L’azienda del futuro

di Patrizio Paolinelli

Partiamo da una domanda: il capitalismo predatorio che ha divorato individui, società e ambiente da 30-40 anni a questa parte sarà sostituito nel futuro post-pandemico da un capitalismo dal volto umano? Il dibattito è aperto da tempo all’interno delle stesse élite economiche. Prova ne sia il libro di qualche anno fa di Frederic Laloux, “Reinventare le organizzazioni. Come creare organizzazioni ispirate al prossimo stadio della consapevolezza umana”, (Guerini Next, Milano, 2016, 534 pagg., 34,00 euro).

Sono passati sette anni dall’apparizione in Francia di questo corposo volume e come sappiamo l’élite economica se n’è bellamente infischiata. Ma oggi, seppure per una disgraziatissima circostanza come la pandemia, il libro di Laloux torna di grande attualità perché la crisi innescata dal Covid ha messo in luce, più di quanto già non fosse, i limiti dell’attuale paradigma organizzativo delle imprese.

Siamo tutti d’accordo: con la crisi innescata dalla pandemia la tanto paventata transizione verso un nuovo modello di sviluppo socio-economico ha subito una brusca accelerazione. Il problema è capire quale strada sarà effettivamente presa. Perché una cosa sono le previsioni su quel che accadrà domani, un’altra sono i fatti. Torna in mente la partizione del vecchio e intramontabile Machiavelli tra la realtà immaginata e quella effettuale, ossia la realtà concreta al di là delle parole, delle visioni e dei progetti di ognuno di noi.

Al momento la realtà effettuale ci dice che niente è cambiato sul piano degli assetti di potere: comandano le élite economiche globali di orientamento neoliberista, punto e basta. Il resto è quasi esclusivamente letteratura più o meno apprezzabile. Eppure ogni cosa è in movimento. In termini filosofici verrebbe da dire che in questo momento il divenire è più che mai in relazione dialettica con l’essere: l’eterno confronto tra Eraclito e Platone, tanto per capirci. Conviene allora cercare di comprendere cosa si muove all’interno del potere economico dato che è questo potere a governare ogni cosa.

Frederic Laloux è un consulente di grandi aziende. È dunque organico al modello di impresa liberista. Tuttavia negli anni si è reso conto che questo modello è anacronistico. Non solo per la crisi permanente in cui ha cacciato l’economia, per gli allucinanti costi umani e ambientali, ma per il funzionamento delle stesse aziende. Occorre allora reinventare le organizzazioni economiche, passando dall’attuale modello piramidale a un modello orizzontale in cui i lavoratori siano trattati come esseri umani e non come oggetti di nessun conto. Non si tratta di buonismo, ma di un’indicazione ispirata dalla volontà di migliorare le performance aziendali. Lavorare in un’impresa dove si è valorizzati e responsabilizzati, dove la gerarchia non è fondata sull’autoritarismo, dove le informazioni sono condivise, dove conta l’opinione di tutti, dove ci si confronta senza timori reverenziali tra management e lavoratori e dove la parola d’ordine è cooperare anziché competere; bene, tutto ciò rende l’ambiente lavorativo un luogo pieno di senso perché, per dirla con una battuta, non di solo pane vive l’uomo. E non si vive di solo pane perché gli esseri umani sono individui emotivi, spirituali e desideranti alla perenne ricerca di significati e di autorealizzazione.

Reinventare le organizzazioni” parte da una premessa: le organizzazioni sono il risultato di determinate visioni del mondo e di determinati stadi della coscienza. Ognuna di esse segue un paradigma per spiegare il quale Laloux ricorre al codice dei colori: le organizzazioni rosse sono guidate da un’autorità basata sul comando (per esempio, la criminalità organizzata); le organizzazioni ambrate sono guidate da gerarchie stabili e scalabili (per esempio, l’esercito); le organizzazioni arancioni da innovazione, responsabilità e meritocrazia (per esempio, le multinazionali); le organizzazioni verdi sono guidate da valori culturali (per esempio, la famiglia). Per quanto riguarda le attività economiche Laloux propone di cambiare paradigma e di passare al modello Teal, color foglia di tè. Tale modello prende il meglio delle culture aziendali del passato, le supera e si fonda su tre prerequisiti principali: fiducia nel prossimo, realizzazione integrale della persona, capacità di autorganizzazione degli individui e dei gruppi.

