Metamorfosi: riflessioni sociologiche

 

                                                                   Introduzione

DAVIDE COSTALa metamorfosi… Un tema che ha sempre affascinato molti scrittori, poeti e biologi. Se ci pensiamo bene, ogni evento dell’esistenza non solo umana, potremmo dire cosmica, si fonda su questo processo di trasformazione, di evoluzione e rivoluzione. Ma come può la sociologia, potremmo chiederci, non interessarsi di ciò? Il mutamento sociale, è una delle tematiche più rilevanti per questa disciplina, tanto affascinante quanto complessa, tant’è che spesso viene tacciata di essere poco scientifica, ma a ben vedere è proprio questa impossibilità di rinchiuderla in un unico ambito che la rende ciò che è. E’, potremmo dire, la sommatoria di tutti questi aspetti, che mi ha portato a tentare, senza grandi pretese, di analizzare in generale la tematica, con un focus sull’opera di Kafka “La metamorfosi”, che “(..)si può (..)aprire ad una lettura sociologica perché si proietta in un sociale che è quello ossessivo della (..) burocrazia, ma che è anche il mondo della società borghese capitalistica che rende l’uomo impotente e alienato”(Puccio 2000).

pollenza-metamorfosiMetamorfosi: termine di origine greca, significa trasformazione “(..) di un oggetto in un altro”(Treccani). Da un punto di vista prettamente zoologico è quel particolare processo che porta alla, appunto, trasformazione dallo stadio larvale a quello adulto, e riguarda soprattutto gli insetti e gli anfibi. Ora il concetto di trasformazione e/o fusione delle specie li ritroviamo in diversi miti e culti del passato, pensiamo al poema babilonese di Gilgamesh, in cui il personaggio principale, Ishtar trasforma il suo amante in uccello, oppure nell’Odissea la maga Circe trasforma in suini i suoi ammiratori, la dea Medusa che tramuta gli uomini in pietra. Spesso in tutti questi racconti del passato, vi è sempre un mago che detiene il potere di compiere tale mutamento. Però dobbiamo fermarci un secondo a riflettere su un aspetto. Nella dimensione naturale, la metamorfosi è un meccanismo “positivo”, nel senso che da larva o girino, l’animale raggiunge lo stadio adulto e almeno idealmente la bellezza (“da bruco a farfalla” un modo di dire spesso utilizzato in riferimento allo sviluppo adolescenziale), in molte opere letterarie, la metamorfosi acquisisce una connotazione spesso, “negativa”, una punizione, uno strumento di persecuzione o vendetta per colpire il soggetto. Interessante, però,  è un collegamento con alcuni strumenti sociologici: non è forse la metamorfosi una passaggio di status? Non è forse una trasformazione dell’identità dell’oggetto/soggetto interessato?  E quindi non ha un’intima connessione con la personalità? Lo status, sociologicamente viene definito come “una posizione sociale facente parte di un sistema sociale”(Gallino 2014), che assume poi una diramazione in: innato ed acquisito. L’identità, Gallino la definisce come quella capacità di cogliere una differenza osservabile fra sé e l’altro e/o fra sé e il mondo, e di mantenere il senso di tale differenza. La personalità  è quel “sistema, struttura, complesso organizzato e relativamente stabile di elementi intrapsichici quali modalità percettive e cognitive, disposizioni del bisogno, attaccamenti affettivi, pulsioni motivazionali, atteggiamenti, che sviluppano nell’individuo tramite l’interazione fra la sua dotazione biologica(..), le particolari esperienze biografiche, sistemi sociali in cui è inserito e la cultura cui è esposto”(Gallino 2014). Se ci pensiamo bene, l’idea di una costante trasformazione, e quindi metamorfosi, si cela nel termine stesso di persona, termine che in latino, nel contesto teatrale designava la maschera, e quindi la facoltà di indossarne una pluralità, spesso mutevoli e variabili, persona “una maschera dello spirito collettivo , una maschera che cela l’individualità” (Jung 1920). Gregor Samsa, sul quale ci concentreremo in seguito, subisce un passaggio di status da commesso viaggiatore a scarafaggio, metamorfosi 2muta il suo modo di identificarsi, e subisce significative variazioni della sua stessa personalità, o meglio animalità visto che si risveglia con un corpo da scarafaggio. Parlare di metamorfosi, porta immediatamente alla mente, agli studi di letteratura durante l’adolescenza.. in particolare a Franz Kafka. Uno degli errori che spesso si commettono, durante questi periodi, è il non avere a disposizione sufficiente maturità nel comprendere autori come Kafka, che “(..)rappresenta il testimone più sensibile e acuto del nostro disagio, l’interprete drammatico dei nostri più radicati malesseri intellettuali e morali,(..) lo scrittore forse in cui ogni uomo contemporaneo ritrova quel senso di sradicamento e di estraneità, quel sentimento di angosciosa vertigine che sembrano caratterizzare oggi il nostro precario modo di vivere”(Cantoni 1970).

Note biografiche: Per poter infatti cogliere il senso de “La Metamorfosi” è necessario penetrare nel suo vissuto, poiché come ricorda Sigmund Freud, l’opera d’arte è una manifestazione dell’inconscio dell’artista. Franz Kafka nasce a Praga, il 3 luglio del 1883, in una famiglia di origini ebree. Sarà proprio il contesto familiare, nel quale inizierà la sua socializzazione, a segnare e ad ispirare lo scrittore. Si tratta di un nucleo familiare in cui egli vivrà all’insegna dello sradicamento psichico e sociale, nei confronti di sua madre, ma soprattutto di suo padre, una figura che come ricorda, lo stesso Kafka, nell’opera “Lettera al padre”(1919), autoritaria, opprimente, tacciandolo di essere la causa del suo insuccesso. Come ricorderebbe Freud, tutti i figli maschi sviluppano il cosiddetto “Complesso di Edipo”, quel desiderio infantile di eliminare il padre, per prendere il suo posto affettivo nel cuore della madre, e come lo psicoanalista ribadisce in più occasioni, l’infanzia è la fonte costitutiva essenziale del proprio sé. In ciò ritroviamo già una piccola traccia del motivo per il quale, l’autore in molte delle sue opere, e soprattutto ne “La metamorfosi”(1915), ricorre a  ruoli familiari algidi, cocciuti e disumani. Kafka, vive in prima persona il senso di colpa che graverà non solo nei suoi personaggi, ma soprattutto nella sua esistenza, un senso di colpa per non aver avuto il padre desiderato. Mittner, nell’opera “Storia della letteratura tedesca”(1971), afferma “Kafka è incatenato alla casa del padre, che lungi dall’essere accogliente e protettrice, è per lui la più mostruosa negazione di ogni sicurezza e tranquillità domestica; egli infatti vi si sente un intruso, un parassita, o, come il padre soleva apostrofarlo, immondo scarafaggio”. Si laurea in legge nel 1906,  inizia a lavorare come assicuratore presso le Assicurazioni Generali di Praga, impiego che però non gli impedì di dedicarsi alla scrittura. La sua vita fu accompagnata, da una serie di problematiche, da un lato fisiche come: la nevrastenia, l’insonnia e soprattutto la tubercolosi, che si manifestò dal 1917; dall’altro le sue tumultuose relazioni sentimentali fatte di delusioni e poco durature, fino a che non incontrò una giovane ebrea, Dora Dymant, con la quale poté stabilirsi a Berlino, libero dalle imposizioni paterne. La sua cagionevole salute si aggraverò ulteriormente, per via della tubercolosi  che lo porterò alla morte il 3 giugno 1924, in un sanatorio viennese. Un suo caro amico, sarà la salvezza per le sue opere, Max Brod, che riuscì a cogliere l’acume e la qualità degli scritti di Kafka, in quanto fu proprio quest’ultimo a pubblicare, postume, gran parte dei romanzi kafkiani. Potremmo riassumere l’essenza di Kafka, così come viene catturata da una delle sue donne amate, Milena Jesenskà “… vedeva il mondo pieno di demoni invisibili, che distruggevano e laceravano l’uomo indifeso”.

