Rompere il tabù del suicidio

di Sofia Pulizzi

Il 7 novembre nelle sale è uscito il film “Il ragazzo dai pantaloni rosa” un film “necessario” come definisce anche l’attore protagonista Samuele Carrino, necessario perché ci sono storie, come questa, che devono essere raccontate, per far sì che determinate vicende non si ripetano mai più. Un film che per fortuna ha fatto molto rumore, proprio per quello che si cela dietro, ovvero la storia realmente accaduta di un ragazzo di nome Andrea Spezzacatena che purtroppo non c’è più. Questa pellicola ha avuto e sta continuando ad avere un enorme successo, non solo nelle sale ma anche a livello mediatico, tutti ne parlano, tutti lo commentano, tutti mostrano la vicinanza a questa storia e alla famiglia del ragazzo, molti si sono rivisti nelle dinamiche che viveva il protagonista, molti sono stati sensibilizzati, molti hanno trovato il coraggio di aprirsi dopo la visione del film. Ringraziamo, innanzitutto , la mamma di Andrea, per essersi aperta con il mondo, raccontando il dramma di cui è stata vittima lei e tutta la sua famiglia.

Questo film racconta la storia di Andrea, un ragazzo di 15 anni che si è tolto la vita a causa dei comportamenti umilianti, denigratori e violenti che alcuni bulli mettevano in atto nei suoi confronti, portandolo all’esasperazione. Questa vicenda risale al 2012, anno in cui Andrea purtroppo ci ha lasciati. Era un ragazzo brillante, aveva ottimi voti a scuola, seguiva con molta ambizione le sue passioni, era un bravo fratello maggiore e un bravo figlio. L’opera cinematografica racconta che Andrea iniziò ad essere vittima di bullismo quando un giorno si presentò a scuola con dei pantaloni rosa, per i bulli troppo “femminili” per essere indossati da un ragazzo, da quel momento Andrea subì bullismo, attacchi e insulti omofobi. Sarebbe però troppo superficiale credere che un gruppo di ragazzi se la prese con Andrea solo per dei pantaloni rosa, c’è dell’altro non credete? Lo presero di mira proprio perché volevano spegnere quella luce che tutti vedevano in lui o forse ancora, per invidia delle sue innumerevoli capacità, per la persona per bene che era, quello che non riuscivano ad essere loro. L’adolescenza è un periodo transitorio, di crescita e di scoperta di sè, i bulli invece avevano già stigmatizzato ed etichettato Andrea con degli epiteti offensivi e discriminatori. Il protagonista del film, a proposito di questa fase della vita, dice: “Si pensa che solo i poeti soffrano, ma si dimenticano di quanto sia difficile essere adolescenti”; in questa riga si nasconde tutta la fatica che i ragazzi fanno in quel periodo, si perché a quell’età, la più piccola delusione, che sia d’amore, scolastica o d’amicizia può sembrare una catastrofe, poiché essendo ancora inesperti non hanno gli strumenti interiori per affrontare e gestire alcune dinamiche . E’ l’età in cui si sperimentano le prime esperienze ma anche i primi rifiuti, i primi fallimenti, le prime sconfitte e noi adulti, genitori, insegnanti, psicologi, medici, esperti, dobbiamo fornire loro gli strumenti per essere in grado di gestire la perdita, la delusione, le angosce, facendogli capire che la vita è anche questa, non si scappa dai dolori. La sociologia, che si occupa dei fatti sociali considerati nelle loro caratteristiche costanti e nei loro processi, del rapporto tra il singolo e la società che lo circonda, può rivelarci molto riguardo le motivazioni che insorgono in alcuni soggetti per arrivare a compiere un atto così estremo. Gli anni dell’adolescenza, gli ultimi vissuti da Andrea Spezzacatena, come dicevamo, sono anni in cui la persona esplora il mondo che lo circonda, i ragazzi iniziano ad uscire dalla bolla di protezione che i genitori hanno costruito per anni nei confronti dei figli e si trovano a dover fare i conti con il gruppo dei pari, che come ci insegna la sociologia, può influenzare molto la persona e i percorsi che deciderà di intraprendere. In questa fase di vita, non si ha piena coscienza di sé, né la forza e la consapevolezza che ha sviluppato nel tempo un adulto, proprio per questo, Andrea, essendo un ragazzino molto sensibile, empatico, buono, fu portato sul fondo da tutto ciò che stava subendo e purtroppo decise di lasciarci. Un famosissimo sociologo, Émile Durkheim si è espresso sui meccanismi che spingono gli individui al suicidio, egli pensa sia determinato dal tipo di società in cui esso si verifica, perché è la società a produrre atteggiamenti e costruzioni mentali individuali. Come dargli torto, in molti casi il suicidio è una scelta estrema che deriva dal non sentirsi accettati e dal non sentirsi amati dagli altri. Come vedete tutti fattori riconducibili “agli altri” a come ci fanno sentire gli altri, perché forse ci guardiamo non con i nostri occhi ma con gli occhi degli altri. L’approvazione del prossimo sta diventando più importante del nostro pensiero, tendiamo a cambiare per gli altri, a sforzarci di piacere a tutti i costi, per svariati motivi: lo facciamo per sentirci parte di un gruppo, o perché crediamo che cambiando aspetto o lati del carattere risulteremo più attraenti agli occhi degli altri, o ancora per venire notati, per non sentirci invisibili. Compiamo tutte queste azioni, non per stare in pace con noi stessi, con il nostro IO interiore ma per stare in pace con il prossimo, nulla di più disfunzionale, perché gli altri devono accettarci malgrado ciò che siamo e non volendoci diversi. Alla base di tutti questi comportamenti disfunzionali c’è una bassa autostima e una non accettazione di sé, altrimenti, se così non fosse, non ci impegneremo così tanto ad impressionare gli altri, non spenderemo così tante energie per cercare amore , approvazione, consenso da chi ci circonda. Perciò è importante parlare di quello che ci attanaglia per risolvere le problematiche personali, parlando ci focalizzeremo sul problema, lo scardineremo punto per punto e potremmo arrivare a trovare le giuste soluzioni, potremmo capire da dove nascono insicurezze che ci portiamo dietro, le paure che ci limitano, per arrivare alla consapevolezza che il nostro valore non nasce in relazione a nessun altro, ma deriva solo da noi stessi, nessuno ci darà più valore o ce lo toglierà, è la percezione che abbiamo di noi stessi la cosa più importante. Dipende solo da noi vederci come esseri unici ed irripetibili, perché è questo che siamo. Le nostre stranezze, i nostri difetti, le nostre peculiarità sono i nostri tratti caratteristici, sono la nostra luce.

