NUOVE POVERTÀ NELLA DOTTRINA SOCIALE DELLA CHIESA

DON GIACOMO PANIZZABuona giornata a tutti e tutte, e ringrazio gli organizzatori dell’invito a questo coraggioso seminario. Dico “coraggioso” perché la povertà è una tematica spesso indagata in maniera approssimativa dai mass media e una questione frequentemente evitata dalla politica se non di sfuggita quando non se ne può proprio fare a meno, come il giorno seguente alla pubblicazione dei dati Istat, Svimez o Censis. I vari governi che si sono avvicendati in Italia non hanno amato dare conto della povertà degli italiani e delle italiane. Una democrazia ipocrita promette benessere e insabbia o altera i risultati delle rare indagini svolte in materia, mentre è necessario indagare la povertà e le sue cause e rinvenire le risorse disponibili al fine di fronteggiarla e magari debellarla. Dobbiamo fare attenzione a dichiarare guerra alla povertà e non ai poveri.
Da parte mia, esprimerò alcuni spunti della Dottrina sociale della Chiesa cattolica che sul tema, negli ultimi decenni, si trova in buona compagnia delle altre Chiese cristiane ortodosse e protestanti, l’anglicana e la copta, svolgendo insieme numerose ricerche e sperimentazioni di proposte pratiche. La Dottrina sociale della Chiesa intreccia insegnamenti provenienti dalla Bibbia con quelli della storia e delle scienze umane, facendo una “lettura sapienziale”.
La sapienza cristiana è qui intesa come un sapere umano che si lascia illuminare dai messaggi della Bibbia, è un sapere scientifico e anche valoriale, un sapere della ragione e dell’esperienza, un sapere del corpo e dei sentimenti e di una religiosità ispirata al Gesù narrato nei Vangeli.
La Bibbia, la povertà, i poveri
Nella Bibbia si parla molte volte della povertà e della ricchezza. Entrambe sono ritenute valori o disvalori poiché ci possono umanizzare o disumanizzare a seconda di come-quando-perché si realizzano nella vita delle persone, delle famiglie, di gruppi e di popoli. Vengono dunque esaminate non tanto in sé stesse ma di volta in volta nel contesto storico in cui si manifestano, valutando le cause che le generano e gli effetti diretti e indiretti che provocano sui vicini e sui lontani, sui contemporanei e sui posteri. E su sé stessi, perché non bisogna mai identificare il proprio essere con il proprio avere o con qualcosa che ci manca.
La Bibbia descrive la povertà in relazione e spesso in opposizione alla ricchezza, e viceversa, perché sia l’una che l’altra potrebbero onorare ma al contrario anche umiliare gli uomini e le donne che coinvolgono. Entrambe possono svalorizzare le creature umane, come ad esempio quando il denaro, il potere, il prestigio o un’ideologia o altro ancora, vengono anteposti alle persone. Né ricchezza né povertà devono ostacolare le persone dall’essenziale della propria vita. La Dottrina sociale della Chiesa tratta della povertà non in quanto tale, ma descrive situazioni umane in cui essa valorizza o svaluta la sacralità della persona umana. Il termine religioso di sacralità riferito alla persona porta nel suo significato principale un concetto valoriale condivisibile dalla sociologia quando utilizza il corrispondente termine di dignità. Sacralità e dignità – io credo – possiamo intenderli come due significati equiparabili, entrambi ci rappresentano un valore assoluto connaturale a ciascuna persona umana.
Nella Bibbia incontriamo una povertà che Dio non vuole e una povertà che Dio vuole. Dio non vuole la povertà del misero privo dei beni necessari per vivere dignitosamente; non vuole la povertà di chi viene abbandonato privo di relazioni fraterne, senza un “tu” che gli faccia da specchio; non vuole la povertà come privazione del potere di stare alla pari di fronte ai propri simili.
Anawim (similmente a dal e ebyon) è il termine ebraico antico che indica il povero sparuto, magro, privo di parvenza umana, misero e pezzente, maltrattato, che implora aiuto, s’affligge ma da solo non riesce a superare le sue difficoltà. Anawim è scritto spesso così, al plurale, intendendo i poveri anche come categorie sociali, quali gli orfani e le vedove, i piccoli e gli indifesi incapaci di resistere alla violenza, esposti all’oppressione e sfruttati dai prepotenti. Anawim è un termine onomatopeico che indica il vento che batte le esili canne piegandole al suo soffio. È la metafora di quanti vengono forzati a curvarsi, costretti a sottomettersi ai soprusi degli altri.