La Metamorfosi: la trama: E’ d’obbligo fare un accenno alla trama di questa opera pubblicata nel 1915, nonostante la sua brevità, ingloba, come vedremo a breve, una serie di elementi sociologicamente, e non solo, rilevanti. Il personaggio principale è Gregor Samsa, un commesso viaggiatore, che si sveglia una mattina trasformato in un gigantesco scarafaggio. Il suo nuovo status comporta una serie di cambiamenti negativi per la sua famiglia composta dal padre, la madre e la sorella. Con il passare del tempo il grado di ghettizzazione e maltrattamenti porteranno alla morte, o meglio potremmo dire al suicidio di Gregor, nella più totale indifferenza da parte dei suoi familiari. Si tratta di una storia assurda, che però mostra una sua elevata logicità, una sorta di metafora volta a descrivere l’umiliazione estrema del genere umano nella società capitalista.

Perché questo titolo? Il titolo dell’opera, rimanda ad un autore, Plinio Ovidio Nasone(43 a.C,-17 d.C.) e “Le metamorfosi”(Metamorphoseon libri XV), una serie ampia e variegata di racconti favolistico-mitologici, in cui si narra di trasformazioni di esseri umani in vegetali, forze naturali o animali. Oltre a questo legame, però nell’opera di Kafka, appare più centrale, la rilevanza dell’uomo con i suoi molteplici complessi e nuclei psicologici irrisolti, il senso di colpa  e il complicato e traumatico rapporto con il mondo esterno che diviene estraneo, minaccioso, tanto enorme quanto microscopico, capace di escludere fino ad eliminare. La metamorfosi che Gregor vive sulla sua pelle, ricorda anche, citando la visione freudiana, una forma di regressione della vita personale, dei propri sentimenti, sensitiva e relazionale, per via delle marcate e ben definite carenze affettivo-relazionali. Un passaggio dall’umano al subumano, mediato, guarda caso nell’apertura dell’opera, dal mondo onirico, la via maestra, secondo Sigmund Freud, per l’inconscio, che, ancora un’altra coincidenza, conserverebbe elementi arcaici, primordiali, primitivi. Potremmo chiederci, perché una trasformazione in un insetto disgustoso come lo scarafaggio? Da un lato, forse, è un riferimento al meccanismo di inibizione intrecciato ad un incolmabile senso di colpa che portano un essere umano a ritornare ad uno stadio bestiale.  Ma come ci ha già ricordato Mittner “(..)il padre soleva apostrofarlo, immondo scarafaggio” (1971), forse questo termine, ed immagine iconica ad esso connessa, erano così vividi e forti nella mente dell’autore, tanto da averlo interiorizzato, facendolo diventare un elemento permeante dell’opera che l’ha reso celebre. Ma lo scarafaggio potrebbe essere anche una metafora, lungimirante dell’uomo contemporaneo, le svariate zampette  e la velocità con la quale sgattaiolano in casa, un riferimento al nostro essere ossessionati dalla velocità, e dal tempo che scorre via inesorabilmente; scarafaggio che ricorda anche l’atto di essere schiacciati, oppressi, da una vita sempre più isolante e all’insegna di una corazza, dura e difficile da scalfire: l’egoismo e l’individualismo. Una metamorfosi che mira alla distruzione dell’essere, della sua identità e dignità.. Gregor non vale meno di un insetto per tutte le sue relazioni primarie e secondarie: per i suoi familiari, datori di lavoro, e perché no, per l’intera società in cui è inserito…. Diviene uno straniero(Simmel), potremmo dire, che ingloba vicinanza e lontananza, in grado di favorire i due processi fondamentali: unendo dividendo e dividendo unendo; è colui che mette in discussione ogni agglomerato sociale, la famiglia di Gregor, viene sconvolta totalmente, da un familiare ormai “stranierizzato”, il padre afferma “(..) Ma com’è possibile che sia Gregor? SE FOSSE GREGOR, avrebbe già capito da un bel pezzo che LA CONVIVENZA DI ESSERI UMANI CON UNA BESTIA SIMILE E’ IMPOSSIBILE, e se ne sarebbe andato volontariamente”(Kafka 1915). Gregor da figlio ligio al dovere, diventa uno scarafaggio, uno straniero in quanto non appartenente alla specie umana, e quindi un nemico da eliminare. Eppure in questa regressione, Gregor è ambivalente: da un lato diventa come abbiamo già detto un insetto, si adegua, nel tempo,  alla sua anatomia e fisiologia, perde la capacità di parlare, ma sfrutta il nuovo corpo per ascoltare meglio ciò che avviene fuori dalla sua stanza; dall’altro però continua ad essere un uomo nel modo di pensare: pensa al lavoro, alla famiglia, mostra le accortezze tipiche di un essere umano, si nasconde alla vista della sorella, è così umano al punto tale da lasciarsi morire pur di non arrecare disturbo. Francesco Puccio sostiene che “(..) le reazioni emozionali dell’uomo si manifestano attraverso il sistema nervoso dell’insetto”(Puccio 2000). A ben vedere il sistema nervoso umano, in particolare quello autonomo che controlla le attività involontarie di ghiandole, organi e della muscolatura liscia, si distingue in sistema nervoso autonomo simpatico e sistema parasimpatico. Il sistema simpatico mantiene l’organismo in una condizione di all’erta, preparandolo a una pronta risposta energetica in condizioni di stress. Il parasimpatico favorisce il risparmio energetico e condizioni di rilassamento dell’organismo, governati da neurotrasmettitori ancestrali, presenti anche negli animali meno evoluti… Forse Kafka, ci vuole ricordare di come l’essere umano sia prima di tutto un animale, e con esso condivide una certa sensibilità, che forse è superiore a quella umana?

