L’Italia di oggi tra sicilianizzazione e messicanizzazione

di Emilia Urso Anfuso

Leonardo Sciascia, negli anni ’60, previde una “sicilianizzazione” dell’Italia. Detto da lui, siciliano doc, non si può certo avventarsi contro la dichiarazione.

Cosa intendeva il grande scrittore siciliano? Esattamente ciò che passa per la mente leggendo il termine: considerò che i metodi clientelari, ma anche legati a un sistema mafioso che fa parte del tessuto regionale siculo, col passare del tempo sarebbero stati sdoganati nel resto d’Italia.

<< == dott./ssa Emilia Urso Anfuso

Previsione azzeccata. In mezzo secolo di storia l’Italia si è sicilianizzata. La politica ha perso il lume della ragione, complice un periodo storico – che faccio risalire ai “dorati anni ‘80” – che servì da aperitivo di apertura per un pranzo assai poco digeribile: l’avvento di una crisi che, oggi, si pensa essere scoppiata nel 2008 ma che ha radici più antiche.

Gli anni ’90 non furono la continuazione del decennio precedente, pervaso da un senso di pseudo benessere. Gli ’80 furono solo una pausa doverosa tra il periodo di boom economico degli anni ’60 – che seguì al lungo trascorso di miseria post bellica – e la guerra civile degli anni ’70. La vera crisi iniziò negli anni ’90, con la popolazione schiavizzata attraverso le predazioni economiche (non dimenticate mai il governo Amato del ’92), e da un sistema burocratico paradossale che è servito a contribuire alla sicilianizzazione: se, per fare un esempio, un contribuente deve diventar pazzo per ottenere la licenza per un esercizio commerciale, si fa prima a proporre una serie di mazzette a chi di dovere, ed ecco che le pratiche si velocizzano…

Purtroppo, quando fai assimilare a una popolazione la sensazione che tutto vada bene, che ci sono ricchezza e opportunità per tutti, sono necessari anni affinché la gente apra gli occhi e si accorga che la situazione si è ribaltata. Va anche detto che nel DNA dell’italiano medio alberga un elemento: quello che gli fa voltare sempre la testa dal lato opposto alla realtà delle cose. Sognatori, che divengono vittime di se stessi.

Tornando a Sciascia, è meritevole la lucidità con cui riuscì – in tempi non sospetti – a comprendere verso dove si stesse andando. Leggete questo passo, tratto dal libro “Il giorno della civetta” pubblicato con Enaudi nel 1961: “Forse tutta l’Italia va diventando Sicilia… A me è venuta una fantasia, leggendo sui giornali gli scandali di quel governo regionale: gli scienziati dicono che la linea della palma, cioè il clima che è propizio alla vegetazione della palma, viene su, verso il nord, di cinquecento metri, mi pare, ogni anno… La linea della palma… Io invece dico: la linea del caffè ristretto, del caffè concentrato… E sale come l’ago di mercurio di un termometro, questa linea della palma, del caffè forte, degli scandali: su su per l’Italia, ed è già, oltre Roma”…

Ed è già oltre Roma…

In tempi più recenti qualcuno ha iniziato a usare un altro termine che ha, però, il medesimo significato: messicanizzazione. Uno dei personaggi che con maggior frequenza lo utilizza è l’economista Alberto Forchielli, un caro amico di cui ho delineato il ritratto in questo articolo pubblicato su Libero.

Non cambia il senso delle cose: il Messico è tra le nazioni col più alto livello di delinquenza e corruzione. Tutto o quasi passa attraverso il potente locale. La popolazione ne è schiava, perché dove alberga il caos in seno alla politica, non si può far altro che rivolgersi a chi ne prende il posto a livello territoriale.

I politici sono ormai bulimici di potere e denaro. Tutto diviene fonte di potere e denaro: il crollo di un ponte con tanto di vittime, uno stato di emergenza, la costruzione di uno stadio, un terremoto…

I passaggi sono sempre gli stessi: i poteri in deroga, che cancellano di colpo gli obblighi normativi vigenti e permettono di accedere ai fondi del Tesoro senza doverne spiegare il motivo. Un caso per tutti: il post sisma in Abruzzo del 2009. Attraverso i “poteri in deroga” il governo in carica ebbe libero accesso al denaro pubblico, che fu sperperato in migliaia di rivoli, con motivazioni spesso private.

Poi ci sono gli appalti, che non saranno mai concessi alle aziende sane, perché a controllare e gestire ci sono le organizzazioni malavitose che si dividono questa larga fetta di economia nazionale.

E i cittadini? Soccombono. Non possono fare altro perché non vogliono fare altro. In qualche modo si torna in Sicilia, stavolta però devo citare Tomasi di Lampedusa, che in una parte del suo “Gattopardo” fece dire a Tancredi, nipote del Principe di Salina, la famosa frase: “Se non ci siamo anche noi, quelli ti combinano la repubblica in quattro e quattr’otto. Se vogliamo che tutto rimanga com’è, bisogna che tutto cambi”.

Non a caso, Giuseppe Tomasi di Lampedusa era siciliano…


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