Messina Denaro, tra lotta alla mafia e luci della ribalta

di Antonio Latella

Le cronache dell’arresto di Matteo Messina Denaro riportano che il “mamma santissima” di Campobello di Mazara, nel corso della sua latitanza, leggeva le biografie di Hitler e Putin. Francamente, non sappiamo se per fare una comparazione tra la guerra di mafia e i crimini riconducibili ai due dittatori, o se per un semplice arricchimento culturale.

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In questo l’ex primula rossa si è dimostrato agli antipodi rispetto alla latitanza dei boss della ‘ndrangheta che nei loro covi, prima di tutto, tappezzano le pareti con figure sacre. Al di là di questo non insignificante dettaglio, entrambe le mafie operano con un una struttura piramidale e hanno un grande alleato: l’omertà che taglia trasversalmente i territori criminali di loro competenza.

Con una differenza: le cosche della ‘ndrangheta, in prevalenza, sono caratterizzate dal vincolo di consanguineità e, pertanto, hanno maggiore impermeabilità al pentitismo. Nel caso di cosa nostra siciliana, invece, non è così e questo spiega come da oltre trent’anni il contributo dei collaboratori di giustizia sia stato particolarmente rilevante per la scoperta dei lati più oscuri di questa organizzazione.

Ma proprio in considerazione di ciò, la vicenda dell’arresto di Messina Denaro evidenzia la rete di omertà che potrebbe averlo protetto a Campobello di Mazara. Appare, infatti, inverosimile che in una comunità così piccola, nella quale tutti si conoscono, nessuno avesse idea di chi fosse quell’uomo, cresciuto proprio lì, e che conduceva una vita “normalissima”: andava a curarsi in una clinica privata, dove peraltro si faceva fotografare con il personale sanitario (strano che un anonimo paziente potesse essere compagno di conversazione con medici e paramedici) e, addirittura, si è recato in una concessionaria di automobili acquistando una Giulietta in contanti. Il tutto, con al polso un orologio del valore di 35mila euro.

Anche per questo l’operazione dei carabinieri del Ros assume grande rilevanza investigativa, sommata alla professionalità, la costanza, i sacrifici e, per certi versi, la solitudine degli uomini del generale Pasquale Angelosanto. Un autentico capolavoro di intelligence, seguito  dal blitz che ha portato alla liberazione di un vastissimo territorio dalla presenza di un catalizzatore di illegalità che, come un virus, aveva contagiato cittadini di diversa estrazione sociale. 

Ma come in tutte le battaglie non sono stati in pochi a salire sul carro del vincitore: dalla politica all’associazionismo antimafia, sempre pronti a suggestionare l’opinione pubblica che scende in piazza saltellante e ballante prima di rientrare nei ranghi della normalità. L’impegno antimafia è qualcosa di diverso rispetto alle coreografie e ai titoli giornalistici: la lotta contro questa specie di leviatano deve partire dalla scuola, con progetti extra curriculari di rigenerazione socio-culturale.  Tutti auspichiamo il cambiamento ma non facciamo nulla perché ciò avvenga. E non è un caso che questa storia sia ambientata nella meravigliosa Sicilia, la terra di Tomasi di Lampedusa, che nel suo Gattopardo ci ha lasciato una frase storica: “Perché tutto resti com’è, è necessario che tutto cambi”.

Antonio Latella – giornalista e sociologo


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