MENTRE POLITICA E CITTADINO AUMENTANO LE DISTANZE E’ IL TEMPO DELLA RETROTOPIA
La scarsa partecipazione dell’elettorato alla consultazione per il rinnovo dell’Assemblea Regionale Siciliana avrebbe dovuto far riflettere il mondo della politica (dai partiti ai movimenti), invece, ancora una volta, sul fenomeno è calato il silenzio come se l’astensionismo fosse davvero riconducibile alla sola isola maggiore, dunque ad un semplice test elettorale locale. Se dovesse prevalere ancora questa “convinzione” sarebbe un ulteriore atto di miopia della classe dirigente di un Paese incapace di recuperare il rapporto e la fiducia con i cittadini. L’elettorato non si accontenta più del forzato ottimismo di leader e tecnici, i quali vorrebbero far credere che il Paese sia uscito dalla crisi economica solo perché alcuni indicatori superano appena le caratteristiche del prefisso telefonico.
Le elezioni siciliane non hanno cambiato le strategie degli schieramenti politici nazionali. E in vista della consultazione del prossimo anno, il cittadino è diventato spettatore di una guerra tra e all’interno dei vari schieramenti per assicurarsi i numeri per governare. In atto tutti sono alla ricerca di alleanze: anche tra “nemici” che si contendono la leadership all’interno degli stessi schieramenti. Sembra che tutti siano alla disperata ricerca di alleanze tout court, senza calcolare il rischio che strada facendo possa riaccendersi lo scontro sulla sostanza del programma elettorale e sulle criticità che impediscono all’Italia di riprendere, diversamente da quanto avviene in altri stati dell’Unione Europea, il cammino dello sviluppo e il superamento dell’attuale stato di crisi. L’impresa appare ardua – sia per il centrodestra che per il centrosinistra, entrambi impegnati ad impedire l’avanzare della valanga del Movimento 5 stelle (che domenica scorsa ha vinto ad Ostia dove l’affluenza alle urne è stata appena del 33,6%,).
La situazione di grande incertezza, dovuta anche agli scontri interni, frenerebbe ancora di più la partecipazione al voto che nel 2018 potrebbe raggiungere il dato più basso della storia Repubblicana.La politica ha perso il suo primato e il potere non è più nelle sue mani a causa della subalternità al finanzcapitalismo che Luciano Gallino ha definito “una mega – macchina, creata con lo scopo di massimizzare il valore estraibile sia degli esseri umani sia degli ecosistemi”. Una nuova macchina sociale che ha superato tutte le precedenti, “compresa quella del capitalismo industriale, a motivo della sua estensione planetaria e della sua capillare penetrazione in tutti i sottosistemi sociali, e in tutti gli strati della società, della natura e della persona”.
Non più produzione di merci ma di capitali e il danaro viene investito per moltiplicarsi. Gli stati nazionali, è il caso dell’UE, hanno perso parte della loro sovranità che è passata nelle mani del sistema finanziario che trae forza dai capitali e non già dall’investitura popolare legittimata da un voto libero e democratico. La conseguenza è che la politica, diversamente da quanto avveniva nell’era del capitalismo industriale, è stata esclusa dai processi decisionali. E con la perdita del primato continua ad allontanarsi dai cittadini i quali rimangono disorientati dall’antipolitica e dai populismi che trovano nella rete un mezzo di grande persuasione e lo strumento per ottenere il consenso.
Le distanze tra politica e cittadino, almeno per quanto riguarda l’Italia, appare come un lasciato del “Secolo breve”: la tangentopoli, che seguiva di soli tre anni la caduta del muro di Berlino, con la sua spinta emotiva e giustizialista.Non intendiamo, assolutamente, mettere in discussione l’utilità di “Mani pulite” che ha frantumato un sistema di cui facevano parte, direttamente o marginalmente, quasi tutti i partiti politici. Dopo un quarto di secolo c’è chi continua a non gradire quella stagione e punta il dito contro il cosiddetto uso politico della magistratura.Al bisturi dei giudici, però, non è seguita una terapia in grado di fortificare le difese immunitarie di una società, quella italiana, esposta al virus della corruzione e delle ruberie. Ed è mancato anche un progetto in grado di ridare al Paese una nuova classe dirigente.
