Riflessioni sociologiche sul Festival di Woodstock
Cinquant’anni dopo, incalza il ricordo delle vacanze americane di Woodstock. Sì, vacanze, ovvero quel periodo di distacco, appartenente alla pausa estiva, ma, sospeso nel tempo, durante il quale i giovani dell’epoca, di ogni estrazione sociale, potevano manifestare il proprio dissenso nei confronti di una società oligarchica, guerrafondaia e improntata al consumismo. Non a caso, il movimento Hare Krishna, fondato nel 1966 da Abhay Caran De, affondava le sue radici nelle molli anime di ragazzi “infestati”, che professavano amore libero (vedi, ad esempio, la canzone “Love machine” del gruppo Country Joe and Fish) ; mentre il Vietnam mieteva vittime senza tregua e Nixon, da poco al vertice, iniziava il suo graduale disimpegno in campo di battaglia, in nome di una realpolitik che aveva tutta l‘aria di un bersaglio che soltanto l’America poteva centrare.Nel largo campo di Bethel, non lontano da New York, mentre il traffico sulle autostrade adiacenti alla cittadina imbottigliava gente, costretta a ricorrere ad elicotteri per spostarsi, scorrevano fiumi pacifici di alcool, droghe (“Stawberry fields forever”), tra cui eroina, spinelli, e la cd. orange sunshine, di cui fu promotore il gruppo “Brotherhood of eternal love”, ovvero la fratellanza dell’amore eterno. C’è da chiedersi se per “eterno”, intendessero la morte, il sogno o il momentaneo abbandono a uno stato di fluidità senza remore, dove tutto era concesso, sfrenato, tanto da rendersi incuranti di condizioni igieniche e della fame.
D’altro canto, alla nota dolente di un’espressione giovanile portata al “sereno” eccesso, si manifestava la consapevolezza di una generazione che, attraverso l’abbagliante effetto psichedelico, raggiungeva, quasi per paradosso, la soddisfazione di una coscienza civile, fatta di persone comuni, di padri, di madri (emblematica la canzone di Jhonny Winter “Mama, Talk to your daughter”), che protestavano per il diritto alla vita, inteso come quello più naturale possibile, fuori da ogni convenzione umana o accordo tra le parti. Woodstock non è stato soltanto un festival della musica, da incorniciare nella pagina storica del movimento hippie. Mentre, infatti, sulla costa orientale del Continente si allargava fisicamente la massa dei rivoluzionari figli del sole (si pensi a Jimi Hendrix che si esibì alle nove del mattino successivo, impuntandosi di voler chiudere il concerto, lanciandosi nella sua performance più lunga, ca. 2 ore), in California, due anni prima, prendeva forma la cd. “Summer of Love”, anticamera di diversi ‘rassemblement’ di simile carattere.Risposte volontarie, innescate dalla brama di legittimare ciò che, per natura, è parte integrante del genere umano, mai viste sino a quel momento, e per questo motivo, avvincenti, che si contrapponevano all’ “Uomo a una dimensione”, descritto da Herbert Marcuse, nel 1964, nell’altra sponda dell’Oceano, in cui si pativa l’immagine di un Essere schiacciato dal fardello della civiltà industrializzata. Imperniato sull’egoismo e sulla conseguente emarginazione sociale, il mondo contemporaneo appariva già sazio di problematiche politico-sociali, nevrosi e crisi di ogni sorta. E’ così che, nello spazio materiale dei prati e delle contee solitamente meno affollate, nasceva la prospettiva del cyber spazio e della interconnessione tra le persone. Più esattamente, prendeva piede il principio di creare una rete tra persone, ma, allo stesso tempo, di manipolare l’opinione pubblica, fondando propagande a favore dei diritti civili.
