LUDOPATIA: IL GIOCO COME RIFUGIO DEL DISAGIO SENILE

LudopatiaL’anzianità, fase che conclude il ciclo dell’esistenza umana, sta diventando oggi un vero problema sociale, con ritmi incessanti di produzione e di consumo e la sempre maggiore richiesta di un efficienza fisica e mentale che sembra aver relegato “i vecchi” in un ruolo marginale e poco gratificante. Anche la famiglia, con le sue notevoli trasformazioni che l’hanno portata ad assumere una fisionomia “nucleare”, cioè ad essere composta dai coniugi e da pochi figli, abitanti in appartamenti piccoli e con orari di lavoro drastici per tutti i componenti, ha rifiutato l’anziano, divenuto ormai più un peso da sopportare che altro. Ne consegue un’emarginazione produttiva ed effettiva dell’anziano che si sente quasi un estraneo, costretto a guardare e non a partecipare, a subire e non ad affermare le proprie idee ed opinioni, sia in quella società civile che con il proprio lavoro ha contribuito a sviluppare, sia in quella stessa famiglia che, in parte, si è originata da lui.

La questione della condizione degli anziani nell’attuale società va discussa anche in riferimento ai dati statistici che prevedono, in un prossimo futuro, un progressivo invecchiamento della popolazione, conseguenza dell’allungamento della vita media, grazie pure ai successi della medicina, con un numero di anziani quindi, almeno nei Paesi industrializzati, tendenzialmente superiore a quello dei giovani. Ciò comporta, in primo luogo, sul piano della politica economica generale, la necessità di operare scelte precise in materia di previdenza, in modo da garantire un’adeguata e sicura pensione a tutti gli anziani;  ma, in secondo luogo, anche scelte di risparmio, visto che, diminuendo la popolazione attiva, si potrà contare su una minore massa di contributi previdenziali. L’allungamento della vita lavorativa, quindi l’’incremento delle contribuzioni ai fini pensionistici e l’integrazione delle contribuzioni attraverso    servizi previdenziali complementari, con programmi individuali di risparmio che garantiscano una rendita vitalizia nella vecchiaia in aggiunta alla pensione, sembrano delle scelte obbligate per assicurare a ciascun individuo una vecchiaia tranquilla ed economicamente dignitosa.

Ma l’anziano ha bisogno anche di stimoli, di sentirsi ancora utile ed apprezzato dalla società e tanti possono essere i suoi campi di utilizzo: pensiamo ai servizi sociali, all’assistenza sanitaria, alla sorveglianza dei bambini, all’insegnamento nella scuole private ecc. Nello stesso tempo egli deve sentirsi tutelato e rispettato dalle istituzioni che devono fornirgli tutti i mezzi materiali e culturali atti a confortarlo durante l’ultimo percorso della sua esistenza.

Questo non sta accadendo, con il risultato di creare una situazione di emarginazione che diventa ancora più grave quando le condizioni economiche non aiutano l’anziano a mantenersi in una condizione di autonomia. Il disagio è evidente, il senso di inutilità inevitabile, la necessità di rifugiarsi in qualcosa di alternativo inevitabile. Eppure, l’anziano non chiede favori e privilegi, bensì di essere trattato come un normale cittadino che ha molto ancora da chiedere, da dare e da fare per se stesso e per gli altri.

Lo stato di isolamento, di emarginazione, la condizione di disagio, sociale ed economico, porta inevitabilmente a fughe in avanti, alla ricerca di diversi livelli di coinvolgimento, di emozioni forti, di sensazioni capaci di ridare vitalità ad una condizione altrimenti di malinconica solitudine.

