Morte assistita di Fabiano Antoniani, il dj Fabo

 

fabianoFabiano Antoniani, nato a Milano 39 anni fa, decide di morire, per le drammatiche  conseguenze di un incidente  stradale avvenuto nel 2014: dopo una serata in un locale, dove aveva suonato con l’amico Leonardo Tumiotto, il suo corpo viene balzato dall’abitacolo subendo lesioni al midollo spinale all’altezza di due vertebre cervicali. Il risultato scabroso di questo incidente fu la cecità e la limitazione delle attività motorie, tanto da costringerlo ad una vita da tetraplegico. Si nutriva con un sondino che arrivava allo stomaco, respirava con l’aiuto di un ventilatore 24 su 24: una vita che era peggiore della morte.Fabiano Antoniani, conosciuto come Dj Fabo, aveva espresso il desiderio di morire, una morte preannunciata attraverso il suicidio assistito ( l’eutanasia è la buona morte, che consiste nel procurare intenzionalmente la morte di un individuo, la cui qualità della vita sia compromessa da una malattia grave). Il dj Fabo aveva diffuso molti video, in cui chiedeva di morire, implorava un diritto allo stato italiano, che ad oggi non riconosce l’eutanasia come una libera scelta.Sostenuto dalla sua fidanzata Valeria, da Marco Cappato-promotore della campagna “Eutanasia legale”e dall’Associazione “Luca Coscioni”, ha portato avanti la sua battaglia di suicidio assistito, ma senza risultati in Italia.Il diniego in Italia della morte assistita da parte degli operatori, ha spinto  Fabiano e la sua famiglia a recarsi in Svizzera, finendo lì la sua esistenza, che per lui non era vita.

Si rivolse alle istituzioni con una lettera dal tono contrito, carica di emozioni, rivisitata e portata all’attenzione delle anime, grazie alla voce di Valeria, la compagna: “ Mi chiamo Fabiano, sono sempre stato un ragazzo un po’ vivace e un e un po’ ribelle, ho fatto vari lavori nella mia vita, tra cui l’assicuratore, il geometra, il broker e per un periodo sono anche stato in una squadra motociclistica e correvo in motocross. Per cinque anni ho vissuto con la mia ragazza Valeria in India, realizzando il mio sogno: suonare e fare il dj”, perché la musica era l’unico modo per far felice me e gli altri. Oggi non vivo più, ma sopravvivo, e devo dire che non sono depresso”.Dichiarazioni di spessore umano ed etico arrivano dal cuore ai tavoli istituzionali, in particolare al presidente della Repubblica Mattarella, il che non ha mai apportato un’apertura al suo bisogno reale, cioè quello di stoppare la sue funzioni vitali, secondo il suo punto di vista.L’eutanasia è un tema di profonda espressione individuale ed umana, che può essere sottoposto a più interpretazioni ed analisi, a seconda della percezione del fenomeno: ovviamente ognuno sceglie in base al proprio vissuto, in un andirivieni di pensieri, dubbi, perplessità e ripensamenti, ma al primo posto vi è la libertà personale, che non deve essere violata e bypassata da nessuno.

Oggi Fabiano è morto consapevolmente in Svizzera, un paese che gli ha concesso di riappropriarsi della sua libertà di “morire tranquillamente”, senza vedersi cieco a 40 anni e tetraplegico, una condizione che lo aveva privato della sua vita di prima.L’Italia chiede scusa alla famiglia di Antoniani, memore di aver preso sotto gamba un affare di stato, dove non ci sono né vincitori e né vinti, ma soltanto vite umane.Per quanto riguarda la legge sull’eutanasia ci sono alcuni aspetti da chiarire: le proposte di legge sull’eutanasia sono bloccate da circa un anno in commissione, mentre quella del testamento biologico è stata slittata ,ed è una vergogna che si proroghino i tempi per questioni urgenti, di etica e di civiltà, dettate da un impegno preso dall’associazione Coscioni circa 3 anni fa, ed ancora in fase di discussione.La morte assistita di Fabiano Antoniani ora è notizia, divulgata su tutti i giornali nazionali e internazionali, quasi a ristabilire un contatto diretto con la società tutta, con la famiglia di Fabiano, di Valeria, la compagna forte e decisa nelle scelte di una giusta causa: un’armonia di intenti ora corre veloce all’altare della libertà in toto.

Matteo Spagnuolo

 


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