L’era del caos: non siate resilienti, restate umani
di Emilia Urso Anfuso
Mala tempora currunt: nel 2020 è esplosa la pandemia da cui non siamo ancora usciti a causa delle continue varianti. Piaccia o meno, saremo costretti a convivere con questo tipo di problematica e attendere, giorno per giorno, le evoluzioni e le decisioni di chi governa le nazioni.
dott.ssa Emilia Urso Anfuso
Quando la tensione sembrava allentarsi…boom! Ecco arrivare il conflitto tra Russia e Ucraina. Addio bei discorsi sui decenni di pace assoluta sul territorio europeo. Non intendo in questo caso analizzare la bontà delle misure intraprese dai paesi membri dell’Alleanza Atlantica, tra sanzioni e forse qualche mancanza in termini di diplomazia, ma posso almeno valutare che la condizione economica e sociale, dalle nostre parti, non sta sicuramente mostrando il suo lato migliore.
Una sola cosa si può affermare senza patema di sbagliare: in tutto il mondo siamo messi male, anzi, malissimo. Le filiere produttive, a 360°, sono compromesse da questi due eventi di grandi proporzioni, pandemia e guerra, i rialzi dei costi delle materie prime si abbattono sulla quotidianità di milioni di nuclei familiari: è uno scenario da incubo e non si riesce a intravvedere la fine di tutto questo, non nel breve periodo.
Inflazione: mai così alta dal 1986
Tutto questo ha riportato un paese come l’Italia indietro di oltre 35 anni, esattamente al 1986, quando l’inflazione era davvero schizzata a livelli insostenibili. Si inizia ora a parlare di stagflazione, un termine che, quando è necessario applicarlo, mostra la terribile situazione che si sta vivendo: un aumento esagerato dei prezzi a cui non corrisponde una crescita dell’economia. Ci avviamo verso un processo di recessione di proporzioni importanti, manca una possibile analisi in prospettiva semplicemente perché è impossibile avviare un’analisi.
Alcuni potrebbero eccepire che nel corso della Storia si sono già vissuti periodi simili e che nazioni quali l’Italia ne sono uscite egregiamente. Sì, ma è troppo facile guardare al passato, metodo che oltretutto non consente di riflettere sul presente e sul futuro a breve termine. L’Italia è stata sicuramente una grande nazione, ma continuare a ritenere che questa immagine, portata avanti al pari di un vessillo, ci salverà dai morsi degli accadimenti è almeno infantile. E’ anche necessario riflettere sui cambiamenti sociali: dopo la Seconda Guerra Mondiale il popolo italiano è stato in grado di ricostruire una nazione, col sudore della fronte e con la capacità di lavorare insieme.
Oggi sembrano mancare gli elementi fondamentali affinché un simile miracolo possa essere replicato. Si osserva, semmai, tanto livore e poca voglia di rimettersi in gioco riconoscendosi come parte integrante della collettività. In tutto questo, personalmente penso che la pandemia e una errata narrazione della stessa da parte del governo e degli opinionisti televisivi, abbia contribuito a generare un maggior livello di individualismo, che è l’esatto opposto di ciò che serve per rigenerare un sistema paese.
Tanta tecnologia e poco progresso
E’ particolare osservare come, di pari passo a una grande accelerazione in ambito tecnologico, non stia corrispondendo un vero progresso. Almeno dalle nostre parti. Più si progredisce a livello tecnologico, digitale e scientifico, maggiore appare la distanza per raggiungere un livello di civilizzazione e modernizzazione di livello almeno accettabile.
Una sorta di imbarbarimento umano, evidentemente sviluppatosi a causa di una miscela composta di paura, insicurezza e opacità sulle sorti di ogni singolo individuo, sta distruggendo la possibilità di marciare oltre le criticità di questo periodo storico così pesante, contribuendo a rendere di difficile soluzione molti aspetti della nostra quotidianità, qualsiasi saranno le evoluzioni in termini di pandemia, conflitto, modifiche all’assetto politico e sociale.
Resilienza? No, grazie
In tutto questo, appare evidente un fatto: gli umani sono ormai rigorosamente gestiti da chi governa le nazioni. Non è certo una novità, ma si può affermare che si è compiuto l’ultimo metro di distanza che mancava per ottenere la gestione totale di ogni singola esistenza. Non è un male quando questa gestione è operata per il bene comune, ma chi può dire di fare solo del bene per la collettività? Ho molto da dire sul criterio di resilienza, che se è ammissibile in campo ingegneristico non può esserlo in campo psicologico.
Non voglio essere “resiliente” e quindi “far fronte in maniera positiva agli eventi traumatici” se questi eventi, in alcuni casi, scaturiscono da misure governative inique. Un esempio tra i troppi: se la politica sperpera denari pubblici, se non li destina alle imprese affinché possano continuare a produrre e quindi a garantire i posti di lavoro, non si può chiedere ai lavoratori licenziati di essere “resilienti“.
Diverso è il discorso degli esseri umani capaci, per carattere, ad affrontare i momenti negativi della vita con forza, volontà e coraggio. Fare confusione sul significato di questo termine è parte integrante di un sistema politico che sta tendendo sempre più all’utilizzo di metodi che sento di poter definire…bizzarri.
Non siate resilienti e nemmeno sterilmente ottimisti. Semmai, siate realisti.
Il consiglio che mi sento di dare a tutti è quello di restare lucidi, di non cedere di fronte al caos imperante e alle incognite che si presentano con una velocità accelerata rispetto a un tempo.
Osservare, giorno dopo giorno, i fatti che accadono e restare saldamente ancorati a terra può contribuire a generare quell’ombrello di protezione che va aperto ogni qualvolta si presenta un temporale improvviso. Quando le soluzioni non dipendono dalle nostre scelte e decisioni, l’unico metodo per non beccarsi un fulmine in testa è quello di continuare a osservare il cielo e mettersi al riparo se le nubi si gonfiano e sentiamo i tuoni in lontananza.