Con la nascita della Seconda Repubblica, le piazze e i teatri, fino ad allora luoghi d’incontro tra la politica e il cittadino, sono stati sostituiti dalla televisione che ha svolto un importante ruolo di mediazione. Oggi invece il controllo sociale e il consenso diventano interattivi grazie alla versatilità e alla velocità dei new media. Due epoche con un denominatore comune: il neoliberismo e la sua ideologia di mercato, finalizzata ad avere la meglio e condizionare ogni aspetto della vita umana. Con una differenza: nell’era televisiva, qui da noi, il monopolio dell’informazione era concentrato nelle mani di un imprenditore, poi diventato protagonista della scena politica italiana. Oggi invece, grazie alla rete, l’intero schieramento politico nazionale, con i leader o attraverso l’azione di semplici simpatizzanti, ha identiche possibilità di dialogare direttamente con il cittadino-elettore. Ma c’è il problema dell’uso appropriato del linguaggio e l’utilizzo di nuovi codici diversi dal passato.
Il rapporto diretto con il cittadino, dunque, è mediato dalla rete attraverso la quale si realizza la cosiddetta democrazia diretta, in cui al like viene dato lo stesso valore del voto. Il “mi piace” è un fatto istintivo, emozionale, spesso un’esplosione di rabbia, un atto di sfiducia nei confronti delle istituzioni o del sistema burocratico. Rimane la difficoltà di dare risposte immediate ai bisogni della gente. E da questo trae linfa il populismo che Marco Ravelli (in “Populismo 2.0”, edito da Einaudi, 2017) definisce la “malattia senile della democrazia”. E per il docente di Scienza della politica all’Università Piemonte Orientale, siamo di fronte al segno più “preoccupante del rapido impoverimento delle classi medie occidentali sotto il peso della crisi economica; ma anche della sconfitta storica del lavoro – e delle sinistre che lo rappresentano- nel cambio di paradigma socio-produttivo che ha accompagnato il passaggio di secolo”. Ciò avviene quando, come nel caso italiano, “i tempi della politica sembrano essere finiti”. È in atto, con grande disorientamento del cittadino, una sorta di braccio di ferro tra la democrazia rappresentativa, in piena sofferenza, e quella diretta che diventa una variabile della fiducia non solo nei partiti, ma anche nei confronti delle istituzioni. In un’analisi del 2013 sul caso italiano, Ilvo Diamanti (“Democrazia ibrida” editori Laterza) parlava di Democrazia ibrida: “dove si combinano elementi vecchi e nuovi”, senza ipotizzare in quale direzione ci avrebbe portato. Ecco perché, nell’interregno non si esclude un’epidemia globale di nostalgia che confonde il vero con l’immaginario, perché “la nostalgia – come sostiene Svetlana Boym, docente ad Harvard- “ è un sentimento di perdita e spaesamento, ma è anche una storia d’amore con la fantasia”.
