LA SOPRAFFAZIONE DEI MEDIA E L’ODIO OMICIDA DEI FIGLI

RAO 30 ottobre 2015A far emergere tutta la fragilità di cui oggi la famiglia soffre bastano pochissimi istanti. La dinamica quotidiana del tessuto sociale in cui viviamo non è più ordinata dai valori e conseguentemente ogni “reazione” diviene imprevedibile. Il complesso ruolo svolto dalle regole, sempre meno praticato dalle persone nel contesto sociale,  oggi sembra essere una normale evoluzione, invece è la peggiore delle sconfitte che l’umanità abbia mai subito. L’impianto strutturale che ruota intorno ad ogni essere umano, sembrerebbe avere un solo credo: tutto è possibile. Questi atteggiamenti, largamente diffusi all’interno di tutte le fasce d’età, senza distinzione di sesso, hanno una origine ben chiara: dalla penuria di educazione, indispensabile nei confronti delle persone più adulte e tra i pari, alla diffusa presunzione generata dal non voler tenere in considerazione i compiti che ognuno deve svolgere all’interno della società in cui vive al fine di raggiungere una pacifica convivenza, volta soprattutto all’incremento dell’inclusione sociale, senza alimentare quella volontà di sopraffazione predicata principalmente dai media e praticata in ogni contesto sociale per cercare sempre e comunque la vittoria su tutti e tutto. La tragedia di cui oggi si parla, dove a svolgere il ruolo determinante è stata una minorenne, per giunta figlia della vittima, attraverso una premeditata azione, apre alla nostra mente una serie di interrogativi di non facile soluzione. Con l’intento di avviare una riflessione, volta ad essere sviluppata ed ampliata, intendo soffermarmi sul rapporto genitori-figli e sulla crescente quantità di libertà concessa agli adolescenti. L’abbandono del modello definito “famiglia normativa” a favore della “famiglia affettiva” è la causa possibile di un cortocircuito sociale che continuerà a generare tragiche pagine di cronaca soprattutto ad opera di minori in quanto la soglia di libertà vissuta sarà sempre minore della libertà desiderata da ogni singolo adolescente. Passando da un sistema in cui esisteva una gerarchia ben definita, a volte esercitata anche dai nonni, sino a giungere all’attuale modello di gestione familiare, apparentemente governato dall’affettività ma in realtà  sorretto dalla paura di perdere il rapporto con i figli, troviamo tutti gli ingredienti utili a dipanare i dubbi e le paure presenti nella quotidianità dei genitori. Gli attori coinvolti in questa vicenda, hanno ben compreso il significato della tensione che esiste e persiste all’interno della famiglia e, per questo motivo, si sceglie volutamente di non comunicare all’interno della stessa, scegliendo di avere un televisore per ogni stanza della casa per non litigare sulla scelta dei programmi; un telefono per ogni persona per essere sempre raggiungibile; una macchina sempre a disposizione per non dipendere dagli altri componenti della famiglia. Tali scelte, da una parte spingono i giovani a trovare al di fuori del segmento familiare quelle risposte che comunemente solo la famiglia dovrebbe fornire attraverso il confronto, dall’altra vengono utilizzate per mantenere la temperatura bassa a seguito di litigi e incomprensioni, apparendo al mondo esterno come la “famiglia del Mulino Bianco”. Difatti, quando un giovane  all’interno delle  mura  domestiche  soffre  la mancanza del dialogo quotidiano, inteso non solo come comunicazione tra genitori e figli, ma anche come la più basilare della forme di democrazia, diviene maggiormente soggetto a  condizioni di conflitto interiore che, nel tempo, indeboliranno il carattere rendendolo suscettibile dell’influenza vincolante proveniente dal gruppo amicale frequentato. Tutto ciò comprometterà gli impegni scolastici perché nessuno potrà controllare  e contraddire l’agire quotidiano. A ciò si aggiungerà l’isolamento familiare, dettato sia dalla mancanza di comunicazione ma soprattutto dagli impegni di lavoro dei