OBBEDIENZA, DISOBBEDIENZA E IN MEZZO LA LIBERTA’
di Federica Ucci
La pandemia, giunta alla sua seconda ondata, persiste nell’imporre continuamente l’adozione di nuove misure di contenimento, allo scopo di rallentare/fermare la diffusione di questo virus che, ormai, domina la scena mondiale.
<<== Dott.ssa Federica Ucci
La sensazione di insicurezza che ormai dilaga ovunque non permette di fare valutazioni oggettive e di vivere senza essere invasi, almeno una volta durante la giornata, dall’ansia per un futuro sempre più precario e minacciato dallo spettro della peggiore recessione globale e locale… come in un flashback sembra di rivivere quei mesi non troppo lontani della fase uno. Il ruolo dello Stato nella gestione dell’emergenza è costante nel discorso pubblico, la conseguente crisi economica ad oggi implacabile è sempre stata presente, fin dall’inizio, solo che gli effetti non erano immediatamente visibili.
Ma oggi, questi effetti si impongono sempre di più sull’intera vita sociale, con crisi occupazionale, perdita di posti di lavoro e l’ aumento di nuove povertà che nel medio-lungo periodo aumenterà il divario già esistente all’interno della società, minacciandone seriamente gli equilibri.Quando si parla di pandemia oggi, si utilizza ancora come a marzo la metafora bellica, in quanto le due situazioni sono accomunate da uno sforzo generale, che chiama in campo anche la gente normale, per sostenere una causa comune.
La storia è disseminata di tanti esempi di “tirate di cinghia collettive” e il fronte comune in cui tutti possono contribuire in qualche maniera è la vita quotidiana, ormai caratterizzata da piccole o grandi rinunce che non risparmiano nessuno, nemmeno i più piccoli.Daniel Kahneman, psicologo e premio nobel, fu uno dei primi a capire che la nostra mente ha una modalità lenta e deliberativa e una modalità veloce ed intuitiva: per mobilitare le persone, la questione deve diventare emotiva. E cosa c’è di più emotivo dell’infuriare di una lotta per la sopravvivenza a trecentosessanta gradi?
La solidarietà è senza dubbio una risorsa importante, anche quando assume forme per così dire “assurde” che portano ad accettare come “normali” delle condizioni come il distanziamento fisico nelle interazioni sociali, il taglio di risorse ad ospedali e scuole, il dover scegliere quali pazienti curare e quali no, dover vivere senza poter lavorare. Cosa ci sarebbe di “solidale”, di umano, in tutte queste cose?
Come afferma Bauman (2003), in un ambiente fluido, dove le vecchie consuetudini vengono rapidamente spazzate via e quelle nuove raramente hanno tempo a sufficienza per acquisire forma (e tanto meno di solidificarsi), brancolare in un buio perforato da sporadici e casuali raggi di luce (una condizione nobilitata nella retorica sociologica attualmente in voga con il nome di «riflessività») è l’unico modo disponibile di agire. Qualsiasi tipo di azione non può che essere sperimentale – non nel senso ortodosso dell’«esperimento» (vale a dire di un collaudo accuratamente progettato volto a provare o confutare l’esistenza di una regolarità preconizzata/ipotizzata/immaginata), ma nel senso di una ricerca casuale di un’unica mossa azzeccata tra tante errate e sconsiderate.
L’azione procede attraverso tentativi, errori, nuovi tentativi e nuovi errori, fino a che uno dei tentativi non sortisce un risultato che potrebbe, in quelle date circostanze, passare per soddisfacente. In assenza di ricette collaudate per il successo, imposte apoditticamente o autorevolmente avallate, le azioni devono essere, e tendono a essere, sovrabbondanti. Quasi tutte le mosse sono prevedibili, se ne paventa l’insuccesso, e l’unico contributo che ce ne si può ragionevolmente attendere è quello di essere eliminate dalla trabocchevole moltitudine di possibilità da considerare in futuro.
Una valanga di tentativi non garantisce il successo, ma mantiene viva la speranza che tra i tanti tentativi falliti almeno uno centrerà il bersaglio.[1]Questo è esattamente ciò che sta succedendo nella gestione di questa crisi, le persone stanno passando dall’ottimismo e dalla fiducia iniziale nelle regole ad una crescente insofferenza verso di esse e verso il sistema in generale. Il disagio sociologico oggi ci mostra come le proteste per rivendicare i propri diritti assumono spesso tratti apertamente sovversivi, altre volte possono assumere una forma più soft, mimetizzata nella vita quotidiana, adottando atteggiamenti contrari alle norme e arrivando a negare anche l’esistenza di un virus che sta tenendo sotto scacco l’intera umanità immergendola costantemente in un pericolo sempre presente, ma invisibile e per questo difficile da percepire realmente come tale.
