Quando il lavoro diventa smart
di Davide Costa
“Il lavoro agile (o smart working) è una modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato caratterizzato dall’assenza di vincoli orari o spaziali e un’organizzazione per fasi, cicli e obiettivi, stabilita mediante accordo tra dipendente e datore di lavoro; una modalità che aiuta il lavoratore a conciliare i tempi di vita e lavoro e, al contempo, favorire la crescita della sua produttività”(https://www.lavoro.gov.it/strumenti-e-servizi/smart-working/Pagine/default.aspx)”.
In tutto questo periodo il numero di articoli concentrati sulla pandemia causata dal coronavirus impazzano, alla ricerca di una fetta, anche se pur minimale, di notorietà; d’altra parte, la repressione può favorire la sublimazione di determinate energie psichiche verso altre mete prettamente creative. Sulle conseguenze disastrose sul piano economico e non solo siamo tutti più o meno informati, ma appare affascinante una dimensione in particolare, ovvero lo smart working o il lavoro agile.
Si tratta di una modalità di svolgimento del rapporto di lavoro che , a norma della legge 81/2017, enfatizza la “flessibilità organizzativa, sulla volontarietà delle parti che sottoscrivono l’accordo individuale e sull’utilizzo di strumentazioni che consentano di lavorare da remoto”(ibidem).
Se rileggiamo con attenzione la nozione di lavoro agile, per chi è avvezzo alla sociologia, ritroverà un certo richiamo alla visione “marxista” del lavoro così come era inteso alla fine del XIX secolo. Sembrerà paradossale, eppure, appare evidente una sorta di ritorno al passato, o ancora meglio una forma di evoluzione del “modo capitalistico 2.0”; all’epoca le fabbriche erano succedanee delle normali residenze, oggi la propria casa diventa anche il luogo di lavoro.
Perché arriviamo ad affermare ciò? Per via dell’essenza stessa dello smart working, nel momento stesso in cui si enfatizza la “assenza di vincoli orari o spaziali”; non si tratta forse di una forma evoluta, se vogliamo, più raffinata e sicuramente migliorata, di quella capacità tipica del capitalismo di rendere sempre più sovrapposti, per non dire un tutt’uno, il tempo di lavoro con il tempo libero, infatti “(…) quanto più il lavoratore crede di emanciparsi dal processo produttivo, tanto più ne riproduce i presupposti, consumandone le merci”(Pagano, 2011).
Ecco, dunque, il nocciolo della questione, l’impossibilità di separare il lavoro dalla vita. Dovremmo chiederci, noi sociologi, quanto debba essere difficile riuscire ad interpretare più ruoli(il cosiddetto set role) nello stesso contesto ambientale, dal momento che l’attitudine umana ad adeguarsi, tanto da essere considerato attore sociale, fa dell’agente uomo l’essere più camaleontico, e quindi capace di cambiare “tonalità comportamentale” a seconda delle diverse tipologie di norme e codici vigenti nei vari luoghi in cui egli è inserito. Con lo smart working tutto ciò viene a mancare, in una realtà già di per sé individualizzata e sempre meno orientata alla socievolezza.
Ma il lavoro agile include una categoria “marxista” particolarmente rilevante, dal momento che si fonda “sull’utilizzo di strumentazioni che consentano di lavorare da remoto”, ovvero parliamo della “sussunzione”, nozione che originariamente venne introdotta da Aristotele, per poi essere stata ripresa da Kant nella “Critica del Giudizio” di Kant, dove la parola, die Subsumtion, derivata dal verbo subsumieren, che significa inquadrare in una determinata tipologia o classificazione, indica “la riconduzione di un termine al rapporto insieme di inclusione e di subordinazione che gli è proprio rispetto ad un termine più esteso”(http://www.commonware.org/index.php/laboratori/556-logiche-e-forme-dello-sfruttamento). Marx, invece riutilizza tale nozione inserendo i concetti di capitale e lavoro arrivando ad individuare due forme di sussunzione:
- formale che “consiste nell’assenza di variazione del contenuto del processo lavorativo ma nella trasformazione del rapporto tra i lavoratore e il resto della società: ad es. il contadino passa da lavorare il suo pezzo di terra per l’autoconsumo o al servizio del nobile feudale a lavorare per un capitalista, quindi diventa un lavoratore salariato, un bracciante. Il suo lavoro però al momento rimane invariato” (http://www.nuovopci.it/voce/voce61/sussunz.html);
- reale ovvero “consiste nella trasformazione da parte del capitalista del contenuto del processo lavorativo: introduce nuovi ritmi di lavoro, aumenta (o riduce anche) il numero di lavoratori, li riunisce in aziende, li fa lavorare insieme alla catena, adotta nuovi macchinari, cambia cosa si produce, ecc. per incrementare la valorizzazione del capitale (per aumentare la produttività del lavoro). Ad es. il contadino in questo caso passa dal lavoro senza macchinari, con un uso ridotto di fertilizzanti, con una coltivazione non intensiva, ecc. ad un lavoro con strumenti moderni, uso di agenti chimici, maggiore produttività, minori pause, ecc.”(ibidem).
