LE NARRAZIONI MITICHE QUALE MODELLO SOCIO – CULTURALE

 Le fiabe popolari, soprattutto quelle che raccontano di un mondo fantastico e magico, traggono ispirazione e origine dal ricordo di una antica cerimonia, chiamata    rito di iniziazione,    che veniva celebrata presso le comunità primitive. Col rito si festeggiava in modo solenne il passaggio dei ragazzi dall’infanziaall’età adulta. In questa occasione,gli adolescenti venivano sottoposti a numerose prove per dimostrare di saper affrontare da soli le avversità dell’ambiente e di essere pertanto maturi per iniziare a far parte della comunità degli adulti. Dopo le prove, i ragazzi e le ragazze, come in una rappresentazione teatrale guidata spesso da uno stregone, dovevano “morire” per celebrare la morte dell’infanzia. Col passare del tempo, il rito d’iniziazione non si celebrò più e ne rimase solamente il ricordo, ma gli anziani continuavano a ripeterlo nei loro racconti. Il racconto degli anziani venne tramandato per secoli e secoli, con trasformazioni continue, anche quando il ricordo del rito si era perso del tutto e nacque così la fiaba.

L’idea del “rito di iniziazione” è rimasto come elemento simbolico e come celebrazione per officiare l’ingresso in associazioni e/o ordini, proprio per questo definiti “iniziatici”.Si tratta, dunque, di elementi simbolici che, non rivelati a chiunque, distinguono gli appartenenti ad un gruppo rispetto agli altri. Un simbolismo che ha alimentato il mito e ne mantiene intatto, fino ai nostri giorni, il fascino e l’attrazione. Il rito di iniziazione – Dunque, i riti di iniziazione sono cerimonie che sottolineano il passaggio di una persona da un ruolo, fase della vita o posizione sociale, a un altro. Questo termine fu utilizzato per la prima volta dall’antropologo belga Arnold van Gennep, che individuò tre stadi cruciali in ogni rito di iniziazione: la separazione, o abbandono dello stato precedente;        l’emarginazione, o “liminalità”, periodo di transizione contrassegnato da discriminazione rituale;        la“aggregazione”, o riammissione nella società in una nuova condizione. L’iniziazione è un rito di passaggio che si svolge entro i limiti spaziali e temporali del rito, si amplia nella coscienza del sé e nella corrente spirituale di coloro che partecipano alla ritualità e prosegue nella continuità iniziatica,        cioè il legame ininterrotto tra la comunità iniziatica e la Tradizione a cui essa fa riferimento. Il rito iniziatico possiede tre caratteri: a) sono precisati i passi specifici che devono essere compiuti;        b) sono indicati gli effetti, ma… c) …non vengono precisati né il termine né il punto di arrivo.        Il rito iniziatico si compie nel duplice piano del fisico e del simbolico. Nel piano fisico il soggetto è posto in una dimensione spazio–temporale, in cui sono collocati la sua mente e il suo corpo, così come lo sono quelli dei partecipanti alla ritualità. In questa dimensione fisica avvengono alterazioni della sua percezione e della sua cognizione. Per questo, anche lo spazio fisico viene vissuto diversamente: fenomenicamente percepito al di là del rito e ritualmente percepito nella durata rituale.

