“L’elezione di Biden manda in crisi la politica basata sulla demonizzazione dell’avversario”

Intervista a Giorgio Benvenuto di Patrizio Paolinelli

Le polemiche sulla divisone in zone dell’Italia. Lo sciopero dei metalmeccanici.

<<=Prof. Patrizio Paolinelli

Le elezioni negli USA hanno dato l’immagine di un paese diviso e in crisi istituzionale. Tenuto conto che il trumpismo non finirà con l’uscita di Trump dalla Casa Bianca, questa divisione e questa crisi continueranno anche dopo l’esito delle urne?

Mi auguro di no, ma oggi è difficile fare delle previsioni. Però sul piano internazionale noto delle cose interessanti. La prima, ovviamente, è la sconfitta di Trump, cosa non scontata come si è visto. Trump è stato uno dei padri del populismo che ha rotto la solidarietà interna e internazionale facendo emergere l’America isolazionista. Il cammino di Biden pertanto sarà pieno di insidie e di trappole. Vedremo come si destreggerà. La seconda novità internazionale è la recente svolta di Bruxelles verso un’Europa un po’ più solidale e verso la presa di coscienza che sia la globalizzazione sia il mercato devono fare i conti con le persone in quanto esseri umani.  

Credo che questi due fattori concorreranno a mettere ulteriormente in crisi un modo di fare politica basato sulla contrapposizione frontale e la demonizzazione dell’avversario. Dopo la svolta europea le elezioni statunitensi indicano che l’ubriacatura per la globalizzazione e i suoi valori – in primis l’individualismo – segnano il passo e si può forse ritrovare la strada perduta. Ossia la strada della solidarietà e della coesione sociale, che peraltro la sinistra ha sempre percorso e che troviamo esplicitata nelle poco ascoltate esortazioni di Papa Francesco alla fratellanza. Ecco, mi pare che da diverse parti ci siano segnali interessanti di un ritorno alla politica intesa come ascolto e dialogo.  

Fronte pandemia. La suddivisione dell’Italia in tre zone di rischio ha acceso l’ennesima protesta di alcune Regioni. Al di là della contingenza quali saranno le conseguenze di questo conflitto dopo la fine dell’emergenza sanitaria?  

Le conseguenze le vediamo già oggi, perciò dobbiamo voltare pagina. La prima cosa da fare è semplificare. Se lei sfoglia il Decreto che divide l’Italia in tre fasce di rischio contagio vedrà che è composto da una ventina di pagine di testo e quasi 300 di allegati. Un vero e proprio labirinto. La seconda cosa da fare è gestire la nuova ondata del coronavirus sulla base di pochi e chiari criteri in modo che tutti sappiano come e perché una determinata regione si trova nella zona rossa, arancione o gialla. È lo Stato che deve mettere ordine al proprio interno. Prenda il caso della Puglia. Il Presidente della Regione, Michele Emiliano, ha deciso di chiudere le scuole e ci sono stati dei ricorsi al Tar. La sezione di Bari ha accolto la decisione di Emiliano mentre quella di Lecce l’ha respinta.

Questa situazione di protesta e confusione è dovuta anche all’eccessivo protagonismo del Presidente del Consiglio. Ma non è da soli che si può governare la pandemia. Ci deve essere un confronto nella Conferenza Stato-Regioni e con i corpi intermedi. Procedere invece per decreti emessi a raffica trovo che sia un metodo sbagliato. In Germania la Merkel ha un rapporto dialettico con i Lander, fatto anche di confronti accesi, ma non si trova coinvolta in una polemica permanente come accade in Italia. Ecco perché si verificano episodi quali quello del Tar della Puglia e si alimentano i sospetti dell’opposizione di favorire certe regioni penalizzandone altre. Sicuramente una delle cose che andavano fatte dall’inizio della pandemia era costituire un tavolo permanente tra ministero della Salute e rappresentanti delle Regioni. In questa maniera ci sarebbe stata una corresponsabilità nella gestione dell’emergenza sanitaria e si sarebbe evitato il conflitto permanente a cui assistiamo all’uscita di ogni Dpcm.  

Il 5 novembre scorso i metalmeccanici hanno scioperato per il rinnovo del contratto nazionale raggiungendo una partecipazione media del 70%. Qualche osservatore ha criticato l’iniziativa dei sindacati dato il momento in cui ci troviamo. Lei cosa ne pensa?

Intanto direi che gli osservatori a cui lei si riferisce sono davvero pochi per il semplice fatto che la stampa ha praticamente ignorato lo sciopero. Quello che vorrei osservare è che si stanno dando tutti questi ristori alle categorie produttive mentre nell’industria ci sono contratti fermi da anni e negli ultimi dieci il potere d’acquisto dei salari è sensibilmente diminuito a fronte invece di profitti stabili o in crescita. È chiaro che una dinamica simile porta all’impoverimento del mercato interno e alla caduta della domanda. Per questo e per altri motivi non credo siano più tempi in cui l’impresa può continuare a pensare di battere la concorrenza risparmiando sul lavoro.

Consideri poi altri tre elementi che riguardano lo sciopero del 5 novembre. Il primo: gli aumenti salariali richiesti dai sindacati sono da intendere come un risarcimento per la mancata contrattazione aziendale. Il secondo: i profitti realizzati non sono stati reinvestiti in Italia ma in altri paesi e su questa politica industriale occorrerà aprire una discussione. Il terzo elemento: ai finanziamenti pubblici per il sostegno dell’innovazione tecnologica nelle fabbriche deve conseguire una maggiore partecipazione dei rappresentanti dei lavoratori alle scelte aziendali. Non si tratta affatto di richieste massimaliste. Sono nella logica di un’economia in trasformazione. Come è nella logica delle cose che rinnovare i contratti, non solo nell’industria, sia un modo intelligente per rianimare il mercato.

Patrizio Paolinelli, fondazionebrunobuozzi.it, 9 novembre 2020.

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