Nella Bibbia c’è anche una povertà che Dio vuole. Questa non è mai la disumana miseria né il superficiale pauperismo; è invece una povertà positiva, pur contenuta nello stesso termine anawim ma anche in saphael. È il povero nel senso di umile in opposizione agli orgogliosi; è la persona mite che si riconosce creatura e non si colloca al di sopra delle altre e tantomeno al posto del Creatore; è quella capace di gratitudine e di gratuità nei confronti dei suoi simili; è quella che al denaro preferisce la giustizia. È colui e colei che – dice sempre la Bibbia – cerca Dio dall’aurora, che ha mani innocenti e cuore puro, che nelle alterne vicende della vita si fida di Dio come un bimbo svezzato in braccio a sua madre. All’interno di queste cornici interpretative si può evincere quale sia la ricchezza che Dio vuole e quella che non vuole.
In definitiva, la Bibbia non sviluppa trattati sulla povertà pur parlando insistentemente dei poveri. Il Dio amorevole verso tutti e tutte è anche il Dio che giudica le situazioni della storia partendo dalle sorti dei poveri, ovvero: dalle vittime, dai piccoli, dagli schiavi, dagli affamati, dai forestieri, dagli orfani e dalle vedove; in altri modi facendo giustizia agli innocenti e agli indifesi.
Interpretando la Bibbia con la Bibbia, potremmo sintetizzare che il povero è considerato il primo dopo l’Unico. Ha sempre un volto, è rivestito di sacralità, ha una dignità inalienabile che alcuni possono misconoscergli ma mai togliergli perché gli è stata indelebilmente impressa dal Dio che l’ha fatto a Sua immagine. Pertanto, la povertà umana che Dio non vuole è quella che impedisce alle persone di poter realizzare sé stesse, libere e amorevoli, creative e giuste accanto e di fronte alle altre.
Nella Bibbia la povertà non viene intesa come dimensione solamente materiale ed economica. Il povero e i poveri sono caratterizzati da uno o da più fattori, quali: l’insufficienza dei beni indispensabili per vivere (uomini e donne senza pane); la carenza di relazioni umane fraterne (uomini e donne soli); e l’impossibilità di poter essere sé stessi (uomini e donne senza libertà e senso della vita). A mio avviso, questi antichi principi interpretativi sono illuminanti di ciò che possiamo intendere come “vecchie” e “nuove” povertà.
La Chiesa interpellata dalle nuove povertà
La Dottrina sociale impegna miratamente la Chiesa a incontrare e ascoltare i poveri e a discernere tra i molteplici e mutevoli fenomeni di povertà i meccanismi che la determinano. Si tratta di incontri e di ascolti di carattere sia conoscitivo che operativo. Non rivelo nulla di nuovo ricordando che la Chiesa ha promosso iniziative e opere per il superamento delle povertà molti secoli prima dell’avvento di qualsiasi welfare state. Fin dal suo nascere, ha contrastato la povertà per come veniva intesa nel contesto mediterraneo di duemila anni fa; ha soccorso i poveri per liberarli dal bisogno e renderli liberi di fronte agli altri; ha aiutato persone e categorie sociali in situazione di povertà che oggi chiameremmo “vecchie”, quali: gli affamati, gli assetati, gli ignudi, i prigionieri, gli stranieri, gli ammalati e perfino i morti lasciati insepolti. Queste opere sociali non le ha intraprese per svolgere una missione sociale ma religiosa, per essere coerentemente la Chiesa fondata dall’amore di Dio verso l’umanità, verso ogni persona nella sua interezza, verso ogni popolo e nazione.
Ospedali, lazzaretti, ricoveri di ogni tipo, aiuti di prossimità, hanno caratterizzato la storia della Chiesa su questo versante, anche se non sempre essa ha potuto o saputo o voluto “vedere” con occhio attento le molteplici trasformazioni della povertà. Vedeva i volti dei poveri, ma non aveva ancora tematizzato – e non solo essa – adeguati criteri interpretativi per leggere in maniera più scientifica le povertà anche in concomitanza di palesi ingiustizie. Comunque, alle sette “opere di misericordia corporali”, materiali, accennate sopra, la Chiesa ha aggiunto altre sette categorie che per quel tempo potremmo definire di “nuove povertà” spirituali, immateriali, che sono: consigliare i dubbiosi, insegnare agli ignoranti, ammonire i peccatori, consolare gli afflitti, perdonare le offese, sopportare pazientemente le persone moleste, pregare Dio per i vivi e per i morti. Queste indicazioni hanno indirizzato la Chiesa ad andare incontro a nuovi aspetti della povertà, a “figliare” tanti santi e sante “sociali”, a comprendere meglio – ad esempio – le povertà dei nostri emigrati e quelle degli immigrati; hanno facilitato la Dottrina sociale della Chiesa a cogliere – seppure talvolta in ritardo – importanti problematiche quali la questione operaia, la questione meridionale e anche quella di genere.