Questo spazio fisico diventa spazio sacro: il Tempio.Il Tempio, così preparato per il rito di iniziazione, accoglie la        predisposizione psicologica        dei partecipanti o, se si vuole, accomuna le energie psichiche dei partecipanti che devono predisporsi a riversarle sul neofita (la potenzialità iniziatica). Una condizione questa che potrebbe essere giudicata ineffabile o di altra simile natura ma, in realtà, è analoga a qualsiasi altra in cui si verifica una comunicazione non solo verbale;        si pensi, per esempio, ai gruppi di lavoro, ai gruppi dinamici od ancora alla preghiera collettiva. Nel        trasferimento        di ‘energie psichiche’ e di contenuti simbolici dagli iniziati al neofita si concretizza quella        continuità iniziatica        in cui viene collocato il neofita. Una corrente o continuità che, come dice Guénon è tradizionale in quanto parte di una Tradizione e, al contempo, è costituita attualmente nello spazio di iniziazione dalla specifica corrente o catena di unione (anche se non ritualmente osservata) di coloro che praticano il rito. Questo        trasferimento iniziatico        è fondamentale alla iniziazione e si svolge per l’intera durata del rito: con esso vengono trasferiti con linguaggi diversi i contenuti della Tradizione legati direttamente alla iniziazione.         Sia l’iniziato, nella sua condizione psichica e percettiva, sia i partecipanti vivono, o meglio, percepiscono questo spazio come lo spazio della        potenzialità iniziatica, in cui si collocano e compartecipano a formare. Tale        potenzialità iniziatica è la predisposizione degli iniziati al rilascio della loro psichicità o, se si vuole, del loro far parte della continuità iniziatica. Il rito dell’iniziazione, quindi, non può e non è mai una ripetizione di formule, ma è tale solo se vi è la predisposizione dei partecipanti al trasferimento e al rilascio di questa predisposizione che si enuclea proprio in un trasferimento di natura verbale, con il logos, simbolica ed empatica verso l’iniziando rendendolo parte della continuità iniziatica.L’iniziazione, inoltre, si compie in un mondo simbolico e transoggettivo (rispetto all’iniziando e agli iniziati che partecipano al rito) in cui il sé dell’iniziando si distacca da una realtà a lui nota e vissuta, si dispone a una trasmutazione interiore ed entra spiritualmente e psichicamente in una nuova dimensione a cui si avvicina per la prima volta e di cui non ha conoscenza. L’iniziazione è così solo una possibilità        che viene aperta al neofita, una porta che gli viene aperta per permettergli di entrare in una dimensione per lui ancora sconosciuta;        una realtà che il suo sé si dispone a percorrere. La logica del mito – Nelle usuali concezioni mito e rito formano, insieme, uniti come termini complementari, l’elemento costitutivo di una religione: il mito sarebbe ciò in cui si crede, mentre il rito sarebbe ciò che occorre fare. Il primo giustificherebbe il secondo e questo, a sua volta, presupporrebbe una teoria, o “credenza”, in grado di conferire valore alle esecuzioni. Perfino l’aspetto morale potrebbe essere ridotto a questi due elementi, come è sovente accaduto nell’interpretazione delle “religioni primitive”. In questo senso il termine mito è usato per indicare tutti quei racconti e tradizioni, rinvenibili presso i più diversi popoli della terra, che sembrerebbero condividere un carattere di religiosità e sacralità mentre il termine rito verrebbe a indicare tutti quei comportamenti stereotipati rinvenibili soprattutto nell’ambito religioso. Queste due categorie indicherebbero, pertanto, aspetti effettivi del reale universalmente diffusi, fatti culturali – i miti e i riti, appunto – rinvenibili pressoché ovunque. Quello che è sottinteso da questa concezione è che miti e riti sarebbero caratteri costanti della cultura dei vari popoli, almeno di quelli non civilizzati.

Su questa via è poi facile costruire un’opposizione fra le culture ove gli elementi mitici e rituali sarebbero sovrabbondanti e nelle quali prevarrebbe pertanto una mentalità mitica, e la nostra cultura moderna, caratterizzata dalla scienza e dalla tecnologia industriale, nella quale prevarrebbe una mentalità razionale.

In altre parole esisterebbero narrazioni oggettivamente mitiche e comportamenti oggettivamente rituali. In realtà, mito e rito sono categorie culturali che provengono da culture diverse: il mito da quella greca e il rito da quella romana.   Il termine mito deriva dalla cultura greca (mythos) all’interno della quale, con il trascorrere del tempo assume vari significati, da discorso pubblico, racconto (già in Omero), diceria, narrazione delle storie degli dei e degli eroi, sino a divenire sinonimo di favola. A partire almeno dal VI secolo, l’opposto del mito (mythos) è il discorso logico (logos): il primo è inteso come poesia, allegoria o addirittura come discorso fantastico;  il secondo è inteso come discorso vero, prosaico, razionale. Il dire logico, il discutere per giungere a una conclusione, è opposto al dire mitico, un vano raccontare, che ha al massimo un valore estetico. Il discutere logico, invece, è quel discutere che fonda l’azione storica, che è alla base di decisioni effettive, pratiche: si pensi ai cittadini che, nell’agorà di una polis, discutono su una linea politica. Il mito, invece, fonda l’attualità, quegli aspetti del reale dovuti ad azioni avvenute nel tempo mitico e sui quali non è più possibile intervenire, ma non certo l’azione storica.

