L’iniziativa politica di Zingaretti, gli interrogativi sulla banda ultralarga, la necessaria cautela sui dati sull’occupazione
I tre temi trattati da Giorgio Benvenuto nell’intervista concessa a Patrizio Paolinelli
Il segretario del PD, Nicola Zingaretti, abbandona la sua proverbiale prudenza e parte all’attacco dei tanti fronti interni: i contrasti tra i partiti della maggioranza di governo, le divisioni sul referendum per il taglio dei parlamentari, l’utilizzo o meno del Mes, la messa in discussione della sua leadership. Arriva persino a dire che non teme le elezioni. È imminente una resa dei conti con l’ala destra del partito e i 5 Stelle?
Mi auguro che questi argomenti non si affrontino con uno scambio di interviste tra i diversi interlocutori politici, ma che si metta in moto un meccanismo che coinvolga gli iscritti dei partiti – innanzitutto quelli del Partito Democratico – e che più che una resa dei conti la maggioranza definisca un programma. Tenendo conto delle recenti aperture dell’Europa penso sia necessario passare a una fase organica dove ci sia un progetto. Anche perché le risorse che sono a disposizione subito e quelle che verranno richiedono di uscire dalla stravagante logica politica attuale. Logica secondo la quale ogni componente del governo la mattina si sveglia e avanza un’ipotesi. Di recente la ministra ai trasporti ha proposto le piste ciclabili sul ponte dello Stretto di Messina, se e quando si farà. Occorre passare dal vivere alla giornata al programma. Non credo che un governo possa essere efficace quando la maggioranza che lo sostiene è in disaccordo su tutto: sulle nomine, sulle cose da fare, sulle priorità.
Certo, non mi sfugge il senso della sua domanda. E cioè che qualcuno abbia intenzione di far fuori prima Zingaretti e poi Conte per aprire la strada a un governo Draghi. Ma francamente si tratta di una discussione che preferisco lasciar fare ad altri. Io credo che la vera discussione sia sulle cose da fare e non sulle persone. Posto pure che Zingaretti e Conte vengano sostituiti la domanda è: per fare che cosa? Che sia questa maggioranza di governo o che sia un’altra abbiamo bisogno di un programma. E il programma non c’è. Né da parte del governo in carica né da parte di coloro che lo vogliono sostituire, siano esse fronde interne o l’opposizione. E questo è il vero problema, non chi va al posto di chi.
Dopo anni di discussioni finalmente avremo una società unica per la banda ultralarga. Società in cui la Cassa depositi e prestiti avrà un ruolo guida. Sembra una buona notizia. È d’accordo?
La banda ultralarga è un fatto positivo perché in rende più omogeneo il Paese e ne favorisce l’unificazione così come accadde con la nazionalizzazione dell’energia elettrica nel 1962. Si è trattato allora e si tratta oggi di strumenti di sviluppo economico e di rafforzamento dell’eguaglianza sia dal punto di vista territoriale che sociale. Dunque la notizia è buona. Ma una notizia non esaurisce la complessità delle cose. Intanto, decidere su un tema come questo senza una chiara strategia mi preoccupa. Mi spiego. Fra due anni avremo la banda ultralarga. Bene, ma per farci cosa? In vista di quali obiettivi? Non c’è un’ipotesi di cambiamento del Paese a cui la banda ultralarga potrebbe contribuire in maniera significativa. Si tratta di una delle tante iniziative a compartimento stagno, scollegata cioè da una visione sistemica. Mi chiedo: quanti pubblici dipendenti saranno in grado di sfruttare questa potenzialità? Quelli che non lo sono come si è previsto di istruirli? Le competenze digitali dei nostri insegnanti sono adeguate? Le piccole, medie e microscopiche imprese del nostro Paese saranno in grado di utilizzare la banda ultralarga appieno? Sicuramente non sono l’unico a farmi queste domande e ad affrontare questi argomenti. Ma né la politica né il governo fanno sintesi, perciò non si vede una programmazione in virtù della quale a un’infrastruttura tecnologicamente avanzata corrisponde un mondo del lavoro e dei servizi pubblici in grado di recepirla.
A me sembra che sia la prima volta nella storia d’Italia che siamo dinanzi un governo senza un programma. Ormai si procede con i Decreti legge, sui quali peraltro si pone la fiducia, non c’è un’iniziativa parlamentare, il rapporto con le Regioni è a dir poco confuso e così via. È fondamentale che ci sia una svolta. L’ha fatta l’Europa, la faccia anche l’Italia. Pertanto anche la banda ultralarga va rapportata con le altre decisioni che devono essere prese. Ossia, realizzare una nuova infrastruttura per fare questo e quello. Ma al momento mi sembra che siamo che siamo fermi a compiacerci del fatto che seppur tardivamente avremo un’unica società che gestirà la fibra ottica. E allora ancora una volta mi chiedo: che correlazione è stata prevista tra la banda ultralarga e le ingenti risorse europee che stanno per essere messe a disposizione del nostro Paese? Si parla tanto di giovani. Bene, ma concretamente quali progetti sono in campo affinché i giovani sfruttino tutte le potenzialità della nuova infrastruttura?
Secondo l’Istat a luglio l’occupazione è cresciuta di 85mila unità (+0,4%). Sebbene la pandemia abbia mietuto 500mila posti di lavoro c’è da essere ottimisti?
Guardi, dinanzi a dati statistici come questi mi viene sempre in mente Benjamin Disraeli quando diceva che i politici usano le statistiche come un ubriaco usa i lampioni: non per l’illuminazione ma per sostenersi. Le statistiche vanno sempre prese con le pinze, soprattutto quando le elezioni sono alle porte. Il blocco dei licenziamenti e il ricorso massiccio alla cassa integrazione guadagni rendono molto difficile interpretare i dati sull’occupazione. Indubbiamente l’andamento di luglio è positivo e sarebbe da sciocchi non rallegrarsi. Purtroppo però non credo sia indicativo di una tendenza. Si tratta di un segnale che domani può essere smentito. Poi, vede, questi valori statistici vengono gestiti come se si avesse a che fare con fenomeni naturali. Bisognerebbe invece che, sulla base degli investimenti effettuati, la statistica confermasse e o meno gli obbiettivi che ci si è posti. Questa abitudine purtroppo è andata perduta e tante volte assistiamo a previsioni sul Pil o sugli incrementi di produzione che se si rivelano leggermente inferiori all’andamento reale allora si grida al successo e all’ottimismo.
Credo cha la statistica vada maneggiata in base alla realizzazione dei progetti che si sono avviati e non possa limitarsi a commentare dati episodici. E poi, le confesso, sono stanco di tutte queste dichiarazioni di ottimismo che vanno avanti da un anno e mezzo a questa parte. Conte ci disse che il 2019 sarebbe stato un anno bellissimo, Di Maio che avevano sconfitto la povertà e così via. C’è una sopravvalutazione dei risultati e una sottovalutazione, se non un occultamento, dei dati che indicano un Paese fermo. In questi ultimi tempi si parla del rimbalzo dell’economia. Come se dinanzi a un Pil calato del dieci per cento e oltre ci si potesse consolare con previsioni di recupero di qualche punto nel 2021. Per carità, sarà meglio di niente. Ma quello che auspico è che dati come quelli di luglio sull’occupazione e le previsioni del rimbalzo economico vengano discussi con i corpi intermedi e non solo comunicati. Credo che in tal caso la loro interpretazione sarebbe più realistica.
Patrizio Paolinelli
jobsnews.it 5 settembre 2020.