REFERENDUM PSICOLOGI: TRA IGNAVI E IGNARI

di Tommaso Francesco Anastasio

Nel mese di settembre 2023 si è votato, per chi ha potuto farlo e ne avesse contezza, al referendum per la modifica del codice deontologico degli psicologi. Su una popolazione di circa 118.000 iscritti (dati 2020 pubblicati sul sito del CNOP) hanno votato 16.909 psicologi: 9.034 voti favorevoli, 7.616 voti contrari e 258 schede bianche.

Il dato sconfortante, come notiamo, è l’altissimo numero dei non votanti. Probabilmente una fetta dei non votanti era all’oscuro del referendum in quanto non vi è stata alcuna comunicazione ufficiale (via PEC o raccomandata) da parte del CNOP e, inoltre, era necessario possedere lo SPID/CIE per poter votare. Tali motivazioni pare siano state sollevate in dei ricorsi attualmente in corso presso il TAR Lazio. Dobbiamo quindi considerare tra i non votanti: gli ignari del referendum, i non possessori di SPID/CIE e chi ha scelto deliberatamente di non votare nonostante sapesse del referendum (magari tramite social o gruppi whatsapp), ossia gli “ignavi”. Mi vorrei fermare a riflettere su quest’ultimo gruppo. Nell’articolo 4 del codice deontologico “pre-referendum” vi è una parola molto significativa, una parola piena, ossia: autodeterminazione.“Nell’esercizio della professione, lo psicologo rispetta la dignità, il diritto alla riservatezza, all’autodeterminazione ed all’autonomia di coloro che si avvalgono delle sue prestazioni (…)”La parola “autodeterminazione” è stata espunta nel nuovo codice deontologico (su cui pende il succitato ricorso) ed è uno dei tanti motivi che hanno spinto circa 7600 psicologi a votare No (di coloro che almeno erano a conoscenza del referendum).

Ora, la domanda che ci si pone è: gli ignavi hanno mostrato autodeterminazione, hanno fatto ciò che dovrebbero promuovere nei loro interventi? Noi psicologi siamo il prodotto e i produttori della deontologia. Possiamo mai decidere di “lasciar scegliere agli altri” che deontologia dobbiamo tenere?All’interno della categoria professionale vi sono diversi argomenti spinosi, uno di questi è la psicoterapia. La legge 56/89 disciplina l’attività psicoterapeutica senza però definire cosa sia. Il povero Ossicini dovette mediare tra più istanze e la legge è il risultato di dibattiti e compromessi, di pesi e contrappesi. Ciò è comprensibile, ma ha lasciato spazio all’opinionismo più disparato. Oggi possiamo solo dire, in maniera lapalissiana, che la psicoterapia è l’attività espletata da coloro i quali sono in possesso della specializzazione in psicoterapia. Nessuna legge la definisce. Ma alcune scuole di psicoterapia, autrici di un “manifesto”, hanno avviato una battaglia per accaparrarsi l’uso esclusivo dei significanti “cura e terapia”. Quindi, mentre negli Stati Uniti considerano terapeutico anche una “pedicure”, qui in Italia alcune scuole promuovono una strategia commerciale denigratoria e fuorviante nei riguardi dello psicologo (non specializzato) secondo cui le sue attività, disciplinate dalla legge Ossicini, tra cui abilitazione, riabilitazione e sostegno, non sono attività terapeutiche e che gli “Psicoterapeuti” siano gli unici “titolati a curare”.

Per quanto mi riguarda non mi interessa definire se il lavoro dello psicologo sia terapeutico o meno, ho sempre visto questa meravigliosa disciplina come una scuola di libertà e di significazione della propria esistenza, capace di migliorare notevolmente la qualità della vita e il benessere psichico e non ho la velleità del camice bianco o di definirmi terapeuta. Ma da un punto di vista epistemologico come si fa ad escludere a monte le attività dello psicologo come terapeutiche? Questa parentesi l’ho aperta perché tali tentativi, foraggiati da meri interessi di bottega, hanno fatto in modo che nell’art 27 del codice deontologico non si parli più di rapporto “terapeutico” ma di rapporto “professionale”. Molti ordini regionali hanno preso una posizione netta rispetto a tali infondate pretese, mentre il CNOP ha mantenuto un silenzio poco pitagorico ma molto democristiano. Ma c’è anche un altro aspetto. Il CNOP ha emanato una “Premessa Etica” che è stata presentata agli psicologi come i 10 comandamenti donati a Mosè sul Monte Sinai. Non vi è stata concertazione e dibattito all’interno della comunità professionale su cosa fosse “etico” e su quali principi orientare la propria pratica professionale. Un gruppo ristrettissimo di persone si è riunito e ha deciso nella “stanza dei bottoni”. Così leggiamo nel secondo principio della premessa etica che:“La competenza delle psicologhe e degli psicologi è data sia da conoscenze teoriche acquisite all’Università e attivamente integrate e aggiornate, sia da una pratica sottoposta al confronto tra pari e alla supervisione di colleghe o colleghi esperti e altamente qualificati “Chi sono i colleghi esperti e altamente qualificati? Chi lo decide? In base a cosa? I colleghi sociologi sanno che secondo Bourdieu il mestiere del sociologo è “rompere” ciò che comunemente viene dato per scontato. Ma pare che Pierre Bourdieu non venga letto tra gli psicologi… e neanche la (Divina) Commedia!

Tommaso Francesco Anastasio

Laboratorio di Sociologia e Psicologia Clinica ASI

Note:https://www.psy.it/wpcontent/uploads/2021/11/Icritti2020.pdf

https://www.ordinepsicologiveneto.it/corretta-e-trasparente-informazione-sulla-figura-professionale-dello-psicologo


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