PER UNA SOCIOLOGIA DEL CARCERE: LA “NON COMUNICAZIONE NELLE ISTITUZIONI TOTALI”

IGiacomo Buoncompagnil sociologo Ervin Goffman (2003) parla di “istituzioni totali” definendole  luogo di residenza e lavoro di gruppi e persone che si trovano a dividere una situazione che li accomuna, tagliate fuori dalla società per un considerevole periodo di tempo, trascorrendo parte della loro vita in una regime chiuso e formalmente amministrato.  L’internamento in un’istituzione totale ha come diretta conseguenza una radicale emarginazione. La caratteristica principale delle istituzioni totali (Goffman , 2003) consiste nella rottura delle barriere che abitualmente separano le diverse sfere della vita dell’individuo (famiglia, lavoro,ecc.) e di conseguenza, nell’innalzamento di una grossa barriera con l’esterno mettendo in forte crisi il rapporto tra  comunicazione e realtà sociale. Il carcere , in quanto istituzione totale, è riduzione ai minimi termini delle possibilità comunicative interne ed esterne. L’idea di carcere esclusivamente legata all’idea di “punizione”, è un altro degli aspetti che alimenta la non-comunicazione e l’isolamento del detenuto.Ciò che andrebbe valorizzato è un concetto apparentemente contraddittorio se considerato insieme a quello di punizione e cioè il concetto di “rieducazione” del carcerato, ricomponendo una comunicazione interpersonale che rischia di scomparire nel momento in cui viene commesso un crimine.                                                                     Gagliano (1984) individua 3 livelli di comunicazione da attivare a fini educativi: 1°livello: carcere come realtà scollegata dalla società. La realtà carceraria appare alla collettività come realtà estranea, lontana, disumana;il detenuto appare all’esterno non più come individuo con doveri e diritti ma solamente come criminale. Sicuramente una percezione distorta e superficiale del mondo carcerario , in quanto quest’ultimo è parte costitutiva del contesto sociale. 2°livello di comunicazione:il detenuto ha bisogno di sentirsi parte della società. Per un detenuto il primo aspetto negativo è quello di dover entrare a far parte di una sub-società (Amato,1987). Il soggetto è consapevole della percezione negativa che la società ha del carcere, è cosciente del fatto che dovrà interrompere i contatti con l’esterno ,e questo comporta la restrizione degli orizzonti affettivi, culturali e sociali del singolo detenutoe quindi solitudine ed inaridimento delle emozioni.La soluzione la si trova nella possibilità di inclusione, di contatti interni ed esterni, e coinvolgimento del soggetto in attività culturali, sociali , religiose, “stimolando” cognizione ed emozione del detenuto. 3°livello: rapporti interni alla realtà carceraria Molto spesso pervade un clima di sospetto all’interno della realtà carceraria che danneggia il livello di comunicazione tra operatori sociali, detenuti, non appartenenti all’Amministrazione Penitenziaria.     Purtroppo ancora oggi l’A.P. non è dotata di mezzi sufficienti a garantire la ri-socializzazione dei detenuti , per questo , anche attraverso l’aiuto dei media , è opportuno sensibilizzare di più la comunità sul tema carcere.  Il serio rischio che si corre, non riguarda solamente l’impossibilità di attivare un concreto processo di comunicazione con l’esterno, ma è anche quello di un ripiegamento dell’istituzione penitenziaria  su se stessa , è quindi di una totale chiusura.

 CARCERE 1E il ruolo dei media? Radio, tv, stampa, permettono di rompere quel silenzio, quella non comunicazione ed interazione nelle carceri che li separa dalla società, anche se per la maggior parte delle volte i riflettori si accendono sui carceri solo di fronte a fatti di cronaca estremamente negativi.                                    L’accusa principale che viene mossa ai media infatti,è quella di operare una costante rimozione dei problemi del Sistema Penitenziario e di riprodurre gli stereotipi sociali più comuni dell’individuo deviante ; troppo spesso quel sentimento generalizzato di società buona in netta contrapposizione con il detenuto in carcere, la cui rieducazione appare impossibile ed immeritata, è il risultato di deformazioni e letture parziali, superficiali della realtà carceraria, operata dai mass e new media.                                                                                                            

E’ di dovere specificare che il rapporto tra giornalismo e carcere rappresenta una “declinazione “ della complessa relazione tra giornalismo e devianza: molto spesso non si approfondisce in toto la situazione ci si limita a rievocare un comportamento criminale, risultato di psicopatologie, spegnendo i riflettori sulle condizioni del detenuto e la possibilità di rieducazione; questo perché manca un’adeguata formazione in merito del mondo carcerario. Questo accade perché prevale la logica del marketing journalism  e gli eventi comunicati devono soddisfare particolari criteri di selezione: –  comunicabilità: gli eventi devono essere semplici da comunicare; – non ambiguità: devono essere eventi facilmente decodificabili; -significatività rilevante: devono coinvolgere un alto numero di persone; – prossimità: devono essere eventi percepiti come “vicini” dalla comunità di riferimento; -novità: gli eventi devono infrangere la quotidianità, non essere “normali”. Una vera e propria conquista per i detenuti italiani è stata la nascita del giornalismo carcerario.  Nel 1951, nasce il primo giornale dei detenuti in Italia, nel carcere di Porto Azzurro , “La Grande Promessa”, mentre i periodici più importanti sono stati “Noi e gli altri” e “Ora d’aria” (1975-1977), tutti prodotti e stampati interamente all’interno delle carceri, il cui fine è la denuncia, fornire un’informazione parallela o contrapposta a quella delle grandi testate, e i cui contenuti riguardano le esperienze significative dei detenuti e analisi delle problematiche in carcere come tutela , istruzione  e salute.

Il web ha costituito un’importante elemento di novità e ampliamento delle potenzialità linguistiche , comunicative e relazionali, soprattutto con la realtà esterna al carcere: la Rete ha rappresentato libertà e globalità, apertura e ha  permesso di ricostruire quei legami comunicativi tra carcere e  società che rischiavano di dissolversi per sempre. C ‘è inoltre  un legame interessante , che potrebbe rafforzarsi in questo momento storico e che segnerebbe la fine della difficoltà di comunicazione esterna da parte degli Istituti Penitenziari: rapporto tra carcere ed Università Italiane, le numerose iniziative e  collaborazioni tra docenti, studenti e detenuti che li vede impegnati in prima persona in attività di giornalismo o drammaturgia, ne sono un forte e chiaro esempio di fine della non-comunicazione e dell’isolamento del detenuto.

Buoncompagni Giacomo   

Laureato in comunicazione e specializzato in comunicazione pubblica e scienze socio-criminologiche. Esperto in comunicazione strategica e linguaggio non verbale. Collaboratore di Cattedra in “Sociologia dei processi culturali e comunicativi “e “Comunicazione e nuovi media”presso l’Università di Macerata ,  docente di “Comunicazioine e crimine “presso la Libera Università di Agugliano (AN). E’ autore del libro “Comunicazione Criminologica”(Gruppo editoriale L’Espresso,2016) giacomob89@libero.it

 


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