LA VIOLENZA VA “EDUCATA”

                                                      La violenza non ha età, sesso o handicap, ma va emarginata con opportuni interventi educativi

10982449_862017033844226_6833828766607449138_nÈ di ieri la notizia dell’arresto di due operatori di una cooperativa, che si occupa di trasporto di persone con disabilità, che hanno preso a calci e pugni una ragazzo autistico dopo una crisi durante un viaggio. Il giorno prima stessa sorte era capitata ad una educatrice di un nido d’infanzia colta in fragranza di reato dalle telecamere che ne avevano colto delle drammatiche sequenze di vessazioni fisiche e morali nei confronti di bambini molto piccoli, di uno e tre anni. Nel riportare le notizie innanzitutto ci siamo guardati bene dal sottolineare i luoghi dove sono state commesse queste violenze poiché ai nostri fini non ha alcun senso dare un indirizzo alla stoltezza umana che è presente ad ogni latitudine. Lo stesso si dovrebbe fare in riferimento ad altri accadimenti che invece vengono marchiati di razzismo geografico. Non ci piace nemmeno etichettare i protagonisti di queste squallide, questo si, vicende poiché non ci affascina il facile populismo che non ci restituisce certo giustizia e ne tantomeno va alla radice del problema. Però, da umani, ci viene difficile rimanere completamente distaccati dalla vicenda e, immedesimandoci nei genitori dei ragazzi colpiti da quest’assurda violenza, un senso di irrequietezza non potrebbe ipocritamente essere taciuto. Il minimo che ci verrebbe in mente è quello di restituire pan per focaccia visto che Santi non siamo e non sappiamo porgere l’altra guancia, ma ciò servirebbe ad ingenerare altra violenza senza nemmeno affrontare e risolvere il problema, fonte di questo articolo. Non credo sia il caso di ingenerare particolarismi tra i due fatti: la violenza è una, tout court, non può avere un fine piuttosto che un altro. Non è la diversità a scatenare la violenza. La violenza non ha colore, religione, età, sesso o handicap, ma la violenza è innata, agevolata da particolari condizioni socio-economiche e culturali.

Semmai esiste una violenza codarda, vile, la vigliaccheria di chi colpisce una donna, un bambino o una persona con disabilità, un vecchio perché sa di poterne avere la meglio. È talmente innata o strumentalmente indotta che nessuno ha finora trovato una soluzione, o per meglio dire ha voluto trovare una soluzione preventiva o correttiva che si sia dimostrata sicuramente efficace per arginare eventi violenti. Negli Stati Uniti si va affermando il principio della tolleranza zero, mentre in paesi come l’Olanda, la Scandinavia e la Svizzera, la creazione di un diffuso benessere, l’alto livello di scolarità e, insieme a questo, una politica di tolleranza nei confronti di talune forme di devianza giovanile (quale l’uso di droghe) sembrano, strettamente uniti a forme differenziate e capillari di controllo sociale, aver dato buoni risultati anche per quanto riguarda la prevenzione di una parte almeno dei crimini violenti giovanili. Altri attribuirebbero una funzione positiva agli spettacoli violenti, in quanto agirebbero in senso catartico e fornirebbero obiettivi innocui su cui dirigere innate pulsioni aggressive. Così urla e scontri negli stadi di calcio non farebbero altro che evacuare su un terreno innocuo, quello di calcio, le piccole frustrazioni di un’intera settimana di lavoro e ansie familiari. Niente di più errato poiché l’aggressività, per quanto risponda a predisposizioni biologiche, può essere agevolata da fenomeni di emulazione.

La violenza ingenera violenza anche se espressa in modo simbolico. Un bambino nevroticamente disturbato e geloso, per esempio, diventa non già meno aggressivo ma più aggressivo se lo si incoraggia a dar pugni ogni giorno a una bambola di gomma. A questo si aggiunge lo studio degli effetti dell’esposizione dei bambini a scene di forte e reale violenza, soprattutto nell’ambito di conflitti famigliari: è stato ben dimostrato che questo tipo di esperienza precoce tende a produrre una tendenza alla violenza fisica, soprattutto nei maschi, a partire dall’adolescenza. Questi esempi possono essere sufficienti a dimostrare come la violenza nelle moderne società occidentali sia un fenomeno estremamente complesso e moralmente ambiguo, di cui è impossibile fornire una spiegazione adeguata analizzandone esclusivamente le cause, o focalizzando l’attenzione solo sulla personalità degli offensori e sulle loro motivazioni. Le radici della violenza vengono attribuite a più fattori: frustrazione o aggressività di gruppo, odio e gelosia, dipendenze, religione ecc, ma sono tutti fattori che hanno una stessa genesi, il nostro io. Ma l’io è ricolmo anche di comportamenti altruistici e ciò indica che gli esseri umani vengono al mondo con tendenze all’aggressività ma anche con tendenze alla cooperazione e all’altruismo.

Allora se è superficiale concepire l’aggressività umana come istintiva, bisogna metter sul piatto della bilancia il tipo di educazione che viene impartita nella nostra società che ha, in generale, l’effetto di potenziare le tendenze all’aggressività e di indebolire o addirittura di atrofizzare quelle alla cooperazione e all’altruismo. I genitori che colpiscono ripetutamente il proprio figliolo lo educano alla violenza ed il bambino sarà propenso a rispondere con calci e pugni; i genitori che distinguono le attività dei maschietti da quelle delle femminucce stanno “regalando” alla società dei bambini “maschilisti” e bambine frustrate; e così per i bambini che subiscono violenze sessuali, ecc. Modelli di familismo amorale e di società competitiva proiettano il prossimo come un concorrente, un nemico, un rivale da cui difendersi, da sopraffare. Da tale modello di vita deriva inesorabilmente il mondo in cui viviamo, fatto di ingiustizia, di incomprensione, di sfruttamento, di guerre, di massacri. La tendenza all’aggressività, alla violenza, possono e devono essere invece corretti attraverso interventi educativi che canalizzano gli atteggiamenti altruistici e defenestrano atteggiamenti e fattori socioculturali alla base di comportamenti distruttivi.  L’aggressività si può e si deve emarginare sul piano dello sviluppo psicologico dell’individuo e, naturalmente, dei fattori socioculturali che lo condizionano.

Davide Franceschiello – sociologo ANS


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