Cosa ci fosse dietro a questa benefica novità è noto solo alle menti illuminate, non certamente alla massa. Per certi aspetti, il fenomeno della tutela dei diritti è una evidente chimera, se si pensa all’impossibilità di gestire, assicurarsi un effettivo esercizio degli stessi. Figurarsi se lo si può fare virtualmente, attraverso continui e caotici scambi di informazioni filtrate, deformate, strumentalizzate, da e per conto di pochi. In altre parole, la finalità pratica delle manifestazioni erano tutt’altro che coerenti con l’idea della cooperazione volta al benessere. In partenza, l’idea di manifestare è giusta, ma, nello sviluppo delle successive fasi procedurali, si blocca, si perde, fallisce.
Alcuni ritengono che Woodstock sia stata la più alta espressione dell’anarchia e, nello stesso tempo, di una profonda e sentita considerazione del prossimo. Un fenomeno che ha conciliato il valore della solidarietà umana con quello della democrazia sostanziale, in grado di scardinare i poteri forti, inabili a reagire all’impressionante portata della “pacific riot”. Da Woodstock emerge, anche, la reciprocità, nel senso più carnale del termine (sesso e promiscuità), per giungere alla campagna per il disarmo nucleare, che diede vita al noto simbolo della pace, grazie alla ‘Counterculture’, ovvero alla controcultura che si opponeva ad ogni genere di guerra, potenziale bellico, le cui basi trovarono affermazione nello scandalo Watergate che coinvolse l’Amministrazione Nixon. Una giustizia dal sapore sociale, con risvolti politici concreti, dunque; la quale declassava, senza se senza ma, le categorie che baravano e barattavano la pace, in onore della non violenza e dell’anticonformismo.La trasgressione incarnata da questo evento epocale conteneva, tuttavia, i prodromi della sua stessa fine, per il semplice fatto che dall’idea della comunanza e della fratellanza, ne è derivata, per contraddizione, la visione di un uomo, autore arbitrario delle proprie azioni, che paralizza il sistema Stato. E’ è in questa condizione di “rallentamento” che le Istituzioni sono state obbligate ad arrendersi, a cercare nuove strade, studiare nuove strategie in grado di contenere il disordine sociale provocato da un simile fenomeno pacifico, ma radicalmente libertario.
Infatti, oltre alla folgorante mattana musicale, Woodstock ha determinato e determina, ancora oggi, un equilibrio nella continua tensione, tipica delle società del Nord del mondo, tra la visione del successo finanziario e la reale distribuzione delle opportunità (lavorative, sanitarie, sociali in genere). A sostegno di questa tesi, appare chiaro che nel cercare di compensare (trade- off) i bisogni di partecipazione democratica, di esercizio della libertà di agire e di pensare, si crede, per logica conseguenza, che si deve produrre di più. E’, però, l’eccessiva fiducia nell’utilità delle cose materiali a infrangere il senso della stessa capacità di agire, perché ci si “accomoda” in uno stato di benessere da cui si diviene, inconsciamente, dipendenti. Non che l’appagamento non sia fonte di piacere, ma la soddisfazione primaria risiede nell’impegno attivo e nella possibilità di un uomo libero di poter scegliere (e anche sbagliare, ma senza frustrazioni dovute al fatto di essersi inibito); e , a ben pensarci è proprio quello che Woodstock ha mostrato di essere attraverso la protesta di “tre giorni di pace, amore e musica”: la disponibilità ad un vantaggio reciproco, l’apertura al beneficio condiviso, nate dall’ approssimativa eguaglianza tra le persone e il naturale senso di interdipendenza tra le stesse; senza dimenticare che ad innescare il processo di cooperazione è, dopo tutto, e pur sempre, il singolo individuo.
Dott.ssa Chiara Maisto
Assistente del Prof. Michele Miccoli
Fonti:
Teresa Serra, “La Disobbedienza civile; Una risposta alla crisi della democrazia?”, G. Giappichelli Editore- Torino, Novembre 2002;
Emma Baglioni, “Sull’uso pratico delle emozioni; Il liberalismo progressista di Martha C. Nussbaum”, Edizioni Nuova Cultura, Settembre 2001;
Marieli Ruini, “Osservare le società; Temi e percorsi dell’antropologia culturale”, Bulzoni Editore, Marzo 2007.