L’amore pestato: violenza di genere che fa paura
Uomini che ammazzano le donne. Il femminicidio fa paura. Lo stesso termine fa paura, perché parla di omicidi legati all’identità di genere. In Italia, ogni 48 ore, una donna viene uccisa da un marito, un padre, da un convivente o dall’ex. Il male si annida proprio in famiglia dove le vittime vengono prima sterminate nella dignità e nell’autostima, poi massacrate per non aver abbassato la testa, per non essere state ai patti o per aver disubbidito. Sono donne che vengono annientate per gelosia, orgoglio e rabbia dai loro principi azzurri alienati da un anomalo senso di controllo e possesso.
I dati sono allarmanti: un terzo delle donne di tutto il mondo cadono vittime della violenza domestica. E questa è la prima causa di morte tra mogli, compagne e, sempre più spesso, mamme, di età compresa tra i 16 e 44 anni, prese di mira da persone conosciute, da uomini dei quali si sono innamorate. In Italia, sono quasi sette milioni ad aver subito qualche forma di abuso o violenza nel corso della loro vita. Ma è certamente una stima calcolata per difetto. Questo perché dietro le finestre delle nostre case si nasconde tanta sofferenza. Drammi silenziosi di donne colpevoli di ricercare un pensiero autonomo o rivendicare il proprio diritto alla felicità.
A confermare il fenomeno sono anche le analisi Istat che, in collaborazione con il Ministero della Giustizia, hanno messo a nudo la piaga di un vergognoso massacro che non si arresta nonostante il decreto Legge contro il femminicidio, già ha approvato nel 2013 in Senato, il quale prevede anche l’inasprimento delle pene quando la violenza viene commessa contro una persona con la quale si ha una relazione, non soltanto matrimoniale. In più, ci sono anche le aggravanti quando i maltrattamenti accadono in presenza di minori e contro donne in gravidanza. Una vera e propria conquista se pensiamo che da noi fino al 1968 l’adulterio era considerato un reato amministrativo per gli uomini e penale per le donne, mentre solo dal 1981 è stato abrogato l’articolo 587 del Codice penale sul famigerato delitto d’onore. Oggi, per fortuna, è in vigore anche una normativa internazionale che rientra nel quadro delineato dalla Convenzione di Istanbul, primo strumento giuridicamente vincolante sulla prevenzione e la lotta alla violenza contro le donne e la violenza domestica quale forma di violazione dei diritti umani e di discriminazione. In pratica quelli che classifichiamo come femminicidi. E in Italia, questi, hanno numeri da spavento: primo, perché gli autori hanno età compresa tra i 31 e i 45 anni e secondo, perché le vittime, uccise per mano dei propri compagni, sono ancora più giovani visto che si tratta di ragazze tra i 18 e i 30 anni. La ricerca conferma anche che il rapporto, che lega vittima e carnefice, è spesso di natura sentimentale con un 63,8% dove si tratta di coniugi o conviventi, il 12% di fidanzati e il 24% fa riferimento ad una relazione matrimoniale o fidanzamento terminata prima del delitto.
Analizzando, poi, il modus operandi dell’escalation omicida, ne emerge un quadro sconcertante e brutale. Sempre secondo le analisi Istat, infatti, il mostro predilige colluttazioni corpo a corpo dove l’arma più utilizzata è il coltello, con il quale, nel 40% dei casi, le vittime vengono colpite ripetutamente, quindi quasi mai con singoli fendenti mortali. Poi, c’è un 15,5% delle volte, dove le donne vengono uccise con oggetti di uso comune: martelli, accette o cacciaviti impiegati brutalmente fino alla fine. Tutti strumenti di morte presenti in ogni casa.
