MATRIMONI MISTI SCIITI E SUNNITI
Con la definizione di “matrimoni misti” si vuole qui indicare l’accezione più ampia di unioni contratte tra due cittadini libanesi appartenenti a comunità religiose diverse. La normativa statale libanese riconosce tre comunità musulmane “storiche”: quella sunnita (1), quella sciita (2) e quella drusa; ad esse si sono successivamente aggiunte la comunità alauita e quella ismailita. Per i sunniti, la legge del 1962 riconosce come vincolanti le norme prodotte dalla scuola hanafita, riconosciuta come fonte del diritto anche dalla normativa drusa del 1948, riformata nel 1955, e dalla comunità ismaelita; per la comunità sciita, invece, la legge statale del 19 dicembre 1967 riconosce come fonte del diritto le prescrizioni della dottrina giafarita, recepite anche dalla comunità alauita nel proprio codice dello statuto personale del 1995.
L’stituto del Nikāḥ al- mut‟a, il cosiddetto “matrimonio di piacere” o “temporaneo” necessita di approfondimenti, poiché nell’ambito del diritto matrimoniale costituisce l’unico motivo giuridico di contrasto tra le due comunità musulmane maggioritarie nel paese; quindi l’unico ostacolo, seppur limitato, ai matrimoni tra una parte sciita ed una sunnita. Il Nikāḥ al- mut‟a impone che nel contratto tra lo sposo, che può essere coniugato o meno, e la sposa che deve essere necessariamente non coniugata sia espressamente stabilita la durata dell‟unione, che può variare da qualche ora a diversi decenni. Questo istituto, che ebbe origine in epoca preislamica, fu abolito durante il periodo di governo del califfo Omar, perché lo riteneva assimilabile ad una forma di prostituzione; pertanto, non entrò a far parte della tradizione giuridica di nessuna delle quattro scuole giuridiche sunnite. (3)
Per quanto concerne la filiazione, i figli concepiti in costanza di tale matrimonio sono considerati legittimi. Tuttavia, non prevedendo la dottrina giafarita per queste unioni un obbligo di trascrizione dell’atto di matrimonio, per la donna è sempre risultato difficoltoso obbligare il marito a riconoscere ufficialmente la legittima paternità dei figli. Per tali motivi, sopra citati, oggi tale matrimonio è condannato fermamente dai giuristi sunniti, che, seguendo la condanna espressa dal Califfo Omar, equiparano questo matrimonio ad una forma di prostituzione e lo ritengono quindi, un ostacolo per la conclusione di matrimoni tra donne sunnite e uomini sciiti, in quanto questi ultimi potrebbero contrarre validamente un numero illimitato di matrimoni di tal genere, senza che la donna possa reclamare.
Alessandro Savy
Sociologo ( Vicepresidente Deputazione Campania dell’Associazione Sociologi Italiani)
1 Il termine sunnita deriva dall’arabo Ahl al-Sunnah che significa “il popolo delle tradizioni [di Maometto]”. I sunniti ritengono di essere la scuola di pensiero più ortodossa e tradizionalista dell’Islam.
2 Gli sciiti devono il loro nome all’espressione “shīʿat ʿAlī” (fazione di ʿAlī), sovente abbreviata semplicemente in “Shīʿa“. Hanno cominciato il loro lento cammino di differenziazione da quello che, sotto Ahmad ibn Hanbal, diventerà il Sunnismo per motivi al contempo politici e spirituali. L’occasione fu offerta dall’assassinio perpetrato dalle forze califfali omayyadi ai danni di al-Ḥusayn b. ʿAli, figlio di ʿAlī b. Abī Ṭālib, avvenuto nel 680 a Karbalāʾ in Iraq In quell’occasione si pose con forza la questione-cardine dell’Imamato: se cioè ammettere che alla suprema carica islamica potesse accedere un qualsiasi credente (come era già stato il caso di Mu’awiya ibn Abi Sufyan e di suo figlio e successore Yazid ibn Mu’awiya), oppure riservare il posto di Califfo/Imam a un appartenente alla cerchia ristretta dei Compagni del Profeta e – con l’inevitabile trascorrere del tempo – riservarlo a un appartenente al lignaggio di Maometto, Ahl al-Bayt.
3 Cfr Alexa Moukarzel Héchaime, Actualités du statut personnel des communautés musulmanes au Liban, Droit et cultures, numéro 59, anno 2010.
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