‘NDRANGHETA, LA SEMPLICISTICA TESI DELLA COMMISSIONE PARLAMENTARE ANTIMAFIA
La recrudescenza criminale assomiglia ad un colpo di frusta alla schiena di una città sempre più ostaggio della crisi economica e sociale. C’è un ritorno alla paura, alla Reggio Calabria degli anni di piombo che ha dovuto contare oltre mille morti ammazzati e prodotto nei cittadini sfiducia nello Stato, nelle sue articolazioni territoriali e delle istituzioni in genere. Il malessere è un virus che continua a contagiare tutti i segmenti di una comunità nei cui confronti i governi romanocentrici continuano ad essere inadempienti e sordi alla richiesta di aiuto di una terra dalle mille contraddizioni che, assieme all’atavica arretratezza, l’allontanano dal resto dell’Europa. Oggi come in passato, continuiamo a denunciare la pervasività della ‘ndrangheta che impedisce lo sviluppo di un territorio a vocazione turistica, in cui, purtroppo, manca sia a l’iniziativa pubblica sia il protagonismo dell’imprenditoria privata. Ed è questo lo scenario in cui si muovono le famiglie della malavita organizzata per reclutare manovalanza, soprattutto giovanile. Il sottosviluppo, la mancanza di lavoro, la somma di vecchie e nuove povertà sono l’humus che rafforza l’autorità dei boss i quali approfittano anche della precarietà dello stato sociale per imporre la loro “legge” in contrapposizione alle regole democratiche. L’ostentazione di ricchezza e di potenza dei vertici delle ‘ndrine, indebolite dal sequestro e dalla confisca di patrimoni accumulati illecitamente, contribuisce ad allentare i legami tra lo Stato e il cittadino, mentre la società perde coesione.
Alla diagnosi sul radicamento della ‘ndrangheta e sugli effetti della globalizzazione che la rende la più potente organizzazione criminale del’Europa non segue un’appropriata terapia per renderla inoffensiva. Nell’ultima riunione in Prefettura della Commissione parlamentare antimafia, la presidente, on. Rosy Bindi, ha dichiarato, tra l’altro, che le reazioni della ‘ndrangheta delle ultime settimane sono dovute ad “una costante attività di controllo del territorio”. Una tesi semplicistica, ove si consideri che in città si è ripreso a sparare, uccidere, ferire. E’ vero, le forze di polizia e la magistratura sono impegnate in un grande sforzo per garantire lo Stato di diritto, ma non seguono atti concreti da parte del Governo e del Parlamento. Solo parole, promesse che non alleviano il disagio delle famiglie sempre più povere, dei giovani in cerca di occupazione, dei precari, degli esodati: cittadini che si sentono abbandonati , sfiduciati e sempre meno disposti a credere nello Stato. In crisi è anche il concetto di comunità, in un mondo globalizzato che gira attorno al capitale finanziario, al sistema delle banche e delle borse, che consolida l’individualismo e l’uomo non considera più un suo simile compagno di viaggio, ma antagonista che, nella migliore delle ipotesi, decide di evitare. Alla Calabria non bastano più le promesse: le cabine di regia, le lusinghe di una rete stradale efficiente, di un’alta velocità ferroviaria che oltrepassi Eboli ed attraversi lo Stretto di Messina e, finanche, l’ipotesi del Ponte, cioè del più grande imbroglio subito da calabresi e siciliani dall’Unità d’Italia.
I calabresi non hanno neanche bisogno di barzellette come quella dell’inaugurazione della Salerno –Reggio Calabria che, nonostante rimarrà monca nella modernizzazione, a fine anno sarà al centro di una grande parata da parte del Premier Renzi e dei vertici dei partiti che formano la maggioranza parlamentare. E Gioia Tauro e la Locride? Niente di nuovo. Anzi sì: il più grande scalo di transhipment del Mediterraneo è una grande polveriera, pronta ad esplodere per il ridimensionamento degli organici. Si parla di 500 lavoratori in esubero. Ed allora quale sarà il futuro di questa terra e delle prossime generazioni? Negli ultimi anni è aumentata l’emigrazione: ai giovani, alle intelligenze non viene offerta alcuna possibilità costringendoli così a cercare un lavoro lontano dalla loro terra. Alla fine cosa resterà se non la desertificazione, anche anagrafica, di un territorio al quale sembra non resti neanche la speranza? Promesse, progetti faraonici che, dopo ogni appuntamento elettorale, diventano il classico pugno di mosche. I progetti hanno poca credibilità in quanto la loro realizzazione è chiamata a fare i conti con gli interessi dei poteri forti, soprattutto sovranazionali, a cui l’attuale Governo appare incapace di contrapporre valide strategie di sviluppo.
Solo la miopia della nostra classe politica, nazionale e regionale, impedisce di riconoscere l’insanabile frattura tra globale e locale che, di fatto, sancisce la separazione tra potere e politica e – come sostengono Carlo Bordoni e Zigmunt Bauman – ci mette di fronte ad “una sorta di statalismo senza stato” e tutto viene assicurato “attraverso una governance”. L’errore di aver voluto a tutti i costi un’Europa economica, preferendola all’entità politica, ha allargato ancora di più la forbice tra regioni strutturalmente attrezzate per affrontare le sfide della globalizzazione e le realtà depresse del Mezzogiorno, come la Calabria. Il Vecchio continente sta subendo la dittatura di quegli stati nazionali che gli economisti indicano come “la locomotiva dell’Europa”. Ciò comporta il mutamento della politica, subalterna agli interessi dei poteri forti, e realizza quel sistema dell’antipolitica che esorcizza il dissenso, costringe i partiti al dibattito su falsi problemi, cancella qualsiasi antagonismo tra e all’interno dei partiti: un modello che annulla nel cittadino la consapevolezza dei problemi reali che giornalmente si presentano sulla sua strada. Ecco perché occorre parlare chiaro ai reggini ed ai calabresi che sono stanchi di promesse e di progetti che, nel migliore dei casi, generano clientelismo e stuzzicano l’appetito della criminalità organizzata che, tuttavia, non dovrà diventare un alibi per abbandonare la Calabria al proprio destino.
Antonio Latella – Giornalista e sociologo ( Presidente dell’Associazione Sociologi Italiani)