RITORNARE ALLA SOVRANITA’ ALIMENTARE

foto Nicodemo Bumbaca MBA per SOWQuest’anno il movimento di Via Campesina compie 20 anni. Infatti era il 1993 quando un gruppo di contadini rappresentato da uomini e donne fonda questo movimento internazione nel quale milioni di persone oggi attraverso la loro voce diffondono quelli che sono i meccanismi perversi di un’agricoltura che risponde a regole ormai obsolete, fallimentari e pericolose della rivoluzione verde.   La fine della seconda guerra mondiale rappresentò per milioni di europei e americani il riscatto per un futuro all’insegna della sicurezza non solo alla pace ma, anche alla vita, alla salute e al cibo.

Ed è proprio che sull’onda di questo vento di ottimismo che si costruiscono le basi, nell’ambito specifico dell’agricoltura, della rivoluzione verde che secondo una definizione di Wikipedia è un approccio innovativo ai temi della produzione agricola che, attraverso l’impiego di varietà vegetali geneticamente selezionate, fertilizzanti, fitofarmaci, acqua e altri investimenti di capitale in forma di mezzi tecnici, ha consentito un incremento significativo delle  produzioni agricole  in gran parte del mondo tra gli anni 40 e gli anni 70.

Fu un importante passo in avanti nell’agricoltura che si innovò come settore e si rese indipendente dalle catastrofi naturali e milioni di persone potevano sentirsi sicure che sulle loro tavole sarebbero arrivati i loro prodotti, sempre.   Tutto questo in discontinuità con il passato.

Ma allora perché nasce Via Campesina?

Questo movimento nasce da importanti osservazioni di dati circa le milioni di persone che stanno morendo di fame nel mondo. Secondo uno studio della FAO del 2004:   Ogni 5 secondi un bambino muore a causa della fame e della malnutrizione in un   mondo in cui il cibo è abbondante, ma in cui le persistenti disuguaglianze nell’accesso   alle risorse e alle opportunità perpetuano l’insicurezza alimentare e la deprivazione.

La sicurezza alimentare non basta a migliorare le condizioni di persone che soffrono la fame se non è perseguita con pratiche più etiche e indipendenti. Alcune potenti multinazionali, purtroppo, hanno monopolizzato il mercato agricolo in alcuni paesi introducendo logiche di mercato che rispondono solo al raggiungimento del profitto. Sono state introdotte monoculture che hanno distrutto le altre colture che non sono profittevoli per il mercato, sono stati introdotti gli OGM (organismi geneticamente modificati)   con ripercussioni sconosciute sull’equilibrio naturale delle piante, i semi c.d. ‘terminator’(semi ogm da cui nascono piante sterili) hanno distrutto e indebitato milioni di contadini, per non dire della coltivazione di bio-masse e a seguire tutte le esternalità negative che ne derivano come la desertificazione e l’inquinamento dei terreni. (Consiglio di leggere: ‘Il Mondo secondo Monsanto’ di Marie-Monique Robin)

È, inoltre, importante sottolineare che la fame nel mondo non è la mancanza di risorse. Il trend della produzione agricola, infatti secondo uno studio OCSE-FAO, crescerà dell’1,5[%] all’anno fino al 2050. Il problema è l’indebitamento dei contadini dei paesi in via di sviluppo che si devono adeguare alle riforme strutturali imposte dagli organismo sovranazionali come il Fondo monetario internazionali e la Banca mondiale ma, anche l’espropriazione di una cultura ancestrale attenta alla salvaguardia della bio-diversità della culture, dell’auto sussistenza e della sovranità dei popoli locali di accedere alle risorse per favorire l’agricoltura di mercato.

Vandana Shiva è un’attivista indiana, insignita nel 2013 della laurea honoris causa in scienze della nutrizione all’Università della Calabria, che ha fatto della lotta per la sovranità alimentare uno delle sue battaglie principali tanto d’aver ricevuto nel  1993 il  Right Livelihood Award. Shiva conferma che le conseguenze dello “sviluppo” sono la massiccia distruzione   ambientale, un enorme indebitamento che spinge i paesi a fare programmi di aggiustamento   strutturale basati su logiche di mercato.

La grande sfida del presente per un futuro più sostenibile è quello di ritornare ad una agricoltura più legata ai valori in cui i prodotti vengono coltivati per il benessere delle comunità piuttosto che piegarsi a logiche di mercato e di profitto. Ritornare ad un livello di produzione dove le risorse sono condivise e non privatizzate da pochi e dove il rispetto della natura e degli essere umani ritorna ad essere il centro di uno sviluppo alternativo a questo modello che distrugge valore relazionale e crea valore monetario.

Sostenere gli sforzi che milioni persone stanno portando avanti per il bene del proprio pianeta e dei propri simili è oggi più che mai un dovere imprescindibile.


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