indurre l’universo ricevente – sia esso rappresentato dal lettore, dal telespettatore, dal fruitore di uno spettacolo – a confondere inesorabilmente l’uno con l’altro. La veritàraccontata, dunque, finisce per coincidere con una sorta di verità assoluta. E la rappresentazione dei fatti arriva a incidere sulla stessa natura delle cose.
Quest’ultimo assunto è verificabile, ad esempio, nel campo del diritto. Come si apprende sugli scranni delle facoltà di giurisprudenza, la legge è uno degli ambiti in cui sono le parole a determinare la realtà. Basta approvare una legge per modificare lo status quo.

Facciamo l’esempio dell’indulto: istituto che estingue una pena e fa uscire determinate categorie di persone dal carcere. La parola, dunque, incide concretamente sul mondo che ci circonda, sulla vita delle persone e su uno dei diritti più preziosi per l’uomo: la libertà personale. È così anche nell’economia, che oggi è sempre meno legata allo scambio reale – io produco un bene e tu lo paghi – ma sempre più dipendente e infettata dalla finanza. Io ti presto del denaro e tu, Stato, sei così poco affidabile che mi restituirai quella somma con un alto tasso d’interesse.
Lo spread sale, mentre gli speculatori prendono di mira un mercato borsistico e scatenano tempeste finanziarie che lasciano solo macerie sul terreno. E l’informazione, in tutto questo, che ruolo ha? Un ruolo centrale. Perché in un mondo in cui sono i mass-media a dettare finanche l’agenda dei governi, l’incidenza dei fatti rappresentati in campo politico, economico e sociale è enorme. Gli organi d’informazione diventano bisturi che, messi nelle mani sbagliate, invece di recidere il bubbone della crisi, rischiano di procurare orrende e forse irreparabili cicatrici al tessuto economico e sociale. L’attuale crisi globale, la prima che si registra nell’era digitale, finisce per condizionare i media i cui contenuti sono improntati sul catastrofismo, sulla paura. Un sentimento che, oggi – come sostiene Bauman – è l’elemento che unisce gli uomini. C’è poi la corsa per arrivare primi sulla notizia e pur di darla non si approfondisce il contenuto, provocando una sorta di narcosi in chi viene bombardato da migliaia di messaggi che, per la velocità che lo sviluppo tecnologico imprime all’informazione, diventa privo di senso critico sia nei confronti della parola che delle immagini.
Di fronte ad una situazione di recessione come quella che stiamo vivendo, al mondo dell’informazione è richiesto un “quid” in più in termini di serietà e affidabilità . Un fatto rappresentato all’opinione pubblica in termini sbagliati può determinare conseguenze negative sul rendimento economico di un’azienda quotata, sulle prese di posizione di un governo, sulla sensibilità degli investitori e dei risparmiatori e, di riflesso, sull’economia reale. È una spaventosa, inesorabile concatenazione di eventi che finisce per ripercuotersi sulla quotidianità dei cittadini. Sui prezzi dei beni di consumo, sulle tariffe dei servizi, sugli acquisti di ogni giorno. E’ evidente, dunque, la responsabilità che esiste in capo ai mass-media. Soprattutto i new media, e i media caldi, che non si limitano a raccontare i fatti, ma indirettamente condizionano e orientano gli stessi mercati.
E non soltanto i mercati, ma anche la vita di relazione, l’educazione dei giovani, le abitudini, gli orientamenti culturali e lo stesso modo di interpretare i fatti. Per molti mesi, il dibattito politico, nel nostro Paese, è ruotato attorno alla polemica sulla negazione della crisi economica. Sottovalutazione di chi, all’epoca, sedeva a Palazzo Chigi e in via XX Settembre, con la “sponda” acritica di giornali, radio e tv? Oppure improvviso aggravarsi della situazione? Non sta a noi esprimere giudizi di merito politici, ma dobbiamo prendere atto che, probabilmente, gli organi d’informazione su questo tema cruciale non hanno fatto fino in fondo il loro dovere. Pochi approfondimenti, scarso senso critico, rare prese di posizione che andassero oltre il tradizionale ping pong delle dichiarazioni di maggioranza e opposizione. Ma se un’altra censura può essere mossa, e questa sul piano etico e deontologico è ancora più grave, riguarda il modo in cui vengono trattati i casi, assai pietosi, dei suicidi che sarebbero indotti dalla crisi economica. Come detto, le difficolt� , oggi, sono enormi. Soprattutto a causa della mancanza di liquidità determinata da un sistema bancario rigido e – ci sia consentito di dirlo – debole con i forti e forte con i deboli. Privi delle risorse necessarie per mandare avanti le loro attività economiche, e psicologicamente vinti da una condizione insostenibile e dal peso di determinare il futuro di intere famiglie, tanti imprenditori, soprattutto nelle regioni del Nord-Est, si sono tolti la vita.
Da parte dei mass-media, troppo spesso, si è puntato solo a enfatizzare il dato di cronaca, piuttosto che andarne a indagare le cause più profonde. Esiste un endemico aumento dei casi di suicidio? Se sì, perché? E come porvi rimedio? Quali supporti, di carattere psicologico e sociale, possono essere forniti a chi deve far fronte a difficoltà che appaiono insormontabili? È questa una delle tante responsabilità della categoria dei giornalisti, degli opinionisti, degli “addetti ai lavori” che proferiscono giudizi trancianti, quasi sempre, ex post. Ecco l’esigenza di serietà e di affidabilità di cui parlavamo. Oggi, in uno dei momenti più delicati che la nostra storia ricordi, è indispensabile che ciascuno faccia la propria parte con impegno e rigore. Ai giornalisti viene inoltre richiesto qualche requisito in più: la terzietà , l’imparzialità , l’equilibrio, la prudenza.
Caratteristiche che, però, non è facile acquisire. Spesso sono doti di natura. Ma laddove queste predisposizioni caratteriali manchino a chi svolge il delicato compito di informare, è necessario sopperire a queste carenze. L’unico modo è “codificare” i comportamenti ammessi e restringere ulteriormente le maglie della deontologia professionale. Ecco perché sarebbe auspicabile l’apertura di un grande tavolo nazionale, con l’Ordine dei giornalisti, il Sindacato, le associazioni dei sociologi, i rappresentanti del mondo dell’impresa e dei lavoratori, per varare una sorta di nuova “carta” di autoregolamentazione di questa professione. In tempi di crisi, è richiesto uno sforzo fuori dal comune a tutti. Anche a chi, semplicemente, racconta i fatti. A volte senza rendersi conto dell’importanza del ruolo che svolgono nella società . Terminiamo con una citazione, tratta dal libro di Mario Perniola, “Miracoli e traumi della comunicazione”. Bastano i tre brevi periodi riportati nella copertina per darci una risposta al nostro problema: “Dal maggio ’68 alle Torri gemelle ogni evento viene vissuto come un’imprevedibile epifania. Senza possibilità di spiegazione razionale o narrazione coerente. L’incessante vociare di una comunicazione schiacciata su un presente senza senso storico sembra non lasciare alcuna traccia di conoscenza per il futuro”.


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