Eric Fromm[2] spiega che secondo i miti giudaici ed ellenici l’umanità è iniziata con un atto di disobbedienza. Adamo ed Eva abitavano il paradiso terrestre ed erano parte integrante della natura, vivevano in armonia con essa e tuttavia la trascendevano. Erano umani pur non essendolo ancora, finché questa condizione mutò in conseguenza della loro disubbidienza a un ordine. Tagliando il cordone ombelicale con la terra e la madre, l’uomo è uscito da una condizione di armonia preumana diventando “individuo” e compiendo il primo passo verso la libertà e l’indipendenza. L’atto di disobbedienza, quindi, ha aperto gli occhi di Adamo ed Eva, che si sono riconosciuti estranei l’uno all’altra ed estranei al mondo esterno, che appariva loro ostile.
“Il «peccato originale», lungi dal corrompere l’uomo, lo ha anzi reso libero; è stato esso l’inizio della storia. L’uomo ha dovuto abbandonare il paradiso terrestre per imparare a dipendere dalle proprie forze e diventare pienamente umano[3]”. Sempre seguendo Fromm, anche il mito ellenico di Prometeo concepisce la civiltà umana interamente basata su un atto di disobbedienza. Rubando il fuoco agli dei, infatti, Prometeo pone le fondamenta dell’evoluzione umana, che senza il suo “delitto” non si sarebbe innescata. Prometeo non si pente né chiede perdono, ma afferma con orgoglio di preferire essere incatenato ad una roccia piuttosto che servo obbediente degli dei. L’uomo ha continuato ad evolversi mediante atti di disobbedienza, a livello spirituale osando dire “no” ai poteri in atto in nome della propria coscienza o della propria fede, e a livello intellettuale disobbedendo alle autorità che tentassero di reprimere nuove idee o all’autorità di credenze ormai troppo rigide.
Fromm scrive che, “se la capacità di disobbedire ha segnato l’inizio della storia umana (…) può darsi benissimo che l’obbedienza ne provochi la fine[4]”.Egli distingue obbedienza eteronoma, che si traduce in una sottomissione verso un’autorità che può essere razionale o irrazionale, ed obbedienza autonoma, che fa capo alla propria coscienza, la quale può essere umanistica o autoritaria. Obbedienza e disobbedienza sono in rapporto dialettico e, qualora i principi ai quali si obbedisce fossero inconciliabili con quelli ai quali si disobbedisce si verrebbe a creare una dicotomia, il cui esempio classico è rappresentato da Antigone. “Obbedendo alle inumane leggi dello Stato, Antigone per forza di cose disobbedirebbe alle leggi dell’umanità; obbedendo a queste non può non disobbedire a quelle.
Tutti i martiri delle fedi religiose, della libertà e della scienza hanno dovuto disobbedire a coloro che volevano imbavagliarli, se volevano obbedire alla propria coscienza, alle leggi dell’umanità e della ragione. L’essere umano capace solo di obbedire e non di disobbedire, è uno schiavo; chi sa soltanto disobbedire e non obbedire è un ribelle (non un rivoluzionario): costui agisce mosso da collera, da delusione, da risentimento, non già in nome di una convinzione o di un principio”[5].Nella nostra società, attraverso l’educazione e la scuola, si è creato una sorta di “valore dell’obbedienza”, collegandola in qualche modo all’essere sulla giusta strada in termini di moralità.
Lo psicologo Lawrence Kohlberg, con la sua teoria dello sviluppo morale, ha cercato di spiegare come il singolo individuo costruisce la sua idea di “bene” o “male”. In particolare, attraverso delle interviste stabilì che il livello di moralità nei bambini aumenta man mano che essi crescono, proprio come l’abilità razionale o il linguaggio. Lo sviluppo morale si articola in tre livelli sequenziali, ognuno diviso in due stadi: pre-convenzionale, convenzionale e post-convenzionale. Non sempre si passa attraverso tutti gli stadi e non tutti raggiungono l’ultimo livello di sviluppo. A livello pre-convenzionale, la persona delega l’intera responsabilità morale a un’autorità, la quale definisce un sistema di ricompense e punizioni per stabilire ciò che è “bene” e ciò che è “male”. In questo livello non si considerano diversi interessi o intenzioni di condotta ma semplicemente le conseguenze: premio o punizione.