genitori. Rimanendo sempre più tempo a casa da solo o in presenza di fratelli e sorelle, un giovane sarà sottratto al controllo genitoriale e all’adempimento dei propri doveri scolastici, in quanto l’attenzione verrà polarizzata verso altri interessi: telefonate lunghissime, chat con diversi “amici” e scorpacciate di televisione. Proprio questa fase sarà il punto del non ritorno. In tale sede verrà conferito al gruppo frequentato la caratteristica di unico riferimento da seguire ed imitare, soprattutto nell’accettare le regole  imposte   in   quanto:   “la  non  condivisione  ne  comporterà l’esclusione”. Le generazioni passate vivevano con paura l’esclusione dal gruppo amicale frequentato. Le generazioni attuali, hanno traslato la curva dell’amicizia reale verso una nuova meta chiamata amicizia virtuale  e perciò non possono accettare l’idea di essere “disconnessi” dalla rete in quanto tale azione tradirebbe le aspettative nutrite degli amici avvertendo il senso dell’esclusione. Alla luce di quanto esposto, potrebbe risultare naturale il motivo per cui l’immaturità oggi sia una moneta corrente nella società contemporanea. Purtroppo, spesso sono immaturi anche gli adulti e di conseguenza saranno ancor di più immaturi gli adolescenti. La permissività odierna di un modello educativo praticato  sia nella famiglia sia nel contesto sociale è unicamente indirizzato verso lo status symbol.  Nella necessità di apparire anziché in quella di essere. Per poter gridare la massima felicità basterà essere in possesso di capi d’abbigliamento firmati, scarpe costosissime, smartphone di ultimissima generazione senza più doversi preoccupare del valore aggiunto rappresentato dai “valori”. A ciò si è diffuso un costante rifiuto per il sacrificio e all’accettazione di eventuali sconfitte, indispensabile alla crescita ed al miglioramento personale. Anche in tali casi la famiglia ha grandi responsabilità. Si pensi al “cattivo” rapporto nutrito da moltissimi genitori nei confronti degli insegnanti più rigidi attraverso varie escamotage volte a sottrarre i pargoli dal dovere assistiamo a trasferimenti di classe e di scuola per paura di vedere bocciati quei ragazzi che non intendono impegnarsi nel loro compito di studenti.  Ecco perché, quando insorgono contrasti sia all’interno del nucleo familiare sia nel gruppo amicale frequentato, spesse volte l’epilogo è triste. Non si accetta la sconfitta perché quotidianamente non viene messa in conto. Le incomprensioni familiari che non trovano soluzione ma che vengono di volta in volta represse con risposte del tipo: “o cambi o quella è la porta”(1) conducono i genitori ad un atteggiamento utilizzato più per disperazione che per avviare una soluzione. Tali scelte “poco educative” divengono la base di un logorio tra i componenti  della  famiglia proiettata verso una convivenza forzata, soprattutto perché subentra una fortissima ed evidente contraddizione: i genitori da una parte garantiscono ai loro figli l’impossibile per poi confrontarsi in maniera superficiale e quindi conoscendoli pochissimo. Dall’altra, non riuscendo a punirli per paura di perderli si diviene complici nel sottrarli sempre e comunque da qualsiasi difficoltà. Purtroppo sono proprio queste  azioni protettive a generare il più grande dei mali nei confronti dell’adolescenza. Sino a quanto si continuerà ad attribuire un’importanza marginale al disagio adolescenziale e le agenzie educative non riusciranno ad utilizzare lo stesso metodo per “educare” i nostri ragazzi, saremo costretti ad assistere a fatti come quelli accaduti a Melito Porto Salvo, dove una famiglia è stata distrutta nel silenzio assordante vissuto da una adolescente che forse aveva paura di essere derisa da qualche amica.

 

Francesco Rao  sociologo – ( Dirigente  del  Dipartimento Calabria Associazione Nazionale Sociologi)

 

  • Andreoli, Lettera ad un adolescente, Rizzoli, Milano, 2004, pag. 22

 


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