Mai come negli ultimi anni abbiamo assistito a tassi di suicidio così allarmanti e purtroppo l’età in cui questi ultimi si manifestano, scende sempre più, si parla di ragazzi tra i 13 e i 36 anni. All’interno dei paesi dell’Unione Europea tra i giovani di età compresa fra i 15 e i 19 anni, il suicidio è la seconda causa di morte dopo gli incidenti stradali. I dati del Telefono Amico e di numerose ricerche che sono state condotte su questa tematica, ci riportano che 1 adolescente su 7, di età compresa fra i 10 e i 19 anni soffre di problemi legati alla salute mentale e secondo i dati di un sondaggio il 50% si sente triste, preoccupato, angosciato, ansioso. In Italia nel 2023 sono state oltre 7.000 le persone (+24% rispetto al 2022) che si sono rivolte a Telefono Amico per farsi aiutare a gestire un pensiero suicida, proprio, di un familiare o un conoscente. Più che dell’atto in sé, porre importanza sulle motivazioni che portano i ragazzi a lasciarsi travolgere da questi pensieri estremi, perché solo capendone le motivazioni più intime e profonde, potremmo riuscire a prevenire tempestivamente questo fenomeno.

La domanda quindi è, perché nei giovani iniziano a farsi strada questi pensieri? C’è una frustrazione e insoddisfazione generale, delle proprie vite, dei rapporti che instauriamo che non sono come quelli che vorremmo, l’incertezza sul futuro che crea ansia, angoscia…tutto questo aggiunto ai giudizi/pregiudizi degli altri, le parole sbagliate pronunciate al momento sbagliato, il basso valore che ci attribuiamo, sono una combinazione letale, che spinge le persone a pensare che non esistere più in questo mondo sia l’unico modo per trovare la pace. In genere si stima che il rischio di suicidio diminuisca se lo stato emotivo migliora, ma il dato curioso, a riprova della complessità del fenomeno, è che i più alti tassi di suicidio si verificano entro circa tre mesi da un apparente miglioramento post-depressione, è importante perciò prestare attenzione al prossimo, andare oltre ciò che mostra in superficie. Se qualcuno di voi o qualcuno che conoscete ha determinati pensieri per la testa, parlatene, con chi volete, ma parlatene, con un esperto se potete, questi ultimi esistono proprio per dare ascolto e soluzioni laddove noi da soli non riusciamo ad arrivare. Il giorno scelto per parlare di questa tematica è il 10 Settembre, a livello mondiale dal 2003 ricorre la Giornata Mondiale per la Prevenzione del Suicidio, un modo per sensibilizzare l’opinione pubblica alla prevenzione sul suicidio e alla tutela della salute mentale, ma non basta un giorno. L’obiettivo del World Suicide Prevention Day e delle compagnie di prevenzione, locali e globali, è quello di ridurre il più possibile il numero di vittime per anno, cercando di individuare i fattori che possono indurre le persone a decidere di porre fine alla propria vita e adottando le giuste contromisure. I campanelli d’allarme possono essere molteplici, frasi come “Non ce la faccio più” o “Vorrei morire”, cambiamenti improvvisi nel sonno, nell’appetito, isolamento sociale, o gesti simbolici come la donazione di oggetti personali, sono indicatori che non dovrebbero mai essere sottovalutati. Inoltre offrire un ascolto empatico e privo di giudizi è il primo passo verso un supporto concreto. Rompere il silenzio su questo argomento delicato può contribuire a salvare vite. Ascoltatevi e ascoltate, non siete mai soli, c’è qualcuno nel mondo che sta attraversando il vostro stesso malessere e si sente esattamente allo stesso modo, vogliatevi bene, aiutatevi e fatevi aiutare. Ai bulli e non solo, invece, dico: “Smettetela e cercate di fare tutto il bene che potete, con tutti i mezzi che potete, in tutti i modi che potete, in tutti i luoghi che potete, tutte le volte che potete, finché potrete”. (John Wesley)

Dott.ssa Sofia Pulizzi, sociologa, criminologa e docente di Scuola Primaria


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