Gradualmente, inizia ad esserci un orientamento all’individualismo/edonismo, gli interessi dell’individuo si diversificano e si iniziano a vedere le conseguenze delle proprie azioni in ottica di ciò che apporta un beneficio ed è considerato positivo e ciò che invece implica una perdita ed è considerato negativo. E’ una fase egoistica, ma in cui l’individuo considera l’eventualità di soddisfare le necessità altrui in condizione di reciprocità, un quid pro quo. C’è un’evoluzione perché anche se le motivazioni sono egoistiche, l’individuo non delega più agli altri la costruzione della sua moralità. Nello stadio convenzionale l’individuo inizia ad avere relazioni interpersonali più complesse e deve quindi abbandonare il suo egoismo per essere accettato nel gruppo. Perciò, egli considererà giuste le condotte che vengono promosse dagli altri in quanto il suo concetto di moralità si legherà all’idea di essere una brava persona.
La visione dell’individuo basata sui gruppi viene poi sostituita con una basata sulla società, in cui il criterio di definizione di ciò che è giusto e ciò che non lo è ruota intorno al mantenerla stabile attraverso condotte che non siano di ostacolo o confusione. Di conseguenza, c’è una forte obbedienza a leggi ed autorità in quanto, pur limitando la libertà individuale, sono volte a mantenere l’ordine sociale per il benessere comune. La moralità, quindi, supera i legami personali. Nello stadio post-convenzionale, al quale non tutti arrivano, la moralità diventa flessibile e variabile. L’individuo comprende perché la società ha creato delle leggi secondo un contratto che stabilisce dei criteri morali, le difende oppure le critica ritenendole limitate nel tempo e modificabili.
La moralità implica la partecipazione a un sistema sociale accettato, all’interno del quale l’individuo, accanto a quel contratto creato dalla società, stabilisce i suoi personali principi etici astratti che oltrepassano le leggi e vanno ad influenzare la sua moralità non in base a come la società si impone, ma in base a come crede che la società debba essere.Questi principi sono comprensivi, razionali e universalmente applicabili, nel senso che l’individuo inizia ad agire trattando gli altri come vorrebbe essere trattato.
In tutti questi mesi ci sono stati cambiamenti continui per cercare di gestire la pandemia, questo ha lasciato le persone più o meno disorientate, si è passati da sentimenti di speranza a sentimenti di impotenza, con l’attuale inasprimento della crisi economica sono sempre più coloro che vivono in stati di disperazione, preoccupazione e, talvolta, ossessione. Quel senso di moralità post-convenzionale, in cui chi si trova più avanti dovrebbe avere la pazienza di occuparsi di chi è rimasto indietro non è una caratteristica di tutta la società, all’interno della quale sembra essere più attivo che mai il darwinismo sociale, per il quale l’emarginazione dei poveri o dei deboli, degli “inutili”, degli invisibili, sembra essere l’ inevitabile conseguenza della selezione naturale all’interno della collettività.
E’ necessario, quindi, trovare un giusto bilanciamento tra obbedienza e disobbedienza, al fine di sviluppare una moralità almeno equilibrata?All’interno di un sistema in cui ci sono delle differenze non solo economiche e sociali, ma anche intellettuali, in cui chi vuole restare meno evoluto soggiace completamente all’ego, accettando di vivere sotto l’effetto ipnotico della paura, complici anche le manipolazioni effettuate dal sistema informativo convenzionale, trovare altri modi per documentarsi su ciò che ci accade intorno, dedicare del tempo al proprio benessere ed imparare a saper dire di no, in maniera costruttiva, quando qualcosa va contro la nostra coscienza è un modo per essere “liberi dentro”. Soprattutto in questo tempo, in cui non si è più liberi nemmeno di respirare, dove la partita se la giocano la protezione e il rischio… ma appunto è il tempo a configurarsi così, come viverlo, come percepirlo è compito nostro.
Dover ragionare in termini di sopravvivenza minima quotidiana rende davvero un’impresa impossibile immaginarsi un futuro,quel mondo globalizzato che fino a poco tempo fa era fonte di aspettative e apertura a nuove possibilità ci ha posti improvvisamente di fronte a problematiche che prima erano attribuite a popoli lontani, questa volta è stato un virus, non possiamo sapere quale sarà la prossima criticità che rimetterà in discussione il nostro concetto di normalità.Pensare con la propria testa, mettere ogni tanto in discussione ciò che è accolto acriticamente ed accettare la nostra diversità come evoluzione interiore piuttosto che come disadattamento sociale, il quale può essere fonte di sofferenza interiore o fonte di azioni distruttive per se e per gli altri, potrebbe essere l’antidoto al sentirsi in catene, perché queste esistono solo se le accettiamo noi.
Dott.ssa Federica Ucci, Sociologa
specialista in Organizzazione e Relazioni Sociali
[1] Z. Bauman, La società sotto assedio, Laterza, Roma-Bari, 2003, pag.54.
[2] E. Fromm, La disobbedienza ed altri saggi, Mondadori, Milano, 1982.
[3] Ibidem, pag.12
[4] Ibidem, pag. 13
[5] Ibidem, pag. 14