Il lavoro una delle sue cause? (..) Al disopra del tavolo, dove era spiegato alla rinfusa un campionario di tele appena tolte di valigia (Samsa faceva il commesso viaggiatore)”(Kafka 1915). Sin dall’apertura del racconto, il personaggio si concentra sul suo pensiero, quasi ossessivo per il lavoro, “(…)che da un lato si innesca con la reazione straniata nei confronti della metamorfosi, dall’altro si presenta in se stesso come oppressione psicosociale”(Puccio 2000). Effetto straniante che assume declinazioni negative sul lavoro “(..) che mestiere faticoso il mi son scelto! Dover andare avanti e indietro in treno tutti i giorni(..) mi è imposta questa tortura del viaggiare, con l’affanno per le coincidenze, il mangiare irregolare e cattivo, i contatti(..) mai durevoli e mai cordiali”. L’oppressione che Gregor vive nei confronti del lavoro, ben la si comprende dal modo in cui egli, descrive l’ambiente di lavoro: ostile e severo, in cui il minimo errore viene punito con il licenziamento “(..)verrei sbattuto fuori su due piedi”(Kafka 1915).  E’ chiaro che il personaggio principale viva il lavoro in maniera ambivalente: da un lato è oppresso, schiacciato dal suo impiego, vissuto in maniera conflittuale, con un elevato grado di spersonalizzazione e quasi all’insegna dell’automazione, ma dall’altro lato è anche “amato”, dal momento che è l’unica fonte di sostentamento per sé  e la sua famiglia, o meglio lo strumento necessario per estinguere i debiti contratti con il suo principale, con il quale i rapporti personali si trasformano “(..)nel timore di un fiscalismo eccessivo che tende a schiavizzare il dipendente” (Puccio2000), tanto da invadere e governare ogni sfaccettatura dell’esistenza dell’impiegato (ricorda un po’ il ragionier Ugo Fantozzi, che di queste esperienze è divenuto il personaggio iconico per eccellenza). Addirittura Gregor spiega dettagliatamente l’organizzazione istituzionale del suo luogo di lavoro “(..) una lavata di capo da parte del principale era inevitabile, perché il fattorino della ditta doveva averlo aspettato ed aver già riferito da un pezzo la sua assenza. Era una pedina del principale, quello lì, senza spina dorsale né comprendonio.(..) sarebbe venuto il principale, con il medico della mutua, avrebbe lamentato coi genitori della svogliatezza del loro figliolo e avrebbe tagliato corto a tutte le giustificazioni, sottoponendo il caso al medico, per il quale esisteva soltanto gente sanissima ma pelandrona”(Kafka 1915). Il sistema di sorveglianza adottato dal datore di lavoro è tale da violare anche la sfera intima dell’abitazione del suo dipendente, con la visita del procuratore, “(..) era il procuratore in persona(..) era condannato a lavorare in una ditta, dove alla minima omissione od assenza si formulavan subito i peggiori sospetti” (Kafka 1915), evento che potremmo dire, non fa che accendere la miccia del processo di esclusione e stigmatizzazione al quale, Gregor sarà destinato. Per chi è avvezzo agli studi sociologici, non gli sarà sfuggito che nell’impostazione descrittiva dei luoghi e rapporti di lavoro, ci sia un significativo richiamo alla posizione di Karl Marx, che seppur complesso ed ampio, cercheremo di collegarla ai pensieri di Gregor. Nell’opera “Manoscritti economico-filosofici” del 1844 afferma “(..) l’uomo(il lavoratore) si sente libero(..) soltanto nelle sue funzioni bestiali, nel mangiare, nel bere e nel generare,(..)ecc., (..) nelle sue funzioni umane si sente solo più di una bestia. Il bestiale diventa umano e l’umano bestiale”. Questo estratto racchiude dentro di se una forma di metamorfosi negativa, verso il basso, verso uno stadio subumano, come succede proprio al nostro Gregor Samsa.  Marx, però, a questa posizione correla quella di alienazione (dal latino alius, altro) per indicare la posizione del lavoratore nel sistema di produzione capitalista (Gregor come Kafka vivono il capitalismo e i suoi primi effetti collaterali, così come Marx li descrive). Per alienazione in senso sociologico dobbiamo intendere “L’essere o il sentirsi totalmente estraneo, cioè “alieno”, (..) nei confronti di oggetti culturali o di rapporti sociali che sono (..) il prodotto della propria attività intellettuale o pratica. (..)”(Gallino 2014), implica in oltre anche: impotenza, estraneazione e  un contrasto ostile del soggetto nei confronti degli oggetti da lui prodotti. L’impiego di questo termine, ci porta ad attribuirne la paternità originaria e primaria, a Rousseau, che nel “Contratto sociale”(1761) descrive l’alienazione totale, ovvero “(..)la cessione di sé con tutti i propri diritti a tutta la comunità, la clausola cui possono ridursi tutte le altre clausole del contratto sociale”(Gallino 2014). Marx, però, riprende il concetto di alienazione da Hegel, secondo il filosofo tedesco, il soggetto è estraneo a sé stesso per l’effetto generato dai rapporti deformati o invertiti tra le pratiche sociali dell’uomo e le istituzioni da egli create. Marx invece sostiene che “(..) l’alienazione del lavoro (..) consiste nel fatto che il lavoro è esterno all’operaio, cioè non appartiene al suo essere, e quindi nel suo lavoro egli non si afferma, ma si nega, si sente (..)infelice. (..) Il suo lavoro non è volontario, ma costretto, è un lavoro forzato. (..) per l’operaio (..) il lavoro  non è suo proprio, ma è di un altro. Non gli appartiene, ed egli, nel lavoro, (..) appartiene (..) ad un altro” (Marx 1844); ancora una volta il passaggio è sovrapponibile, anzi speculare a quanto riportato da Gregor (la strutturazione del suo posto di lavoro, il suo essere proprietà del datore di lavoro, la visita del procuratore, ecc.); quindi per Marx, riassumendo, il lavoratore è alienato poiché:

  1. non è il proprietario dei suoi strumenti di lavoro in quanto di proprietà del capitalista;
  2. non è il proprietario del prodotto finale della sua attività lavorativa, ancora una volta di proprietà del capitalista;
  • non ha alcuna facoltà organizzativa o amministrativa del processo produttivo.