C’è da dire, però, che si tratta di morti annunciate. Delitti che maturano con il tempo, alimentati da rabbia e frustrazioni. Questo significa che c’è possibilità di intervenire prima. Il problema, però, è che la maggior parte delle donne cerca di mascherare, fino alla fine, il proprio inferno fatto di soprusi e violenze domestiche. Qualcuna, a volte, prova a confidarsi con un proprio familiare ma, quasi sempre, si sente ripetere “resisti” o suggerire “fai passare del tempo, vedrai che tutto si sistemerà”, oppure ancora “ricorda i vostri bei momenti di coppia”, minimizzando di fatto offese e pugni. Ma, inevitabilmente, la situazione degenera. E’ maledettamente naturale che sia così. Se la vittima non mette veti, il mostro continua ad alzare le mani. Tanto che anche il vicinato inizia ad insospettirsi. Però non ci ficca il naso e tiene la bocca chiusa. In questo contesto, invece, una parola di sostegno o uno sguardo di solidarietà potrebbero anche salvare una vita.Poi ci sono gli amici, i colleghi di lavoro, i conoscenti, tutti coloro che per affetto o per professione interagiscono con la vittima. Difficile non accorgersi di nulla. Ai primi sospetti, di queste situazioni di violenza, bisognerebbe tendere la mano dimostrando sostegno. Invece, sempre più spesso, ci si nasconde dietro il muro della discrezione e della paura.
La stessa paura che blocca anche le vittime. Paura di denunciare il proprio dramma alle autorità per possibili ripercussioni. Paura di urlare per cadere in vergogna. Paura di scappare via per timore di non sapere dove andare. Paura di piangere per non ammettere il fallimento del proprio matrimonio. Ma se le donne sono vittime predestinate, gli uomini non vanno abbandonati ad una cultura che li vuole dominatori, violenti, ossessionati dal possesso. Anche loro dovrebbero essere aiutati a trovare altre strade per gestire rabbia e frustrazione. Questo perché l’uomo contemporaneo è generalmente stressato. Alcuni sono divorati dalla rabbia. Non sanno più come relazionarsi con la donna, sempre più esigente, sempre più indipendente e in cerca di una propria posizione. Ed è questa mancanza di controllo sulla coppia che fa sentire l’uomo inadeguato e privo di potere portandolo ad odiare la compagna responsabile, a suo credere, dei sentimenti di frustrazione e manchevolezza che lo divorano. Per questo la donna deve pagare per le proprie colpe.
Ecco che scattano le prime dinamiche aggressive, le affermazioni di supremazia. Ed è proprio qui che le donne fanno il primo passo falso: non denunciano, non si allontanano, non criticano, giustificano. Soffocano queste prime aggressività con i propri sensi in colpa. Restano paralizzate tra le proprie trappole mentali ed emotive. Pensano e ripensano perseverando nel reprimere il vissuto. Giocano di fantasia mascherando la cruda realtà. Perdono i punti di vista spostando al limite i paletti della sopportazione. Poi, con il tempo, tutto ciò che viene represso è destinato ad implodere portando disturbi psicosomatici e fantasmi alimentati da ansia e depressione. La vittima si chiude a riccio, si autopunisce e l’uomo ne ricava soddisfazione arrivando a considerare costruttivo il proprio impulso aggressivo. La donna isolata dal mondo, che cancella la sua identità, che si allontanata dai propri cari diventa così prigioniera di quel malato mondo maschile.
Il ciclo è senza fine. Le violenze aumentano. Lui è soddisfatto perché ha tutto sotto controllo. D’altro canto la nostra millenaria educazione sociale ci ha insegnato che i maschi devono avere ruoli predominanti preparando le femmine alla passività e alla compiacenza. Ci hanno insegnato che la donna deve avere un uomo per sentirsi completa, per realizzare le proprie aspirazioni e creare una famiglia. Quindi, in un certo senso, la violenza è bella che giustificata. Fino ad arrivare all’ultimo colpo. Poi è solo buio e silenzio.Oggi, però, esistono Leggi per fermare i mostri, ci sono strumenti giuridici che proteggono le donne permettono loro di voltare pagina, esistono associazioni che aiutano le vittime di violenza, ma anche gli uomini violenti. Il problema, però, è che rischiano di restare solo nomi presenti sulla carta se non si denuncia, se non reagisce. I segnali di avvertimento ci sono, questa brutale violenza non scoppia quasi mai dal nulla, cresce progressivamente. Lascia il tempo di agire e reagire. Non si deve cadere nell’illusione che esista un amore che contempli schiaffi e pugni. Perché l’amore senza rispetto non è mai vero amore.
Massimiliano Gianotti
Dott. in Sociologia – Dott. in Psicologia – Docente universitario – Giornalista
Presidente Dipartimento Lombardia Associazione Nazionale Sociologi
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