L’ILLUSIONE DELLA MARSIGLIESE
Il terrore globale ha prodotto l’empatia della solidarietà. In quest’inizio di millennio è successo tante volte: dall’attacco alle Twin Towers di New York alla strage dell’hotel in Mali, che segue di una settimana l’assalto di Parigi. L’escalation della paura, con intenti diversi, sta unendo il mondo. Cosa succederà quando noi tutti avremmo metabolizzato questo sentimento che, oggi, unisce popoli di diverse culture?
Il grande demone, che crediamo di aver esorcizzato, purtroppo, continuerà ad aggirarsi sul nostro pianeta e, a causa della sonnolenza degli “esorcisti” (i capi delle potenze imperialiste e i vertici del capitalismo finanziario: vera causa di questa terza guerra mondiale a “pezzetti”) continuerà a seminare odio, morte e ulteriori paure. Allora l’Europa sarà chiamata a fare i conti con nuove divisioni e, per mancanza di un progetto politico, diventerà ancora più fragile nei suoi confini e sempre di più nel mirino del terrorismo. Appare, dunque, quasi scontato il ritorno agli interessi nazionalisti: vendita di armi, gara per accaparrarsi gli investimenti nei territori regionali devastati dalla guerriglia e, soprattutto, agire per non vedersi chiudere o stringere i rubinetti delle fonti energetiche. Insomma, la fine dell’Unione.
Oggi, nous sommes Paris, nous sommes la France, come qualche tempo fa ognuno di noi, anche per un attimo, ha indossato la maglietta di Je suis Charlie. Le note della Marsigliese (che ho imparato ad amare grazie alla professoressa di francese delle scuole medie) oggi aggregano finanche le frange estreme del tifo di nazionali di calcio da sempre acerrime rivali.
Ma domani? Difficile dirlo, azzardato ipotizzarlo.
La realtà è che, in questo primo scorcio di millennio, i singoli stati dell’UE sono costretti a lottare contro più di un nemico. Il primo è senza dubbio la povertà che provoca un grande malessere non solo nelle banlieue francesi, ma in tutti i quartieri popolari, di medie e grandi città dell’Unione: ghetti in cui convivono indigeni e immigrati mai integratisi (non solo per colpa loro, ma anche per mancanza di un’efficace programmazione statale). Si tratta di due componenti il comune denominatore: il disagio e l’esclusione sociale, che spesso si alleano nella lotta contro le diseguaglianze e per uscire della povertà che nel Vecchio continente avanza in nome del risanamento dei bilanci. Una strategia imposta dagli Stati forti economicamente e dalle banche, sempre più padrone del debito sovrano dei singoli Paesi, che hanno dichiarato guerra allo stato sociale che rimane ormai una grande narrazione del Novecento.
Capita, a volte, che i fondamentalismi e il terrorismo approfittino di questo disagio per uscire dai radar dei servizi di sicurezza della varie nazioni e rendersi così protagonisti di gravissimi fatti di sangue e di barbara violenza. Le origini dell’attuale scenario di terrore sono anche la conseguenza di errori delle potenze occidentali e della loro politica estera comune che, camuffata da interventi per la difesa della democrazia e della libertà, agiscono in difesa di quell’imperialismo tanto caro alle superpotenze egemoni nel periodo della guerra fredda. Lo smembramento dell’ex Unione Sovietica, la caduta del muro di Berlino, la fine delle ideologie hanno dato vita ad un nuovo ordine mondiale in cui il liberismo ha preso il posto dello statalismo e, di conseguenza, delle politiche socialdemocratiche. Il riposizionamento nel nuovo sistema geopolitico, che oggi si serve della globalizzazione per conquistare nuovi mercati in aree geografiche ricche di risorse naturali ancorché sottosviluppate, tocca interessi consolidati, tentativi di conquistare nuovi mercati di risorse primarie e, soprattutto, mira al rafforzamento delle storiche leadership internazionali. Pensare di battere il terrorismo con i raid aerei, le truppe di terra e con i metodi tradizionali è una delle utopie dell’era tecnologica. La “guerra”, innanzitutto, si combatte sullo scacchiere delle grandi reti telematiche e informatiche, con l’uso delle armi della propaganda che genera terrore e che spesso guadagna nuovi adepti alla causa.
Il mondo conta gli effetti collaterali dell’imperialismo americano e dei suoi principali alleati occidentali che hanno sostenuto politicamente,economicamente e militarmente, l’intervento in Afghanistan, Iraq e Libia e mantenuto poi una posizione ondivaga e “cerchiobottista”, rispetto ad altri scenari africani e medio orientali alle prese con dittature, con guerre di religione, con egoismi nazionalisti e sfruttamenti nelle ex colonie, o con realtà dove le “primavere” ( quella araba, in particolare) sono durate lo spazio di qualche settimana. Il mondo è alle prese con l’ambiguità, tesa a trarre il massimo profitto. E la Francia non è certo immune, anzi potrebbe essere considerata la principale responsabile della crisi libica, dove con la morte di Gheddafi, è saltato un tappo che limitava l’invasione dell’Europa di migliaia immigrati clandestini e di profughi.
L’Europa è fragile, soprattutto perché non è un’unione politica, ma fondata su basi economiche. E nonostante la deroga al patto di stabilità dei singoli Stati ( e i trattati UE prevedono il ricorso alla mutua assistenza tra Paesi membri), la richiesta di aiuto di Hollande non ha suscitato grande interesse a partecipare ai bombardamenti allo stato del califfato: la Francia dunque si trova praticamente sola. Con l’Inghilterra, che come al solito, si è defilata, la Germania che pare non sia interessata a prendere parte all’intervento militare contro il terrorismo islamico. A mezzo servizio gli USA che stanno fornendo solo informazioni logistiche, mentre la Russia, forse per rafforzare la permanenza al potere del dittatore Bashar al- Assad, affianca l’aviazione d’Oltralpe. Ognuno di questi Paesi ha degli interessi economici e strategici da difendere, consolidare o avviare e sperano di avere ragione di un nemico che trova, proprio nell’Occidente, il maggiore fornitore di armi leggere, sofisticate e, forse, anche chimiche. In questo scenario di guerra gli integralismi potrebbero riservarci un futuro apocalittico. Per questo non solo è giusto difendersi, ma è doveroso annientare questa forma di nazifascismo del XXI secolo.
L’Italia, al momento, attende e pensa, giustamente, a garantire la sicurezza al suo interno. Dopo l’Expo, il Giubileo è un’altra grande occasione per dare ossigeno alla nostra economia. Non sfruttarla sarebbe un comportamento da sciocchi, presuntuosi e irresponsabili.
Antonio Latella – Giornalista e sociologo ( Presidente del Dipartimento Calabria dell’Associazione Nazionale Sociologi)