(..) Il lavoro estraniato rovescia il rapporto in quanto l’uomo(..) fa della sua attività vitale, della sua essenza, soltanto un mezzo per la sua esistenza” (Marx 1844): Gregor si sottomette al datore di lavoro, e al regime rigido ed intransigente, per assicurare un’esistenza dignitosa prima che a sé stesso, per i suoi familiari, divenendo un fattore estenuante, ossessivo e oppressivo. Un altro aspetto merita ancora un breve approfondimento, abbiamo visto come Samsa descriva dettagliatamente l’organizzazione del luogo di lavoro, che ci porta ad un ulteriore collegamento, con il concetto di “burocrazia”, secondo Max Weber, “(..) apparato di individui (..) organizzato per l’espletazione di compiti amministrativi: tali individui sono detti funzionari, ed esercitano le funzioni connesse alla propria carica sulla base di procedure standardizzate (..) e obbedendo ad un’autorità impersonale” (Jedlowski 2011), un’organizzazione in cui individua, ancora una volta, una forma di alienazione, una spersonalizzazione, per effetto di procedure standardizzate,  all’insegna di forme di controllo sempre più astringenti.

Il contesto familiare tra finzione e realtà: Come abbiamo potuto constatare, nel vissuto di Kafka, trasposto con estrema acutezza in Gregor,  la famiglia  gioca un ruolo fondamentale, ed  proprio per questo metamorfosi 3motivo che prima di addentrarci in eventuali tentativi di interpretazione, prenderemo i passaggi più rilevanti, volti a descrivere i familiari, in particolare: il padre e la sorella.

Il ruolo del padre: considerazioni generali e freudiane:  Iniziamo con il padre, il cui carattere violento ed opprimente accompagna la sua entrata in scena “(..)ecco bussare suo padre, (..) con il pugno. ″Gregor! Gregor!″, gridò ″ma che succede ?″. E dopo una breve pausa ripeté con voce più cupa e in tono ammonitore ″Gregor! Gregor!″”(Kakfa 1915); il gesto di stringere le mani a mo’ di pugno ricompare quando Gregor riesce ad aprire la porta “(..) il padre serrò il pugno con gesto ostile,  come a voler ricacciare Gregor nella sua stanza”(Kafka 1915). E’ un padre agghiacciante ed intransigente, descritto in più occasioni con particolare veemenza, pensiamo alla scena in cui, il  procuratore inorridito lascia la casa e il padre “(..)afferrò con la mano destra il bastone (..), con la mano sinistra  un grosso giornale sulla tavola, e pestando i piedi, si diede a ricacciare Gregor nella sua stanza.(..) incalzava emettendo sibili che parevan di un selvaggio.(..) temeva,(..) di far perdere la pazienza al padre. (..) quand’ecco il padre da dietro gli diede una gran botta”. Le descrizioni negative sul padre del personaggio principale si susseguono, assieme alla sua personale metamorfosi, da sfaticato a portinaio che non si separa mai dalla sua divisa blu e lercia. Un episodio di estrema violenza, lo rinveniamo nel momento in cui Gregor, scappa dalla stanza, in seguito alla visita di sua madre; ancora una volta è proprio il padre a richiudere nella stanza il figlio, sempre con scatti di violenza tanto che “(..) in quell’istante qualcosa lo rasentò a volo(..) era una mela (..) seguita da una seconda(..) il padre aveva deciso di bombardarlo. (..) Un’altra, gettata (..) gli penetrò letteralmente la schiena”. Una vera guardia carceraria, capace di sorvegliare e punire senza il minimo briciolo di umanità verso quello che è suo figlio, nonostante sia mutato nell’aspetto. L’insensibilità del signor Samsa, raggiunge il culmine nel momento in cui i tre pensionati vedono Gregor, dopo l’ennesimo parapiglia, arriva prima sentenza nefasta della sorella, e poi il colpo di grazia viene inferto proprio da lui (il tutto udito da Gregor) “(..) Se solo ci capisse..(..) allora  forse sarebbe possibile venire a un accordo con lui; così invece..”. L’impassibilità del padre viene poi, ancora una volta ribadita quando apprende la morte del figlio “(..)ora possiamo ringraziare Iddio; manda via dei nuovi affittuari, e addirittura insieme alla consorte e la figlia, si prendono la giornata libera, esortando le donne di casa a prendersi cura di lui, ora che era tutto risolto… E’ desolante fare questo resoconto, eppure ha tanti spunti di riflessione. Il rapporto genitori-figli è sempre e comunque una delle relazioni più complicate e conflittuali, in quanto il conflitto è alla base di essa. Ancora più forte è l’incapacità di Kafka/Gregor di urlare contro il proprio padre, di opporsi: Gregor non si azzarda neanche a pensarlo, Kafka si limita a scrivere una lettera di sessanta pagine (“Lettera al padre” 1919), mai consegnata, in cui si evince con estrema lucidità la sua incapacità di realizzare un taglio netto con il padre, ma soprattutto un oscuro senso di colpa che traspone in tutti i suoi personaggi… Tutto ciò ci porta a fare una piccola immersione nel pensiero freudiano, che è completamente permeato dall’equazione: rapporto padre-figlio-senso di colpa. Sigmund Freud afferma in “Totem e tabù” (1912-13) “(..) il parricidio è(..) il delitto principale e primordiale sia dell’umanità che dell’individuo (..) è in ogni caso la fonte principale del senso di colpa” questa affermazione cela dietro di se il suo modo di concepire il rapporto padre-figlio, che definisce come “ambivalente”: da un lato il figlio prova odio verso il padre in quanto suo rivale nel conquistare sua madre, dall’altro prova un certo grado di tenerezza, e sono proprio questi due atteggiamenti  che divengono costitutivi per l’identificazione col padre. Stiamo parlando del cosiddetto “complesso di Edipo”, evento psichico in cui “(..) il bambino impara a capire che il tentativo di eliminare il padre in quanto rivale sarebbe punito. (..) si rinuncia all’odio verso il padre a causa della paura suscitata da un pericolo esterno(..), mentre l’innamoramento  verso il padre  viene trattato come pericolo pulsionale interno”(Freud 1927).  Il rapporto padre figlio poi, secondo il padre della psicoanalisi, ha un ruolo fondamentale nei “rapporti strutturati della personalità psichica”(Freud 1932) in particolare per ciò che attiene al Super-io  “(..)erede della dell’influenza dei genitori”(Freud 1927), ovvero l’insieme degli elementi che vengono interiorizzati mediante il processo di socializzazione; ma è in un passaggio significativamente rilevante, tratto dal saggio “Dostoevskj e il parricidio” (1927), che trova una rilevante correlazione con Kafka e i suoi personaggi “(..) Se il padre (..) duro di carattere , violento,  crudele, il Super-io assume da lui queste caratteristiche (..) è diventato sadico(il Super-io), l’Io diventa masochistico, ossia in fondo femminilmente passivo”. Ecco l’incapacità di Gregor, e in primo luogo di Kafka nei confronti delle figure paterne, ed ecco perché questo autore “sevizia” psicologicamente i suoi personaggi, ricorrendo al “(..)bisogno di punizione che in  parte affronta come tale il suo destino, in parte trova appagamento nel maltrattamento a opera del Super-io(coscienza di colpa)”(Freud 1927). Addirittura per Freud lo stesso destino crudele ed infausto non è che “(..) la proiezione paterna più tarda”(Freud 1927).  Potremmo dire che allora, forse, lo stesso lasciarsi morire di Gregor, non è altro che una forma di autopunizione volta ad espiare il desiderio inconscio di eliminare suo padre, o meglio, è la trasposizione letteraria delle pulsioni distruttive di Kafka provate verso suo padre; anche il descrivere Gregor  ricoperto di polvere e ricoperto di “(..) fili, peli e avanzi di cibi (..) sulla schiena e sui fianchi”(Kafka 1915) con una spiccata indifferenza, potremmo dire “(..)il senso di colpa  viene trasferito nel suo senso di inadeguatezza”(Freud 1927) tanto è vero che Kafka scrive “(..) avrebbe avuto maggior ragione di nascondersi” ma non lo fa anzi “(..) benché fosse in quello stato, non ebbe alcun ritegno ad avanzare” (Kafka 1915), ancora una volta ciò, ci ricorda Freud “(..) sente un questa colpa come colpa che travalica l’individuo. Egli disprezza gli altri non meno di sé stesso” (1927).  Per concludere questa trattazione ricordiamo come “(..)Tutta la vita di Kafka sarà un far anticamera davanti alla porta della vita” (Mittner 1971).