In seguito all’enciclica sociale Rerum Novarum del 1891, e poi al Concilio Vaticano II terminato nel 1965, la Chiesa cattolica ha maggiormente approfondito e intensificato la dottrina sociale svolgendo anche ricerche, studi e sperimentazioni al fine di contrastare la povertà esistente nei vari luoghi e nel mondo intero, denunciando le ingiustizie planetarie e invocando i sacrosanti diritti dei popoli esclusi dal progresso umano (vedi ad esempio l’enciclica Populorum progressio del 1967 e le seguenti encicliche sociali, fino all’ultima, Laudato sì’ sui problemi dell’impoverimento del pianeta e l’immiserimento dei già poveri a causa dell’attuale dissennato sfruttamento dell’ambiente).
Le Chiese d’Europa, coinvolgendo le Caritas e gli Uffici per la pastorale sociale e del lavoro, hanno elaborato varie proposte e progetti di lotta alla povertà, mettendo a tema le “nuove povertà” assommandole e intersecandole con quelle “vecchie”. Utilizzando l’antico criterio di lettura sapienziale che sostanzialmente riassume la povertà nella povertà di beni, di relazioni e di senso della vita, la Chiesa si è dunque servita delle ricerche e delle teorie sociologiche, economiche, antropologiche, e ultimamente anche finanziarie, psicologiche, ecologiche, eccetera.
Insomma, è grazie a scienze umane come la sociologia che la Chiesa sa di potersi avvalere di nomi pertinenti per definire le povertà, vecchie o nuove che siano. Non è una cosa di poco conto. Ad esempio, il “povero” catalogato nell’immaginario collettivo del XIX secolo come povero economico (irrimediabilmente poverino, povero indistinto, senza diagnosi né prognosi utili ad accertare in maniera rigorosa gli aspetti della sua povertà e tantomeno le sue possibilità di uscirne) veniva schedato come individuo incapace e inferiore. È perciò grazie a quelle coraggiose correnti della sociologia che hanno reagito a queste definizioni riduttive e stigmatizzanti che si sono potute affinare le indagini sulle “nuove povertà” e andare al di là della mera componente economica. Sono così emersi aspetti prima trascurati, come quelli esistenziali, di disagio, di percezione, di vergogna, di fragilità, di senso del vivere, di fatica, di contare in quanto persone, e via di seguito, al punto che oggi, almeno per il mondo accademico, pare sia stato superato quel pensiero unico qualificato da alcuni come “dittatura del PIL” che occultava la dignità umana e la cittadinanza dei poveri. Infatti, da qualche tempo non si sente più tanto risuonare lo slogan “dePILiamoci!”.
Nessi tra la Dottrina sociale della Chiesa e la Sociologia
La Dottrina sociale della Chiesa accredita la Sociologia che ha assunto la categoria delle “nuove povertà”. Avvalora, ad esempio, le relazioni annuali che l’Agenzia United Nations Development Programme (UNDP) svolge per conto dell’ONU sullo sviluppo umano e sulle azioni politiche da attivare per eliminare la povertà nel mondo, e condivide gli indicatori elaborati come utili a misurare la povertà umana proprio perché essi tengono presente gli elementi economici mettendo sotto osservazione anche gli elementi di socialità, di salute, di occupazione, di rispetto e di senso della vita. Ma in particolare, la Dottrina sociale della Chiesa ritiene valido l’approccio assunto basato sulla valorizzazione delle capacità delle persone (secondo gli insegnamenti di Amartya Sen, Martha Nussbaum e altri).
A riprova includo una scheda conosciuta da tante parrocchie, riportante 8 indicatori utilizzati per poter meglio comprendere la povertà e/o il benessere delle persone richiedenti aiuto presso i Centri di Ascolto promossi dalle varie Caritas europee.
GRAFICO NUOVE POVERTA'Nella scheda – mutuata dalla Caritas svizzera e diffusa per il 2010, Anno europeo della lotta alla povertà e all’esclusione sociale – appare chiara una visione multidimensionale della povertà e la centralità della persona, intesa come valore fondamentale e come risorsa. Non sono i poveri il problema, semmai sono i soggetti-risorse imprescindibili per poter uscire dal problema della povertà. Insomma, dibattevamo queste considerazioni alcuni anni prima che l’ISTAT introducesse in Italia i 134 indicatori di povertà/benessere raggruppati nelle 12 dimensioni del Benessere Equo Sostenibile (BES). L’Istat, dal 2013, misura la qualità della vita delle persone e delle famiglie con lo strumento BES, considerando le seguenti dodici dimensioni: Ambiente; Benessere economico; Benessere soggettivo; Istruzione e formazione; Lavoro e conciliazione dei tempi di vita; Paesaggio e patrimonio culturale; Politica e istituzioni; Qualità dei servizi; Relazioni sociali; Ricerca e innovazione; Salute; Sicurezza. Certo, la componente economica rimane influente sul resto degli indicatori, come anche ciascun altro indicatore influisce sugli altri undici.