Ci spaventa l’incertezza del futuro, diventato ingestibile e inaffidabile al punto da proiettarci nel tempo della Retrotopia che Zygmunt Bauman nell’omonima opera – pubblicata da Laterza (settembre 2017) nove mesi dopo la sua morte – definisce “il cammino a ritroso nel passato” che si trasforma in itinerario di purificazione dai danni prodotti dal futuro quando diventa presente. Il sociologo polacco inverte l’interpretazione filosofica data da Walter Benjamin all’ “Angelus novus”, opera del pittore Paul Klee. Quell’angelo, che Benjamin ribattezzò l’Angelo della storia, si ritrova nel mezzo di una tempesta che spira dal Paradiso e che si impiglia tra le ali che non riesce a chiudere. Una tempesta, che rappresenta il progresso che lo spinge al futuro a cui rivolge le spalle. C’è un cambio di rotta, “come se quell’angelo fosse colto nel bel mezzo di un’inversione di marcia; il volto dal passato lo rivolge al futuro, le ali vengono sempre respinte dalla tempesta che, oggi, spira dall’inferno del futuro (immaginato, previsto e temuto prima ancora che accada) verso il paradiso del passato (un passato probabilmente solo raffigurato a posteriori, dopo averlo perduto e visto andare in rovina). Per il teorico della società liquida, in quel disegno “il passato e il futuro sono colti mentre si scambiano i vizi e le virtù”. Dopo le macerie del passato, tocca al futuro, “deprecato perché inaffidabile e ingestibile, finire alla gogna per essere contabilizzato come voce passiva mentre il passato viene spostato tra i crediti e rivalutato, a torto o a ragione, come spazio in cui la scelta è libera e le speranze non sono ancora screditate”.L’astensionismo, fenomeno non solo italiano, continua, per ragioni diverse, ad essere sottovalutato sia dai partiti dell’attuale maggioranza di governo sia dalle opposizioni impegnate nella demonizzazione dell’avversario per giungere alla sua delegittimazione, prendendo come pretesto l’attuale momento di crisi socio-economica. Il cittadino è stanco, sfiduciato e la sua disperazione lo protegge dal bombardamento mediatico finalizzato a cloroformizzare la sua ragione e renderlo cosi eterodiretto. Di fronte ai drammi della quotidianità della gente, l’uso dei mass media e dei new media diventa un boomerang per tutto il sistema politico.
Ma i partiti, i movimenti i leader, pur di ottenere consenso attuano la cosiddetta “strategia della distrazione” che secondo Noam Chomsky (“Le dieci leggi del potere”, edizioni “Ponte delle Grazie”, 2017), è “l’elemento primordiale del controllo sociale”. Che consiste “nel deviare l’attenzione del pubblico da problemi importanti e dai cambiamenti decisi da èlites politiche ed economiche, attraverso la tecnica del diluvio o inondazione di continue distrazioni e informazioni insignificanti”. Insomma, “mantenere l’attenzione del pubblico deviata dai veri problemi sociali imprigionata da tempi senza importanza”. E la manipolazione del pubblico può avvenire, sempre secondo Chomsky, “creando problemi e poi offrire le soluzioni, attuando le strategie della gradualità e del differimento, rivolgersi al pubblico come ai bambini, usare l’aspetto emotivo molto più della riflessione, mantenere il pubblico nell’ignoranza e nella mediocrità, stimolare il pubblico ad essere compiacente con la mediocrità, rafforzare l’auto-colpevolezza, conoscere gli individui meglio di quanto loro stessi si conoscono”.L’inaffidabilità del futuro ha come cassa di risonanza l’ambiente globale che ci offre l’illusione di uno spazio comunicativo dove le libertà dei cittadini sono illimitate. In questo spazio si realizza il protagonismo dei leader che approfittando della fragilità o dell’assenza dei partiti per cercare un rapporto diretto con la gente utilizzando temi come l’immigrazione, il protezionismo economico, la sicurezza. Siamo al populismo digitale: habitat delle nuove destre mondiali che si battono per un ritorno ai nazionalismi.Nell’elenco dei più rappresentativi esempi di populismo digitale, a livello mondiale, troviamo tra i tanti Orbàn, Trump, Putin, Marine Le Pen e in Italia Beppe Grillo.
Antonio Latella – giornalista e sociologo- Presidente nazionale dell’Associazione Sociologi Italiani
Bibliografia:
Luciano Gallino, Finanzcapitalismo – Einaudi, 2011;
Zygmunt Bauma, Retrotopia – Laterza, 2017;
Noam Chomsky, lLe 10 leggi del potere- Ponte delle Grazie, 2017;
Ilvo Diamanti, Democrazia Ibrida -Laterza -la Repubblica, 2014;
Marco Revelli, Populismo 2.0 – Einaudi, 2017;
Alessandro Dal Lago, Populismo digitale – Raffaello Cortina Editore, 2017;
Davide Giacalone, Urnolatria & Urnocrazia (web 2017).