Il ruolo della sorella: l’emblema del conflitto sociale? Appare particolarmente emblematico il ruolo della sorella di Gregor, Grete: diciassettenne e “(..) felice di vivere” abituata a “(..): vestirsi bene, dormire fino a tardi, dare una mano(..) e suonare il violino” (Kafka 1915). Dacché premurosa e affabile, si trasforma in un vero e proprio giudice, capace di pronunciare la sentenza più nefasta… Entra in scena quasi per caso, nel tipico stile di Kafka, “(..)la sorella sussurrò: ″Apri, Gregor, te ne scongiuro!″. Ci appare, come spesso accade ne rapporti tra fratello e sorella, premurosa, preoccupata e complice tanto da avvertire Gregor, a bassissima voce, dell’arrivo del procuratore, complicità che viene ribadita dallo stesso personaggio principale tanto da affermare “(..)Se almeno fosse stata lì la sorella! Lei era intelligente (…) quel donnaiolo del procuratore si sarebbe lasciato piegare da lei; ella avrebbe chiuso la porta di casa, e nell’ingresso gli avrebbe fatto passare lo spavento con le sue belle parole”(Kafka 1915).         Gregor ripone molte, forse troppe speranze verso sua sorella, come accade spesso ricorriamo a schemata, a strumenti cognitivi che ci consentono di prevedere l’agire di un alter, ma quasi sempre molte di queste “previsioni” non si realizzano. L’apprensione di Grete verso il fratello, apparentemente è tangibile, si premura infatti di fargli trovare la colazione con del latte visto che era la “(..)sua bevanda prediletta e che la sorella gli aveva preparato sicuramente proprio per tale motivo”(Kafka 1915). Gregor, continua a descrivere la premura con la quale, Grete si prende cura di lui, illudendosi che siano accortezze le sue, “(..)riceveva il suo cibo(..) la prima volta al mattino, quando i genitori e la domestica dormivano ancora, la seconda volta dopo il comune pranzo di mezzogiorno, poiché subito dopo i genitori facevano un sonnellino”(Kafka 1915). Questa routine ci ricorda tanto, quella di una vera e propria istituzione totale, così come Goffman definisce questi luoghi, soprattutto in merito al ruolo dei “guardiani” rispetto agli “internati”! Paradossale, come d’altra parte è lo stile di Kafka, è il fatto che poco dopo il narratore, annulli l’idillio di cure amorevoli, sottolineando come la sorella non gli rivolgesse neanche la parola, anzi, Gregor si nascondeva per non arrecarle disturbo, al massimo si limitava a “(..)sospirare e invocare i santi mentre si trovava nella sua stanza”(Kafka 1915). L’amore che Gregor prova per Grete, ben lo comprendiamo noi lettori, nel momento in cui, svela il suo desiderio di far iscrivere la sorella al conservatorio, essendo il suo sogno più grande e “(..)si riprometteva di darne l’annuncio solenne alla vigilia di natale”(Kafka 1915)! Divenendo, potremmo dire l’infermiera/guardia carceraria privilegiata del nostro prigioniero in casa, diviene colei che è detiene il potere di prendere tutte le decisioni in merito al fratello, tant’è che arriva a pensare di sgomberare tutta la stanza del fratello, e quindi di togliere ogni oggetto caro a quest’ultimo, pur di renderla più congeniale all’insetto… Ma l’opinione di Gregor? Il suo punto di vista? Non viene preso neanche lontanamente in considerazione, perché viene dato per scontato che sia incapace di comprendere, o forse non viene considerato rilevante? L’apice della metamorfosi che subisce Grete, e forse dovremmo chiederci se il vero passaggio dall’umano al subumano non si riferisca ai familiari che pur non mutando nell’aspetto, divengono bruti e gretti come le peggiori bestie primitive, nel momento in cui trova lavoro come commessa in un negozio, e si dedica allo studio della stenografia francese, nella speranza di trovare un’occupazione migliore, nei confronti del fratello “(..) si limitava  ad allungare con una pedata un cibo qualsiasi nella stanza di Gregor, per poi tirarlo via la sera con un colpo di scopa, senza badare se fosse stato appena assaggiato(..) vigilava, (..), affinché la cura della stanza venisse riservata a lei”(Kafka 1915). Le uniche parole che Grete, rivolge a Gregor, da quando si era trasformato in insetto, vengono pronunciate, urlando, col pugno serrato, come suo padre ,  e con uno sguardo fulmineo: “Ah Gregor”, per poi colpirlo con una raffica di boccette contenenti farmaci corrosivi. Ma la scena più atroce, e sconvolgente, è quella in cui Grete “condanna a morte” il fratello, che sente tutto, “(..)Cari genitori (..) così non si può più andare avanti. Se non lo capite voi, lo capisco io. Non voglio pronunciare davanti a questo mostro il nome di mio fratello, perciò mi limito a dire: dobbiamo cercare di sbarazzarcene. Abbiamo tentato quanto era umanamente possibile per curarlo e sopportarlo, e credo che nessuno ci possa muovere il sia pur minimo rimprovero”(Kafka 1915), e ribadisce ancora “(..)Dobbiamo  cercare di sbarazzarcene (..) altrimenti vi ucciderà tutti e due; lo vedo già! Se ormai bisogna lavorare sodo, come tutti noi già facciamo, non si può più sopportare in casa questa eterna tortura. Non ne posso più neppure io!”(Kafka 1915). Ancora una volta, in un personaggio ritroviamo una serie di riferimenti sociologici , Schmitt ricorda, in riferimento al concetto di altro-nemico-genesi dei conflitti “(..)soltanto in colui che mi può  mettere in discussione. Riconoscendolo come nemico, riconosco che egli mi può mettere in questione. E chi può mettermi realmente in questione? Solo io stesso. O mio fratello. Ecco l’altro è mio fratello. L’altro si rivela fratello mio, e il fratello mio nemico. Adamo ed Eva ebbero due figli, Caino e Abele. Così comincia la storia dell’umanità. Questo è il volto del padre di tutte le cose”(Schmitt 1950). La storia biblica si apre con il conflitto tra due fratelli… Il conflitto si instaura perché Abele è altro, è l’altro, rispetto a Caino.. Gregor è altro rispetto alla famiglia, appartenendo ad un’altra specie, è altro rispetto alla sorella Grete.. Essendo altro e l’altro, essendo “lo straniero”, facendo riferimento all’omonimo romanzo di Camus, è un, anzi il nemico. In quanto  altro, e quindi nemico, Gregor è la fonte, l’agente etiologico del conflitto familiare, Caterina Resta (2008), sembra quasi descrivere ciò che forse, Grete prova, “l’altro prima ancora di invocare la minaccia concreta, fisica, della morte che l’altro potrebbe darmi, prima ancora di impugnare le armi, l’altro in quanto tale, ossia nella sua alterità irriducibile, nella sua estraneità appare immediatamente minaccioso; l’altro in quanto tale mi fa paura, L’“estraneo”, l’“altro”, si dimostra, dunque, come nemico, e ci fa paura proprio perché attenta in primo luogo alla nostra integrità identitaria” e ancora “(..)la guerra con lui comincia prima ancora di prendere le armi(..). Il nemico è realmente presente anche dove è solo uno spettro, e niente più degli spettri è minaccioso e incute paura”(Resta 2008). In sintesi, Grete, come la sua famiglia, come ciascuno di noi, vede nello scarafaggio/fratello un nemico, l’elemento costitutivo del cuore pulsante dell’esistenza umana: il conflitto; Gordon Allport, parla di “voglia di nemico” intesa come “(..) autonomia funzionale di motivi, secondo cui i motivi che sono originariamente manifestati nella ricerca di un obiettivo determinato possono continuare ad operare anche quando l’obiettivo originario non esiste più”(Allport 1937). Il conflitto ed il nemico, sono essenziali in quanto essi sono la radice, il germe della costante tensione tra l’individuo e la società, ed è solo con l’eliminazione fisica dell’altro, che si raggiunge il culmine del conflitto sociale ma anche una momentanea, quanto fugace quiete,  tant’è che con la morte di  Gregor, i familiari si prendono un giornata libera, escono di casa, cambiano appartamento(più piccolo ma più comodo rispetto al precedente, scelto da Gregor), e ci appaiono pieni di “(..) nuovi sogni e (..) buoni propositi” (Kafka 1915).