La povertà si manifesta quasi sempre multiproblematica e spesso viene ingenerata da cause multifattoriali. Già lo erano le “vecchie povertà” e le nuove ci confermano che la povertà non è affatto solo economica, pertanto difficilmente gli interventi solo monetari bastano a rimuoverla (infatti sarebbe ora di sospendere le misure spot, le card inefficaci e programmi ridotti nei tempi brevi del bilancio annuale facendo fronte una tantum a problemi necessitanti di piani strutturali). Le nuove povertà sono più complesse, essendo spesso la sommatoria di più fattori scatenanti che esigono di saper coordinare gli interventi monetari con le tecniche di aiuto all’autonomia e all’emancipazione; esigono anche che si promuovano reti di sostegno, delle contaminazioni attive tra i soggetti bisognosi, con e tra i diversi operatori sociali, la società e le istituzioni. In fin dei conti le nuove povertà vengono causate da diversi fattori per cui è saggio e ragionevole mettere in campo le operatività di diversi attori.
Le nuove povertà riguardano non soltanto la povertà oggettiva (quella che l’ISTAT suddivide in povertà relativa e povertà assoluta misurandola con alcuni indicatori economici) ma tra queste ha preso posto anche la cosiddetta povertà percepita. Nei dati dei 1.197 Centri di Ascolto delle Caritas di 154 diocesi italiane, nel 2014 risultano aumentati gli italiani giunti a chiedere aiuto alimentare, vestiario, il pagamento della bolletta della luce e altre spese gestibili al fine di non immiserire la famiglia. Sono persone e famiglie della classe media che percepiscono questo momento storico di crisi come un passaggio dal più al meno, come impoverimento, uno sminuimento di prestigio e di status, un’incertezza del futuro letta come una sconfitta, che sopportano con inedito disagio. Non si erano mai sentiti tanto vulnerabili, sotto sospetto, e con sentimenti di vergogna.
Sentimenti simili li soffrono anche taluni imprenditori che s’imbattono per la prima volta nella loro vita nel concreto rischio di fallimento, in quella povertà assurda che li costringe a “chiudere per crediti” e non per debiti, che li obbliga a licenziare le maestranze pur essendo creditori di clienti tra cui gli Enti locali e lo Stato. I ritardi dei pagamenti li portano ad accumulare debiti verso lo stesso Stato debitore, e una burocrazia sorda e anonima può stressarli fino al suicidio.
Vi sono anche diverse altre nuove povertà. Come quelle dei migranti partiti dai loro Paesi, costretti a lasciare tutto, e approdati ai nostri porti grazie a operazioni emergenziali; sono anche i giovani italiani che a loro volta emigrano in altri Paesi, e anche gli altri giovani che non emigrano ma non s’impegnano a cercare né a programmare cosa faranno domani. Al Sud tocchiamo con mano una vera povertà di libertà, a causa delle pressioni agite ferocemente e subdolamente dalle organizzazioni mafiose. Vi è una povertà letta lamentosamente, dipendente dalle carenze della programmazione politica e amministrativa di Enti locali non sempre all’altezza del compito. Conosciamo una povertà di formazione umana e civile, che riscontriamo negli ambiti normali della vita sociale e anche nelle nostre scuole pubbliche e private. Non mi pare un gioco di parole affermare che l’assenza della tematica “povertà” sui mass media possa far parte delle nuove povertà. I poveri hanno sempre meno voce perché si parla, si scrive e si mostra tanto di tutt’altro, e nuove povertà si propongono continuamente. Non è solo quella povertà di senso della vita solitamente attribuita a chi si perde nel tunnel delle droghe.
Le scienze sociali, e la Sociologia in primis, hanno stimolato la Dottrina sociale della Chiesa a rimodulare le vecchie risposte alla povertà improntate alla beneficienza mediante nuove risposte di assistenza organizzata, alla promozione dei diritti, all’ideazione di tutele universali della dignità umana. In questi passaggi la Chiesa ha compreso meglio la povertà, favorita anche dai valori presenti nel Vangelo, però è indubbio che i modelli di analisi insieme a degli schemi d’intervento professionale l’abbiano aiutata a poter meglio fare bene il bene. Auguro che tutti noi qui presenti, rappresentanti il Dipartimento Calabria dell’Associazione Nazionale Sociologi, le istituzioni, la società e anche la Chiesa, possiamo riuscire a fare insieme tanto di grandioso e utile per il benessere della nostra terra di Calabria.

Don Giacomo Panizza
San Mango D’Aquino – 26 settembre 2015 – Convegno – “Le nuove povertà”
Organizzato del Dipartimento ANS Calabria


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