L’ATTENTATO DI ROMA E IL LINGUAGGIO DELLA POLITICA

LatellAntonioIl linguaggio irresponsabile della politica italiana, fatto di violenza verbale e di demonizzazione dell’avversario,     indirettamente,     potrebbe aver “armato” la mano del responsabile     del     ferimento dei due carabinieri in servizio davanti a palazzo Chigi, sede del Governo.     Le parole dei vari leader, usate come proiettili in cerca di legittimazione     personale e della propria parte politica, dopo un periodo di fisiologica incubazione hanno liberato i germi     di un     contagio sociale che, forse,     era facile prevedere.

La prima “vittima” è un calabrese disoccupato e, stando alle cronache di queste ore, con problemi familiari che lo avrebbero isolato anche rispetto alla vita di relazione. Un episodio sconsiderato e da condannare.         Non è certo nostra intenzione parlare dello sparatore, del quale, adesso, dovranno interessarsi le giurisdizioni competenti.     Né la rabbia sociale né l’indignazione giustificano il gesto di sangue di cui è stato protagonista questo cittadino di Rosarno, crocevia         multiculturale     per la presenza di immigrati stagionali impegnati nella campagna agrumicola.

L’uso del termine rivoluzione, la minaccia di golpe, di marce e marcette sulla Capitale, di occupazione del Parlamento hanno contribuito a destabilizzare l’opinione pubblica     che, fino alla scorsa campagna elettorale, appariva quasi rassegnata al punto da accettare gli enormi sacrifici imposti dalla politica governativa. A urne chiuse si pensava che la protesta potesse limitarsi al cambiamento deciso dagli elettori che, con i loro consensi, avevano punito un sistema politico inadeguato, parolaio e corrotto.     Invece, la contrapposizione tra la classe dirigente nazionale ha registrato la nascita     di un nuovo e più agguerrito fronte, difficile da gestire o da far ragionare.     Consultando alcuni siti per un aggiornamento sull’episodio romano abbiamo avuto modo di leggere le numerose reazioni del mondo politico che, a parte la scontata condanna al gesto, non dice nulla di nuovo. Anzi,     in alcuni casi,     usa un     linguaggio     di contrapposizione e di accusa nei confronti di palesi o occulti rivali di schieramento.     La politica cattiva pedagoga: che spesso dice una cosa, poi ne fa un’altra pur di non perdere certi privilegi diventati anacronistici rispetto all’attuale momento di difficoltà sociale, occupazionale ed economica della nostra Nazione.         Gli italiani si sentono ingannati e traditi dai rappresentanti politici che, in molti casi, hanno fatto ricorso alla menzogna pur di far passare i loro messaggi finalizzati     ad     addolcire la pillola agli italiani anche di fronte a provvedimenti tesi a conferire linfa al capitalismo finanziario,     fonte di nuove povertà, soprattutto nel Mezzogiorno sempre più ostaggio di classi dirigenti     incapaci di gestire fondi statali e europei e di     mettere finalmente da parte quella politica clientelare che genera consenso anche a beneficio di quanti     non sembrano avere i requisiti per gestire la cosa pubblica.

In un recente saggio Carlo Trigilia, neo ministro della Coesione territoriale, spiega perché la crescita dell’Italia si decide nel Mezzogiorno. Il docente di sociologia economica argomenta che “Il mancato sviluppo del Sud non dipende dalla carenza di aiuti bensì dall’incapacità della classe politica locale di creare beni e servizi collettivi, incapacità da sempre tollerata dal centro per ragioni di consenso”.

Non meno attuali sono le argomentazioni di Luciano Violante     su “Politica e Menzogna”. Nell’omonima pubblicazione, quanto mai attuale rispetto al comportamento della classe politica, l’ex Presidente della Camera     evidenzia che “esiste un nesso inscindibile tra verità e democrazia”.     Perché “la menzogna inganna il cittadino sullo stato delle cose e quindi gli impedisce di esercitare     effettivamente i suoi diritti politici.     La verità sta alla democrazia come la menzogna alla sua assenza”.

E di messaggi mendaci     la politica italiana ne ha tanti da farsi perdonare.     Linguaggio irresponsabile e menzogne, infatti, hanno prodotto un grande malessere nel Paese. Lo dimostra     la fase post elettorale,     in cui la classe al potere ha dimostrato di non voler cedere gli     antichi privilegi di casta e alimentato     il dissenso     e l’odio nei confronti delle     istituzioni democratiche. Ed il contagio prima di ogni altro segmento colpisce i soggetti più fragili di una società postmoderna sempre più povera di valori. I fatti di Roma, lo ripetiamo, sono gravissimi.     Ma l’establishment politico nazionale e locale     non può far finta di indignarsi ( termine usato in modo diametralmente opposto da come lo intendeva Stéphan Hessel),     quando invece     deve ritenersi il     principale responsabile     di un contagio sociale che, speriamo,     si fermi al gesto grave e inconsulto del calabrese di Rosarno.


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