metamorfosi 4La stanza e il perturbante: Appare molto interessante in quest’opera il modo in cui viene descritta la stanza di Gregor, da camera anonima e routinaria, si trasforma in una vera prigione. Non è casuale ciò, se pensiamo che le istituzioni totali come: carceri, ospedali, ecc., abbiano la caratteristica principale di contenere e detenere tutti coloro che in un modo o nell’altro, si presentano, sono considerati o etichettati come diversi, devianti o pericolosi! Gregor viene “internato” nella sua stessa camera, in quanto subisce una forma di stigmatizzazione, potremmo dire appartiene alla prima tipologia di stigma individuata da Goffman nell’omonima opera del 1983, in cui ricorda come a questa tipologia appartengano “(..)le deformazioni fisiche”, le quali innescano delle reazioni negative, come abbiamo visto fino ad ora, e come abbiamo vissuto un po’ tutti nella nostra vita. Gregor, seguendo ancora il pensiero di Goffman, rinchiuso in quella stanza, acquisisce uno status particolare, quello di non-persona ovvero un soggetto appartenente a delle categorie generiche di persone che “(..) pur presenti, vengono considerate come se non ci fossero”(Goffman 1959).  Pensiamo semplicemente con quanta indifferenza i familiari esprimessero la loro repulsione, senza neanche badare se Gregor potesse o meno comprendere, tant’è che egli “(..)sibilava forte per la rabbia, dato che a nessuno veniva in mente di  chiudere la porta per risparmiargli  quello spettacolo e quel chiasso”, anche perché l’essere diventato uno scarafaggio, ha acuito i suoi sensi, così come avviene molto spesso agli internati. A tal proposito Tiziano Terzani, ne fornisce una prova, nel suo romanzo “Un altro giro di giostra”(2004): “(..)a vivere da soli (e) a star zitti,(..)si diventa più sensibili all’ascolto”. Sicuramente per Kafka, la stanza è essenziale, compare una sua primissima descrizione all’inizio del racconto “La sua stanza, una normale stanza per esseri umani, anche se un po’ troppo piccola, era sempre lì quieta fra le quattro ben note pareti” vi era anche un tavolo, e  “un’illustrazione, che egli aveva ritagliata qualche giorno prima da una rivista illustrata e poi l’aveva messa in una graziosa cornice dorata”. Sappiamo in oltre che era dotata di una finestra che dà su un “(..)immenso e grigio edificio situato a fronte, era un ospedale”. Luogo che ben presto subirà una serie di cambiamenti, attuati dalla sorella che nel vederlo appeso al soffitto pensa che, per facilitare la quotidianità dell’animale, sia necessario “(..)portar via i mobili che lo intralciavano, innanzitutto il cassettone e la scrivania”. Ma Gregor come reagisce a ciò? Il narratore ce lo descrive dettagliatamente “Gli stavano svuotando la camera; gli portavano via tutto ciò che gli era caro;(..) il cassettone dove stavano la sega da intaglio(il suo hobby) e gli altri arnesi; (..) la scrivania (..) su cui egli aveva scritto tutti i suoi compiti da allievo delle commerciali, (..)medie e perfino delle elementari”. In quanto, psicologicamente Gregor, resta sempre e comunque un essere umano, mostra tutta la sua affezione verso la cornice con la dama nella sua stanza, alla quale si ancora saldamente, in modo tale che “(..)nessuno glielo avrebbe più di certo portato via”. Camera, che col passare del tempo  diviene un luogo fatto di “Strisce di sudiciume correvano lungo i muri, qua e là si addensavano gomitoli di polvere e mucchietti di immondizie”, in cui addirittura  riponevano “(..) le cose che non si potevano sistemare altrove(..) pure la cassetta della cenere e quella delle immondizie” limitando al massimo Gregor “(..) perché non c’era più alcuno spazio libero(..) la polvere  ammucchiata ovunque”. La stanza rappresenta il teatro psicologico ove si consuma la tragedia di Gregor”(Puccio 2000), il topos dell’esclusione e della desolazione, come desolata diviene la stessa abitazione, tant’è che con la morte di Gregor, i familiari decidono di cambiare casa! La stanza, potremmo dire, è un espediente metaforico ambivalente: da un lato metaforicamente fa riferimento alla desolazione, all’esclusione dalla sfera relazionale ed affettiva del nucleo familiare, dall’altro lato, forse, è un richiamo ai meandri più reconditi della psiche umana: l’inconscio; Georg Wilhelm Friedrich Hegel, a tal proposito, lo definiva come “nächtliche Schacht” ovvero “pozzo notturno dell’io”, o “fondo tenebroso” secondo Benedetto Croce, e pensandoci bene, il rapporto tra inconscio e la stanza, ben lo rende noto lo stesso Kafka, “Quando Gregor Samsa si svegliò una mattina da sogni inquieti, si trovò trasformato nel suo letto in un immenso insetto”, abbiamo sogni inquietanti, che nella tradizione psicoanalitica vengono considerati la via maestra dell’inconscio e il letto, il luogo della produzione onirica per eccellenza. Restando su questa scia, Franco