Sogno? Utopia? No. Si tratta di un processo in atto. E gli esempi non mancano. La gran parte del libro di Laloux consiste infatti in una minuziosa rassegna di pionieristiche attività economiche che da tempo adottano il paradigma Teal nei più diversi comparti: assistenza sanitaria, manifattura, scuola, industria energetica e alimentare. Attività le cui dimensioni vanno da 100 a oltre 40mila dipendenti. Si tratta organizzazioni passate dal modello del controllo totale e della rigida divisione tra chi comanda e chi ubbidisce a organizzazioni basate sull’investimento negli individui. Aziende che danno fiducia ai lavoratori, che puntano sulle loro abilità, che li premiano per il loro impegno e che creano un ambiente di lavoro in cui ci si sente per prima cosa persone. Risultati economici? Eccellenti. Assenteismo? Parola sconosciuta. Innovazione? Continua. Processi decisionali? Rapidi e efficaci. Clienti? Pienamente soddisfatti e fidelizzati.

Pur nella loro diversità queste attività hanno in comune l’idea di partecipazione. Collaborare è meglio che confliggere, ascoltarsi gli un gli altri è meglio di imperare, decidere insieme all’interno di un sistema di rapporti paritari è meglio di comandare calando dall’alto decisioni preconfezionate e indiscutibili. A ben vedere il salto qualitativo del paradigma Teal è quello di uscire definitivamente dalla visione del lavoratore inteso come un automa meramente esecutivo delle disposizioni stabilite in camera caritatis dal vertice aziendale. Fine della robotizzazione dell’umano. Praterie aperte alla valorizzazione e all’autovalorizzazione del soggetto. Il cuore al posto del potere. In termini filosofici verrebbe da dire che l’alienazione del lavoro ha chiuso il suo cerchio. Sarebbe ora. Si approda così a un nuovo stadio della coscienza dei lavoratori e delle imprese.

La sintesi migliore della portata critica del modello Teal la offre forse Yvon Chouinard, fondatore del marchio d’abbigliamento Patagonia e che vale davvero la pena di riportare per esteso: “Sono un imprenditore da quasi cinquant’anni. È difficile per me dire queste parole, come lo è per qualcuno ammettere di essere un alcolizzato o un avvocato. Non ho mai rispettato questa professione. L’impresa è l’indiziata numero uno, perché è nemica della natura, perché distrugge culture native, perché prende ai poveri per dare ai ricchi e perché avvelena la terra con i rifiuti delle sue fabbriche. Eppure le aziende possono produrre cibo, curare le malattie, controllare la popolazione, dar lavoro alle persone e in genere arricchire la nostra vita. E possono fare queste cose buone e realizzare un profitto senza perdere la propria anima.”

Che cosa occorre fare affinché le imprese non perdano la propria anima? Chiudere col passato e cambiare strada. Attraverso il racconto delle esperienze aziendali dell’avanguardia Teal, Laloux è molto chiaro. L’azienda del futuro deve fondarsi sulla leadership diffusa e abbattere la barriera tra vita e lavoro. Nelle aziende Teal ognuno risponde del proprio operato a tutti gli altri membri del gruppo di lavoro e ogni gruppo di lavoro non è ispezionato da un’unità superiore, ma dalle altre strutture operative presenti nell’organizzazione. Solo così si possono liberare energie creative autentiche, svincolate dalla logica dello sfruttamento e della paura, dalla guerra di tutti contro tutti, dall’alienazione del lavoro e dall’ideologia del profitto a ogni costo. Le aziende Teal passano in tal modo dal modello organizzativo imposto, che attualmente caratterizza la gran parte delle attività economiche, a un modello pulsante, vivente, strutturato intorno all’intelligenza collettiva e ai bisogni reali degli individui, primo fra tutti quello di vivere una vita degna d’essere vissuta. In termini etici ciò significa passare dall’egoismo all’altruismo. In termini politici da una democrazia formale a una democrazia sostanziale. In termini economici dal benessere esclusivo degli azionisti al benessere collettivo. Resta una domanda: l’élite economica che ancora oggi governa il mondo sarà in grado di accettare questa evoluzione o si ostinerà a precipitare il futuro in un nuovo feudalesimo?

Siamo tutti d’accordo: con la crisi innescata dalla pandemia la tanto paventata transizione verso un nuovo modello di sviluppo socio-economico ha subito una brusca accelerazione. Il problema è capire quale strada sarà effettivamente presa. Perché una cosa sono le previsioni su quel che accadrà domani, un’altra sono i fatti. Torna in mente la partizione del vecchio e intramontabile Machiavelli tra la realtà immaginata e quella effettuale, ossia la realtà concreta al di là delle parole, delle visioni e dei progetti di ognuno di noi. Al momento la realtà effettuale ci dice che niente è cambiato sul piano degli assetti di potere: comandano le élite economiche globali di orientamento neoliberista, punto e basta. Il resto è quasi esclusivamente letteratura più o meno apprezzabile. Eppure ogni cosa è in movimento. In termini filosofici verrebbe da dire che in questo momento il divenire è più che mai in relazione dialettica con l’essere: l’eterno confronto tra Eraclito e Platone, tanto per capirci. Conviene allora cercare di comprendere cosa si muove all’interno del potere economico dato che è questo potere a governare ogni cosa.


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