Il termine rito (ritus) deriva invece dalla cultura romana nella quale indica tutti quei corretti modi di agire mediante i quali è possibile muoversi nel reale per trasformarlo e donargli senso culturale. A Roma l’opposto del rito è irritus, parola che indica l’agire vano, fatto male, senza effetto: ciò che è inerte, incapace. I termini la cui etimologia è invece riconducibile a quella di ritus indicano ciò che è corretto, ben fatto: l’agire culturale.

Così, se in Grecia l’opposizione è tra due diversi modi di dire, mitico e logico, a Roma è tra due diversi modi di fare: un fare rituale, che conferisce ordine e valore e che si oppone all’incapacità di fare, a un fare vano, inutile, senza effetti. A differenza della funzione rituale, che può essere svolta da gesti, parole e perfino incarnarsi in una persona, il monarca, la funzione mitica viene svolta esclusivamente dal linguaggio. Le azioni mitiche sono sempre dette, espresse mediante il linguaggio e i codici linguistici. Naturalmente il linguaggio costituito a fondare l’immutabile utilizzerà codici particolari distinti dai normali codici di significati propri del parlare comune. Poiché le azioni mitiche, per definizione irripetibili e capaci di esiti assoluti, immutabili, non hanno le stesse qualità delle azioni quotidiane, per dirle, per narrare gli eventi mitici occorrerà utilizzare le parole e il discorso in senso diverso da quando sono usati per raccontare le normali azioni di tutti i giorni. Il carattere fondante del mito impone il ricorso a codici tutti suoi che hanno certo un rapporto con quelli usuali della quotidianità, altrimenti si frantumerebbe l’unità della cultura, ma che certo debbono essere significativi a livelli altri rispetto a ciò che è usuale. L’originalità del racconto mitico rispetto a tutti gli altri fattori linguistici risiede nel fatto che esso utilizza i significati ordinari della lingua in modo del tutto strumentale per costituire significati specifici, quelli mitici, che rispondono ad un codice logico diverso rispetto a quello della lingua ordinaria.

Il senso del racconto mitico non coincide con il senso narrativo o con il senso linguistico;  neanche il senso consiste negli elementi isolati del racconto, bensì nella maniera nella quale tali elementi sono combinati. Il mito veicola valori semantici nuovi, basati su una logica particolare, servendosi dei valori semantici ordinari della lingua.   Al di là dell’apparente irrazionalità del racconto si rivela una forma logica indipendente da quella della lingua.

Le narrazioni mitiche   – Tutto ciò a conferma di quanto Claude Levi-Strauss, filosofo francese che più di altri ha contribuito a favorire   l’applicazione del metodo di indagine strutturalista  agli studi  antropologici, dimostra, nell’ambito del metodo strutturalistico. Secondo Levi-Strauss, infatti,  ogni mito può essere rappresentato mediante una matrice, dove ogni elemento figura su una colonna orizzontale e su una colonna verticale (in analogia con uno spartito musicale).

Le narrazioni mitiche, dunque, secondo questo principio, diventano esercizio ed espressione del pensiero mitico, e questo conduce alla comprensione dei valori e dei rapporti latenti, immanenti a tutto il racconto. E questo perché, sempre ricordando le teorie di Lévi-Strauss, il pensiero mitico procede dalla presa di coscienza di talune opposizioni e tende alla loro mediazione progressiva;  o meglio, l’oggetto del mito è fornire un modello logico per risolvere dubbi e contraddizioni. Le strutture mitiche, una volta individuate, non hanno tuttavia una sola valenza identificante, ma possono rivelarsi a più livelli di interpretazione. A ciò va aggiunta la particolarità dei contesti specifici, spazio-temporalmente determinati, com’è il caso di questo racconto.

D’altronde, tutti coloro che hanno fino ad oggi studiato il mito, hanno, sia pure in modi diversi, sottolineato la sua importanza per la costruzione ideale e concreta delle istituzioni sociali e culturali. E, tuttavia, proprio questo aspetto è rimasto ai margini della ricerca, perché non è stato mai posto chiaramente l’interrogativo su chi abbia inventato o narrato il mito.

È invece in questa direzione che oggi il mito viene ripensato, nella sua capacità di fondare fortissime istituzioni, con la restrizione del potere solo a colui che è «iniziato», e cioè che conosce il mito. Il legame fra il mito e il potere appare chiaramente proprio nel rito di iniziazione, dove è fatto esplicito divieto all’iniziando di rivelare ciò di cui verrà a conoscenza attraverso il mito.


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