Chiereghin, nella sua relazione “L’anima di Hegel”(2010), sostiene che ,un aspetto che è chiaramente riconducibile alla nostra analisi, “(..)l’inconscio, con progressione insensibile o anche con violenza improvvisa, arrivi a sconvolgere la vita cosciente assoggettandola alle proprie dinamiche”, ora, se l’inconscio, o l’ Es, è quel calderone, caotico nel quale si agitano le pulsioni, la stanza non è forse, progressivamente altrettanto caotica, tanto da non dare più spazio di vita a Gregor, come se l’inconscio prevalesse su tutto? Inconscio in cui non vi è una scansione temporale, potremmo dire ritroviamo un tempo qualitativo, e non quantitativo, esattamente come avviene nel racconto. Un ulteriore aspetto, che intendo prendere in considerazione, seppur brevemente, attiene ad un importante passaggio, nel modo di considerare la casa-oppressione, la stanza-prigione, in casa-paura, casa-incubo… “(..) quella stanza dai soffitti alti in cui era costretto a giacere disteso sul pavimento lo intimoriva senza che  egli sapesse farsene una ragione”(Kafka 1915); parlavamo di un passaggio, di una transizione dal familiare al pauroso… Ancora una volta, Sigmund Freud ci viene in aiuto, grazie al saggio “Il perturbante”(1919) in cui sostiene che il “(..) perturbante (..) appartiene alla sfera dello spaventoso, di ciò che genera angoscia e orrore”. Angoscia e orrore che vive costantemente Gregor, ma che cos’è il perturbante? E perché possiamo collegarlo all’opera di Kafka? Appare rilevante in quanto “(..) il perturbante è quella sorta di spaventoso che risale a quanto ci è noto da lungo tempo, a ciò che ci è familiare”(Freud 1919)… Paradossale vero? Freud nell’opera ricorda come il termine perturbante in tedesco, unheimlich, sia il contrario di heimlich, casa, attiene quindi alla sfera intima, al fidato, che appartiene alla casa. Ma non tutto ciò che è nuovo è spaventoso, per renderlo tale “(..)deve aggiungersi prima qualcosa”(Freud 1919). Freud, però, attraverso un’accurata analisi semantica, rinviene  un significato traslato, nel dizionario di lingua tedesca di Daniel Sanders(1860), in cui heimlich significa anche “tenuto in casa, nascosto”(tenuto in casa e nascosto è proprio il nostro Gregor Samsa!),  per cui “(..) non è univoco, ma appartiene a due cerchie di rappresentazioni che, senza essere antitetiche, sono tuttavia parecchio estranee l’una all’altra: quella della familiarità, dell’agio, e quella del nascondere, del tener celato”(Freud 1919), per cui “(..)unheimlich è il contrario del primo significato, ma non del secondo.(..) dice Schelling, è tutto ciò che avrebbe dovuto rimanere segreto, nascosto, e che è invece affiorato”(Freud 1919).  Quindi, il perturbamento di Gregor e non solo, si insinua quando in un qualsiasi evento o oggetto si uniscono caratteristiche di estraneità (l’essere scarafaggio, incapace di parlare e lavorare) e familiarità (l’ambiente domestico, la propria stanza), quindi heimlich è un vocabolo che “(..) sviluppa il suo significato in senso ambivalente, fino a coincidere (..) col suo contrario: unheimlich. Unheimlich è(..) una variante di heimlich”(Freud 1919).  Per cui potremmo dire che diventa perturbante ciò che un tempo era familiare, ma che per effetto della rimozione (il meccanismo mediante il quale si allontanano dalla coscienza i desideri, pensieri, ecc., non tollerabili dall’Io, in quanto fonte di vergogna, senso di colpa, ecc.) viene negato, in seguito ciò che era tenuto celato, riaffiora, risvegliando complessi infantili. Un ulteriore aspetto che getta nuova luce sulla natura del perturbante, e sul perturbamento provato da Gregor verso ciò che gli era tanto familiare, ripetitivo e routinario, per via del fatto che per Freud, la ripetizione di un qualunque gesto, attività, ecc. diviene perturbante  poiché risveglia idee rimosse nell’adulto e presenti in età infantile, e negli uomini primitivi,  in cui riaffiora la sensazione infantile di forze misteriose che agiscono all’esterno della nostra coscienza, nel senso che sin dai tempi più remoti si assegnavano “(..) poteri magici (..) a persone e cose estranee(..) noi tutti, (..) abbiamo attraversato una fase corrispondente a questo animismo dei primitivi, (..) tutto ciò che  oggi ci appare “perturbante” risponda a questa condizione: di toccare tali residui di attività psichica animistica e di spingersi a manifestarsi”(Freud 1919). Forse però il perturbamento provato da Gregor riferito alla stanza potrebbe anche essere correlato al fatto che la sua camera potrebbe essere una dimensione metaforica che alluderebbe all’apparato riproduttore femminile “(..)l’antica patria(..) dell’uomo, al luogo in cui ognuno ha dimorato un tempo e che è anzi la sua prima dimora. “Amore è nostalgia”, dice un’espressione scherzosa”(Freud 1919). Forse la nostalgia di essere al sicuro, alimentato con cura, e con relativo amore…

