QUEL RICORRENTE USO DEL TERMINE “CAMBIAMENTO”

FRANCESCO RAO 18 gennaio 2016Il ricorrente utilizzo del termine “cambiamento”, sempre più intenso come giustificazione al vuoto generato dal disvalore in cui siamo oggi immersi, sarà l’oggetto dell’odierna riflessione.  In una contrapposizione naturale ai disvalori si contrappongono i valori. Questi ultimi, in un sistema provato da una apparente entropia sociale, rappresentano una “resistenza” vera e propria. Ad animare ciò potremmo individuare le pulsioni della vita e l’insieme di regole che disciplinano l’agire umano. A svolgere il ruolo principale, potenzialmente indicabile come “lavoro sociale” sarà una parte della collettività, impegnata ad alimentare l’arduo percorso intrapreso e volto  unicamente all’accrescimento del “capitale culturale” della Comunità nella quale si svolge tale azione. Tali circostanze divengono la causa di  situazioni poco omogenee dove si sviluppano facilmente  tensioni che, seppur diverse tra loro, sono unite da un filo sottile destinato a dare vita ai segni della stratificazione sociale di cui oggi non possiamo comprenderne in pieno tutti i significati in quanto ciò che è sotto i nostri occhi è il frutto delle tensioni e dell’agire sociale di altre generazioni, desiderosi di altri stili di vita e portatori di interessi, forse ancora poco chiari alla nostra comprensione.

Quando i valori non trovano terreno fertile, potrebbe sorgere spontaneamente una domanda: perché si rileva un crescente  senso di insicurezza non solo tra i giovani ma anche in altre fasce d’età?  Destabilizzando la propensione all’inclusione ed allo scambio culturale, imbastito principalmente sul confronto costruttivo e volto a creare prospettive di crescita diffusa potrà esserci sviluppo?  Giorno dopo giorno, osservando la rigidità relazionale diffusa tra i residenti di una Comunità, si comprendono sempre e meglio le cause che trattengono l’uomo ad una maggiore permanenza nella stanza dell’isolamento quotidiano. Seppur portati a trascorrere molte ore delle nostre giornate immersi nel nostro da fare, alimentiamo un crescente desiderio di comunicazione.

Le aziende che si occupano di tale segmento di mercato hanno percepito bene questa propensione sociale. Difatti, il trend della comunicazione non ha segnato mai il passo, nemmeno nei periodi di maggiore crisi economica. Basti pensare che in soli 20 anni siamo passati da un apparecchio telefonico a famiglia a più di un numero telefonico a persona. Prima della diffusione dei telefoni cellulari vi è stato un fortissimo segnale tendente a manifestare la voglia di comunicare rappresentato dala forte espansione del numero di cabine telefoniche, funzionanti non solo a gettoni telefonici ma anche a monete di diverso taglio o con le schede telefoniche prepagate. Si avvertiva la necessità di essere sempre più vicini alle affettività personali ed il telefono riusciva a colmare questo desiderio, trasformatosi da fenomeno individuale a fenomeno collettivo.

La successiva diffusione dei telefoni cellulari ed i primi messaggi di testo, editabili in meno di 200 caratteri, hanno aperto la stagione che stiamo vivendo oggi. Naturalmente non bisogna dimenticare la codificazione utilizzata dai giovani, attraverso i nuovi metodi di scrittura utilizzati per ridurre il numero di caratteri ed aumentare la quantità di pensieri da inviare con un solo messaggio ed economizzare i costi, ancora poco accessibili al largo consumo. Veniva utilizzato uno o più squilli per augurare la buonanotte oppure per dire “ti penso” alla persona amata.  Le nuove frontiere della comunicazione sono state aperte grazie alla possibilità di inviare fotografie, brevi video ed effettuare videochiamate.

La possibilità di essere sempre connesso e la diffusione dei social network hanno segnato il superamento di una liminalità che ha coniugato la mobilità delle persone alla possibilità di essere sempre raggiungibili. In contropartita si è diffusa però una costante decrescita dell’affettività.  Difatti, mentre ci  preoccupiamo sempre di più ad essere parte attiva di una rete di relazioni, per evitare di sentirci soli, continuiamo a trascurare la crescita di un rapporto vero come l’amicizia, contribuendo inconsapevolmente alla cristallizzazione del sentimento di riconoscenza e dell’esigenza di avere nella sfera sociale di riferimento amici e non conoscenti.

Ecco perché le emozioni trovano poco spazio durante le nostre giornate,  rendendole sempre più simili a dei refrain vuoti di contenuti. Sembra essere scattata una molla che ci spinge ad avere un destino comune: correre sempre. Non perché si è in ritardo, ma perché bisogna evitare le persone, le loro debolezze, i loro dispiaceri, i loro fallimenti per poi cadere in telefonate interminabili dove si affronteranno i temi evitati. Nei pochi e fugaci  confronti reali sembra essere sempre più ricorrente la logica del “politicamente corretto”. Tale  praticata viene esercitata non per convinzione ma per convenienza, in quanto, meglio parlare bene di tutti ed evitare brutte figure anziché esprimere il proprio pensiero rischiando di dare seguito litigi,  incomprensioni ed esclusione della rete sociale di cui si è membri trovandosi etichettati in maniera negativa e trasformati in vittime del pregiudizio di una società che non intende manifestare più ciò che pensa veramente.

Si è passati da una vita reale ad una vita virtuale. “Il 12esimo Rapporto Censis-Ucsi sulla comunicazione, pubblicato a marzo 2015, descrive l’esistenza di «una distanza abissale tra giovani e anziani nel nostro Paese. Il 77,4% degli under 30 è iscritto a Facebook, contro appena il 14,3% degli over 65; il 72,5% dei giovani usa YouTube, come fa solo il 6,6% degli ultra 65enni”». Ma il gap va riducendosi di anno in anno: è proprio la fascia di età compresa tra i 55 e i 74 anni quella che risulta in costante aumento nell’uso di internet e dei social media. Sulla scorta di questi dati, quanto prima, tutto ciò che verrà veicolato “in rete” sarà destinato ad assumere valore assoluto, incidendo notevolmente sulle scelte quotidiane e sui consumi.  Alla luce delle tendenze osservate, sembra non esserci spazio per pensare e praticare un  discostamento da questo travolgente modello di vita.

Alla luce di questa realtà sembrerebbe difficile poter costruire lo  spazio per far convivere lo sviluppo tecnologico alla normale partecipazione sociale, riportando i sorrisi e la spensieratezza, cancellati dall’improvviso sradicamento dei valori e da una trasformazione sociale che stiamo vivendo senza riuscire ad esercitare un giusto controllo. Coloro che tenteranno di difendersi da questo sistema, attraverso una presa di coscienza, potranno essere  i futuri attori di una protesta atipica, destinata ad alimentare il desiderio di riappropriarsi del senso vero della Comunità intesa come unità di misura volta a restituire l’incontro ed il confronto sociale, indispensabile ad affrontare e tentare di superare le difficoltà generate dai nuovi bisogni sociali. Potrà mai accadere ciò? Al tempo l’ardua sentenza!

Francesco Rao

Componente Direzione Nazionale ANS Sociologi


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