Rapporto Svimez, “Il calo eccezionale di occupazione femminile al Sud”
Secondo il rapporto Svimez 2015 sull’economia del Mezzogiorno, nella crisi “l’evoluzione del mercato del lavoro è stata più favorevole alle donne proseguendo una tendenza di medio periodo connessa essenzialmente con l’aumento della quota dei servizi nelle economie industrializzate ed alla forte crescita dei livelli di istruzione delle donne che ormai in molti paesi europei superano sensibilmente quelli degli uomini. I dati disponibili evidenziano un tendenziale restringimento del gender gap nei tassi di attività, occupazione e disoccupazione durante la recente crisi in Europa. Ciò ha portato anche ad un diverso ruolo della donna nella produzione del reddito familiare: le coppie con doppio reddito sono sensibilmente diminuite nella fase di recessione quasi esclusivamente a vantaggio delle coppie con capofamiglia donna”.
“Nel nostro Paese, comunque – si legge nelle anticipazioni sui principali andamenti economici, presentati a Roma nel corso di una conferenza stampa -, il risultato delle donne può giudicarsi positivo solo se visto in contrapposizione con quello fortemente negativo degli uomini. Nella prima fase della crisi le donne perdono meno posti di lavoro mentre nella seconda l’occupazione femminile riprende a crescere. I dati riportati evidenziano come, tra il 2008 e il 2010, le perdite occupazionali siano state per gli uomini più che doppie rispetto a quelle delle donne al Centro-Nord, più che triple in Europa, e più che quadruple al Sud. Nel successivo quadriennio (2011-2014), mentre le perdite occupazionali degli uomini sono state più consistenti, l’occupazione femminile ha ripreso ad aumentare anche se in misura contenuta, con l’eccezione del solo Mezzogiorno, dove si registra ancora una sensibile perdita”.
Ed ancora: “Il dato complessivo 2008-2014 dell’occupazione femminile, d’altra parte, riflette una marcata differenza territoriale: una sensibile crescita nelle regioni del Centro-Nord (+135 mila unità pari al +1,9%) ed un calo importante – e davvero “eccezionale” – nel Mezzogiorno (71 mila unità pari al -3,2%). L’aumento dell’occupazione femminile al Centro-Nord è d’altra parte interamente ascrivibile alla componente straniera (+358 mila unità, pari al +51,3%), a fronte di una flessione di quella italiana di 294 mila unità pari al -3,4%, con andamenti per cittadinanza simili si rilevano nelle due circoscrizioni. Dall’insieme dei dati emerge con evidenza che la questione femminile nel mercato del lavoro italiano ha essenzialmente una connotazione territoriale. Il tasso di attività femminile vede l’Italia ancora in fondo alle classifiche per il “peso” delle regioni meridionali che, anche quest’anno, occupano gli ultimi posti nella graduatoria delle regioni europee. Gli andamenti di cui abbiamo dato conto, del resto, si sommano ad una condizione “strutturale” particolarmente allarmante per il Mezzogiorno: la dimensione ce la restituisce il confronto dei tassi d’occupazione delle donne, prima e dopo la crisi, al confronto con la media europea. Il dato davvero senza paragoni è quello delle giovani donne: tra i 15 e i 34 anni sono occupate al Sud appena una su cinque (il 20,8%, oltre 20 punti in meno del Centro-Nord e 30 dell’Europa)”.
L’evoluzione del mercato del lavoro femminile – sempre secondo il rapporto Svimez – “configura poi una sempre maggiore emergenza “qualitativa”. I risultati quantitativi relativamente migliori rispetto ai maschi registrati in entrambe le macroaree del Paese – al Centro-Nord, in termini di maggiore aumento, al Sud, in termini di minore flessione – sono infatti largamente ascrivibili ad incrementi delle occupazioni precarie e nelle professioni non qualificate, che confermano la tradizionale “segregazione” di genere che caratterizza il nostro mercato del lavoro. Il raffronto tra i dati del 2014 e quelli del 2008 evidenzia che la sostanziale stabilità dell’occupazione femminile sottende una flessione di circa il 10% delle professioni qualificate, intellettuali e tecniche, ed un incremento del 14,0% delle professioni non qualificate. Sembra interrompersi, dunque, con la crisi, la tendenza crescente delle professioni più qualificate che aveva caratterizzato il decennio precedente, connessa con l’innovazione tecnologica e con i crescenti livelli di istruzione delle donne italiane”.
Sull’argomento il rapporto conclude: “Questo fenomeno è ancora più problematico se guardato alla luce del contributo che le donne italiane (e meridionali, in specie) hanno dato negli ultimi anni all’accumulazione di capitale umano: guardando all’indicatore del livello di istruzione terziaria per le persone di 30-34 anni definito nell’ambito della strategia Europa 2020, che vede l’Italia lontana dal 40% previsto come target a livello europeo ed anche dal 26,5% stabilito dai target nazionali, le donne italiane hanno un vantaggio di circa nove punti percentuali sugli uomini ed hanno già raggiunto e superato nel 2014 (con il 29,1%) il sub obiettivo nazionale nell’ambito di un trend fortemente crescente (dall’inizio degli anni Duemila il tasso è più che raddoppiato, partendo da circa il 13%)”.
a.l./