metomorfosi 5Conclusioni: La Metamorfosi di Beck: Fino ad ora ci siamo occupati de “La metamorfosi” di Kafka, opera che mi ha sempre affascinato,  ma nel momento in cui ho deciso di scrivere questo piccolo saggio ho iniziato a “fare un giro” nella rete, con l’intento di trovare spunti ed ulteriori collegamenti sociologici, quando mi sono imbattuto ne “La metamorfosi del mondo” di Beck, saggio pubblicato dopo la sua morte dalla sua collaboratrice e moglie, nel 2016.  Per il sociologo “La teoria della metamorfosi va oltre la teoria della società mondiale del rischio: non riguarda gli effetti collaterali negativi dei beni, ma gli effetti collaterali positivi dei mali”, poiché  le cose non stanno cambiando, bensì sono in metamorfosi, in quanto mentre il cambiamento, secondo Beck,  si focalizza su un elemento del futuro, senza alterare i pilastri sui quali si poggia la società, “(..)Pensare il cambiamento che stiamo attraversando in termini di metamorfosi significa invece cogliere il nodo cruciale: sono cambiati i parametri, perché sono cambiate le certezze che fondano il nostro mondo.” È questo il motivo per il quale, nel momento in cui percepiamo la metamorfosi restiamo turbati, in quanto comporta uno sradicamento di tutte le certezze(se facessimo un’analisi quantitativa del contenuto, questo vocabolo insieme a quello di metamorfosi, comparirebbero centinaia di volte, il che significa che anche semanticamente, c’è una connessione intima e profonda). Sottolinea “(..)la metamorfosi del mondo comprende la metamorfosi dell’immagine del mondo, che a sua volta ha due dimensioni: la metamorfosi dell’inquadramento generale (framing) e la metamorfosi della pratica e dell’agire”, nel senso che ogni forma di azione, di agire sono “costruiti in termini cosmopolitici”, per cui anche un atto  locale,  affinché possa attecchire, necessita di un agire rivolto al frame mondiale. Per  Beck, però è necessario accogliere  la metamorfosi, che non deve essere intesa come l’approssimarsi di un’ecatombe, bensì come una lente, con la quale poter osservare il mondo circostante, sviluppando, però, una certa finezza nel cogliere le reazioni avverse(i rischi) che il nuovo/i nuovi portano con se. Nell’opera, di dodici capitoli, sottolinea come la metamorfosi stia rendendo sempre meno utili molte istituzioni come l’OCSE, quelle lavorative, ed anche giuridiche. Ribadiamo come, la metamorfosi di cui parla Beck riguardi l’intero globo, e ciò comporta uno stravolgimento, totale dei rapporti tra le istituzioni e i singoli soggetti, ai quali è affidato il compito di ridefinirne, di tracciarne nuovi tratti cosicché tali istituzioni possano trarre dalla metamorfosi del mondo elementi positivi e non fattori distruttivi in maniera irreversibile. E’ sul ruolo e rapporti degli individui che Beck, parte conclusiva dell’opera, conia una nuova definizione:  “comunità di rischio cosmopolite” o “comunità di destino”. Cioè si riferisce alla tangibile e sempre più evidente crisi dello Stato-nazione e delle agenzie di socializzazione, che potrebbe essere risolta con la consapevolezza che “la politica delle città mondiali si trasforma in politica mondiale che collega governance locale e globale e si pone in competizione e cooperazione con la politica mondiale nazionale-internazionale e in cooperazione con la subpolitica globale dei movimenti della società civile”. Ecco allora, la necessità di riconfigurare  lo spazio pubblico (inteso come spazio urbano),in cui  la metamorfosi viene accettata, appresa, e soprattutto intesa come uno strumento a favore delle  generazioni che Beck , definisce come “del rischio globale”: socializzate all’essenza della metamorfosi, per cui al pari di essa cangianti, sempre più digitalizzate, ma anche capaci di cogliere i rischi che tutto ciò comporta! “L’avventuroso cammino del genere umano è iniziato dalla polis.(..)La città ha creato la democrazia. (…) Oggi, di fronte ai rischi globali lo Stato-Nazione sta fallendo. Nell’attuale mondo cosmopolitizzato delle minacce globali, le città – che storicamente sono state il terreno sociale dei movimenti civili – potrebbero tornare a essere fonte di speranza”. Una metamorfosi, quindi, che ha portato all’aumento dell’individualità, nel mondo teoricamente senza confini, a quel passaggio dal focolare alla mensa, dallo stare insieme a raccontare storie del passato, al freddo silenzio di uno schermo. “Gli ellenisti ci hanno insegnato che sulla casa greca classica vigilavano due divinità: Estia, dea del focolare insediata nel centro, umbratile e femminio, della casa e Hermes, dio della soglia rivolto verso l’esterno, protettore degli scambi tra gli uomini che ne avevano monopolio. Oggi la televisione e il computer hanno preso il posto del focolare al centro della casa. Hermes si è sostituito a Estia”, ricorda Augé nell’opera “Non luoghi” (1992), l’antropologo da molto tempo ormai, parla della metamorfosi dei luoghi in non-luoghi, gli spazi dell’anonimato, in cui milioni di persone si riversano, sempre più soli, destinati al massimo ad interfacciarsi con cartelloni pubblicitari o messaggi registrati; spazi in cui l’identità evapora (quanto sono simili alla stanza di Gregor? E quanto, ciò che viviamo ogni giorno nei centri commerciali, o nelle nostre stesse case, ci rende scarafaggi sgambettanti , sempre più di fretta, con l’ossessione per uno spazio ed un tempo che fugge e non basta mai!); spazi in cui dilaga l’omologazione, l’annullamento della pluralità, della diversità…A tal proposito vorrei concludere con una mia piccola riflessione. Alcuni mesi fa, fissando il cielo, ho pensato: “Quanto sono belle le stelle(un richiamo forse, alla pluralità, alla variabilità, all’unicità, che sempre di più stanno scomparendo)… E i satelliti invece? Derubano la luce altrui, per via della loro struttura chimico-fisica( un pensiero iconografico riconducibile all’inettitudine esistenziale tipica della web-society).. Invece i buchi neri? Non fanno altro che assorbire tutto fino a disintegrare anche la luce( la politica, le istituzioni, le multinazionali)”. Sempre di meno, sono le stelle, che sempre di più si trasformano in buchi neri, o peggio ancora in semplici produttori di luce, per questa società sempre più pigra, sempre più “liquida”, sempre più… Satellite.

Dott. Davide Costa- sociologo

Bibliografia

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