In particolare è proprio con la sussunzione reale che si realizza quello che potremmo definire il dominio delle tecnologie, le quali “(…) non “liberano” affatto il tempo sottraendolo al lavoro ma “catturano” tempo per renderlo disponibile o ancora al processo produttivo tecnicamente inteso(sussunzione reale) o(/e) al processo produttivo capitalistico”(Pagano, 2011). A questo proposito Marx nel XIII capitolo de “Il capitale” scrive “John Stuart Mill dice nei suoi Principi d’economia politica: «È dubbio se tutte le invenzioni meccaniche fatte finora abbiano alleviato la fatica quotidiana d’un qualsiasi essere umano». Ma questo non è neppure lo scopo del macchinario, quando è usato capitalisticamente. Come ogni altro sviluppo della forza produttiva del lavoro, il macchinario ha il compito di ridurre le merci più a buon mercato ed abbreviare quella parte della giornata lavorativa che l’operaio usa per se stesso, per prolungare quell’altra parte della giornata lavorativa che l’operaio dà gratuitamente al capitalista e un mezzo per la produzione di plusvalore”(Marx, 1886).
Se già nella versione classica, come ricordato da diversi e autorevoli scienziati sociali, veniva enfatizzato il fatto che il famoso “tempo libero”, inteso come “liberato” dal lavoro, fosse labile per non dire quasi del tutto inesistente, oggi, dovremmo chiederci, e dovremmo tentare di analizzare, questa “totale” appropriazione dei tempi extra-lavorativi, dal momento che “(…) il tempo capitalistico individuale non è mai libero(e del resto nulla è realmente libero nel modo capitalistico). Il capitalismo si impossessa del tempo di lavoro e lo sfrutta, ma più di tutto si impossessa del tempo della riproduzione della forza lavoro e de cosiddetto tempo “libero”(Pagano, 2011).
Viene a mancare così un elemento nevralgico per l’individuo e la società, ossia il concetto e la sua pragmatica, il corso della vita (life course) che potremmo definire come “(…)la sequenza delle attività o degli stati ed eventi, nell’ambito di vari contesti vitali, che vanno dalla nascita alla morte. Il corso di vita è quindi visto come l’incorporazione delle vite individuali nella struttura sociale, primariamente nella forma della loro adesione alle posizioni e ai ruoli sociali, cioè al loro essere inserite all’interno dell’ordine istituzionale”(Mayer,2002).
Sorge spontaneo, quindi chiedersi cosa ne sarà del lavoro, ma anche come venga percepita e valutata l’eventuale prestazione resa a terzi, ovvero dagli utenti: pensiamo agli studenti di qualsiasi grado di istruzione, i lavoratori a cui spettano i sussidi, ecc., perché è semplice parlare di risultati positivi sulla base di indagini influenzate da specifiche committenze, spesso basate sulla quantità piuttosto che sulla qualità; infatti, tutt’altra cosa, è vivere in prima persona il disagio, la freddezza e l’immobilismo che la modalità in “remoto” comporta.
Indubbiamente questa modalità ha consentito di poter sopperire ad una totale situazione di stallo, ma non può essere “la nuova frontiera” definitiva del lavoro.
Per quanto possibile dobbiamo cercare di mantenere viva la propensione naturale dell’uomo alla socialità, alla convivialità e soprattutto al dinamismo; il rischio, infatti, è quello di creare nuove forme di “alienazione”, accentuando così, quel passaggio dall’umano al sub-umano, ad una condizione bestiale, come sostiene lo stesso Marx.
Allora dovremmo rammentare ai poteri alti e forti che:“Tu vendi il tuo tempo, le tue giornate, per cui lo stipendio che ti danno è una sorta di ricompensa perché ti hanno rubato qualcosa”(Terzani, 2006).
Dott. Davide Costa – sociologo
Riferimenti bibliografici
Marx K., (1886), Il capitale, trad. it. Meyer R., Newton Compton Editori, Roma, 2015.
Mayer K.U.,(2002), The sociology of the life course and life span psychology – diverging or con – verging pathways?, in U.M. Staudinger, U. Lindenberger (a cura di), Understanding Human Development: Lifespan Psychology in Exchange with Other Disciplines, KluwerAcademic Publishers, Dordrecht, trad. it. Checcucci P.& Fefé R.(2012).
Pagano U.,(2011), L’uomo senza tempo, FrancoAngeli Editore, Milano.
Terzani T., (2006), La fine è il mio inizio, Longanesi, Milano.
Sitografia
https://www.lavoro.gov.it/strumenti-e-servizi/smart-working/Pagine/default.aspx.