LA VIOLENZA DI GENERE NEL CONTESTO SOCIALE
Per poter tracciare un realistico profilo della donna vittima di violenza, non ci si può soffermare solo al nostro contesto culturale, cioè quello del Sud d’Italia.
Una visione realistica possiamo averla nel momento in cui, rappresentando le caratteristiche in modo omogeneo e diffuso sul territorio nazionale, siamo in grado di cogliere le sfumature che identificano il problema nella sua connotazione meridionale.
Non penso assolutamente che gli uomini del Sud siano più violenti, meno sensibili o meno comprensivi degli uomini del settentrione: la società è composta genericamente da uomini intelligenti, poco acuti, gentili, molto sgradevoli, lavoratori, parassiti sociali, rispettosi, irrispettosi, onesti, disonesti… e si può continuare così per molto, riuscendo a cogliere tutte le caratteristiche del genere maschile.
Il punto è comprendere, invece, se ci sono, e quali sono, le differenze che riguardano le donne meridionali rispetto al resto d’Italia.
Ed ancora, il punto è comprendere cosa rende le donne del nostro contesto culturale più vulnerabili, relativamente alla violenza che viene perpetrata nei loro confronti tutti i giorni, a qualsiasi ora,
Per violenza sessuale vengono considerate le situazioni in cui la donna è costretta a fare o a subìre, contro la propria volontà, atti sessuali di vario tipo.
La violenza fisica è graduata: dalle forme più lievi a quelle più gravi, si va dalla minaccia di essere colpita fisicamente all’essere spinta, afferrata, strattonata, colpita con oggetti, schiaffeggiata, presa a calci, pugni, morsi, ed ancora ai tentativi di strangolamento, soffocamento e ustione, ed infine alla minaccia con armi. Le forme di violenza psicologica e emotiva evidenziano le denigrazioni, il controllo dei comportamenti, le strategie di isolamento, le intimidazioni, le forti limitazioni economiche subìte da parte del partner, i soprusi e le prevaricazioni in ambito lavorativo subìti da parte del datore di lavoro, la modulazione dei toni della voce che scuote ed intimidisce, già di per sé, a livello emozionale creando sentimenti di paura, incertezza e sfiducia.
Molto diffuse le violenze tra le mura domestiche che, però, molto spesso non vengono percepite come tali.
Solo il 18[%] delle donne è consapevole che ciò che ha subìto è un reato, il 44[%] lo giudica semplicemente “qualcosa di sbagliato” e ben il 36[%] solo “qualcosa che è accaduto”.
Considerando che la violenza è anche una rappresentazione di forza fisica in cui, inevitabilmente, la donna è soccombente, vi sono tutte le forme di violenza psicologica in cui ci potremmo aspettare da parte sua, una reazione, una presa d’atto, una strategia per modificare i termini in cui questo tipo di violenza prolifera.
Quando questo non avviene è perché entrano in gioco elementi importanti, spesso esterni alla donna, che rappresentano problemi di difficile risoluzione.
La mancanza di autonomia economica, che vede le donne meridionali tra le più penalizzate, è uno di questi elementi. Considerando, poi, che il tasso di scolarizzazione dell’Italia meridionale è molto alto, il divario tra aspettative e realtà occupazionale costituisce un nodo spesso frustrante, che rende la donna fragile, impotente e talvolta inconsapevole delle proprie reali capacità professionali.
Proprio al Sud, infatti, si concentra il maggior numero di donne che, a lungo andare, smettono di cercare un lavoro, ritenendo più opportuno e meno mortificante, rispetto ad un rifiuto, concentrare tutte le proprie risorse all’interno della propria casa, limitandosi a svolgere il classico ruolo di moglie e madre.
Dati precisi (SVIMEZ) ci consentono di porre, invece, l’accento sulla forte penalizzazione professionale che colpisce le donne meridionali creando un divario territoriale, generazionale e di genere.
Soprattutto oggi, le giovani donne meridionali vivono un curioso ed angosciante paradosso, quello di essere la punta più avanzata della “modernizzazione” del Sud d’Italia, persino sul piano civile, poiché hanno investito in un percorso di formazione e di conoscenza che le rende depositarie di quel “capitale umano” che serve per competere nel mondo oggi e, allo stesso tempo, le vittime designate di una società stagnante ed ingiusta che, inevitabilmente, le sottoutilizza, le rende marginali o le “espelle”.
Non avendo, dunque, sufficienti risorse economiche per investire su un eventuale progetto di affrancamento dalla sofferenza, cioè potersi allontanare dall’ambiente in cui la propria vita non è più degna di essere qualificata come tale, la donna compie scelte “forzate” rimanendo al proprio posto e subendo angherìe e soprusi di ogni genere.
Ma di scelte forzate possiamo parlare anche quando, pur avendo un lavoro, la donna si ritrova a dover subìre violenza nel proprio ambito professionale. Avanzamenti di carriera o, semplicemente, mantenimento del posto di lavoro, passano attraverso l’esercizio frequente di violenza psicologica.
Anche nel luogo di lavoro le donne non possono stare tranquille perché spesso, oltre ad avere subìto violenze di tipo emotivo, per esempio con un tono di voce non adeguato alle circostanze, si ritrovano ad essere pedinate o oggetto di telefonate oscene.
Dobbiamo, purtroppo, considerare che circa la metà delle donne tra i 14 ed i 65 anni ha dichiarato di avere subìto, almeno una volta nella vita, molestie o ricatti nel luogo di lavoro. Ed ancora, tra i 16 ed i 50 anni le donne muoiono più per violenza che per malattia o incidenti stradali.
Vergogna, senso di colpa o paura di ritorsioni le trattengono non solo dallo sporgere denuncia ma anche solo dal parlarne.Bisogna anche affrontare un altro nodo, ponendosi una domanda: “Perché la questione della violenza di genere al Sud emerge molto poco?”.
In fondo ci si potrebbe rivolgere alla forze dell’ordine, denunciare la violenza subìta ed intraprendere un percorso con una soluzione “legale” del problema.
Troppo semplice, perché nonostante esistano autorità competenti, enti ed uffici, sia pubblici che privati, preposti all’ascolto ed alla raccolta di eventuali denunce, dobbiamo, ancora una volta, considerare altre variabili ostative.
Il concetto di famiglia, per la donna meridionale, è ancora carico e ricco di significati di valore, da qui la considerazione immediata che, se anche la famiglia che vive attorno ad una donna che subisce violenza, non partecipa attivamente al processo di comprensione ma, piuttosto, favorisce il silenzio, sarà davvero molto complicato per la donna stessa uscire dall’ambito “protettivo” in cui vive.
Dunque all’origine di una mancata segnalazione di violenza subìta, vi è proprio un problema culturale, laddove vi sono donne che non si sentono pronte a denunciare, e piuttosto che intaccare la propria immagine pubblica, screditandola, si accontentano di subìre.
Ma non si tratta solo di immagine, anche la solitudine costituisce uno spauracchio da cui tenersi lontane, quando si vivono problemi di grave portata ci si sente sole al mondo, la percezione dell’esterno è deformata, la strada più accettabile sembra quella del silenzio. Ma sono i singoli e la collettività che devono urlare per lei e farle sentire la propria presenza e la possibilità di modificare le cose.
Anche i più piccoli segnali ci devono far riflettere, aumentare la disponibilità verso queste mute richieste di aiuto, sensibilizzare ulteriormente tutta la società ma, soprattutto, rendersi disponibili all’ascolto semplice ed immediato anche delle donne a noi vicine.