Oggi il gioco d’azzardo è alla portata di tutti. Proliferano le  sale da gioco, moltissimi esercizi commerciali (bar e tabacchi) rendono disponibili  le più disparate modalità di gioco, dalle  slot machine  ai famigerati  gratta e vinci. La diffusione dei  giochi on-line,  poi, rappresenta un ulteriore specifico fattore di rischio  che incrementa in modo quasi  incontrollabile l’esposizione alla patologia in particolare nelle fasce giovanili. Vittime del gioco d’azzardo, prima problematico e poi del tutto patologico, al pari  della tossicodipendenza,  sono oggi le famiglie sulle quali ricadono tutti gli effetti sanitari, economici e sociali prodotti dall’insorgere della dipendenza in un/una familiare.

Il  gioco d’azzardo patologico  o  ludopatia  è un disturbo del comportamento che per diffusione ed effetti sulla salute e  sulle condizioni generali delle persone, delle famiglie e delle comunità rappresenta una vera e propria emergenza. In misura crescente vengono infatti colpite ampie fasce di popolazione con incidenza critica tra i giovani e gli anziani.

La ludopatia pur rientrando nella categoria diagnostica dei disturbi ossessivo-compulsivi, ha in realtà  una grande attinenza con la tossicodipendenza, tanto da rientrare nell’area delle cosiddette “dipendenze senza sostanze”. Gli  effetti  sulla persona,  dalla sollecitazione alla produzione di dopamina alle fasi attraverso le quali si  sviluppa la dipendenza sono, infatti,  assimilabili a quelli della dipendenza da cocaina, che, com’è noto, risulta essere una droga pesante.

Il giocatore patologico, infatti, mostra una  crescente dipendenza nei confronti del gioco  d’azzardo, aumentando la frequenza delle giocate, il tempo passato a giocare, la somma spesa nel tentativo di recuperare le perdite, investendo più delle proprie possibilità economiche e trascurando i normali impegni della vita per dedicarsi al gioco.

Il risultato è una continua fonte di sofferenza e disagio per le persone affette e per le famiglie.

Quale la strada da percorrere? Come impedire che questa patologia colpisca inesorabilmente? Soprattutto, come agire per risolvere la “questione anziani”? Come dovrebbe essere una società ideale in grado di valorizzare l’anziano?

Dovrebbe, in primo luogo favorire la diffusione di autentici valori quali l’amore, la solidarietà, l’onestà, la libertà, capaci di oscurare quelli che non sono altro che disvalori, quali il consumismo fine a se stesso, l’esibizionismo, l’egoismo e via elencando. In secondo luogo, una siffatta società dovrebbe promuovere una riabilitazione sociale e culturale tale da conferire valore e dignità all’anziano, spesso deriso dai giovani e dai parenti stessi, infondendo in questi ultimi il rispetto per individui dotati di un’esperienza e di una saggezza maggiori. In terzo luogo, una società “a misura di anziano” dovrebbe fornire la possibilità, a persone che hanno vissuto i loro anni maggiori in un recente passato, di poter efficacemente seguire le innovazioni tecnologiche ed i cambiamenti nei costumi avvenuti negli ultimi decenni: pensiamo ad esempio, ai nuovi mezzi di comunicazione, quali il computer o internet, dai linguaggi e dai metodi di utilizzo spesso incomprensibili per gli anziani o comunque di “proprietà esclusiva” dei giovani che ne polarizzano l’uso. Infine, la società dovrebbe garantire all’anziano che soffre, che è solo o, peggio, che è stato abbandonato dai familiari, le migliori possibilità di cura, di assistenza, d’intrattenimento: in ospedali, cliniche private, circoli pensionistici e ricreativi. Spesso un anziano non muore per vecchiaia o un mare incurabile, ma per solitudine, per mancanza di un contatto umano o semplicemente di un sorriso.

Bisogna realizzare un’autentica rivoluzione culturale che ponga in secondo piano pseudo valori quali il denaro, il prestigio, l’arrivismo sociale e rivaluti quelli che sono i reali interessi degli individui: la solidarietà, l’amore, l’amicizia, il sapere, il senso della famiglia, il rispetto del prossimo, la ricchezza spirituale. Valorizzare tutti, deboli ed anziani compresi, significa, insomma, fare una scelta di civiltà autentica.


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