LA SOLITUDINE DEL PAZIENTE AFFETTO DA CORONA VIRUS

TESTIMONIANZE DAL FRONTE ANTI VIRUS

Quando si decide di ricoverare un paziente nei reparti COVID ciò che non viene esplicitato ai parenti, ma forse neppure al paziente, è la solitudine.

Già in ambulanza è solo, nessun parente può stare con lui, o con lei, per quanto male stia o per quanto spaventata o sofferente sia. Il pericolo di contagio è troppo alto.

Se si dovesse recare con estrema fatica, come talvolta avviene, in pronto soccorso coi propri mezzi, è, anche in questo caso solo, isolato in una stanza, con mascherina, senza poter bere e mangiare, una stanza scarna senza suppellettili, magari con una flebo in un braccio in attesa per ore o giorni di una qualche decisione: ricoverato o dimesso. Se ha la fortuna di avere un telefono, di stare abbastanza bene per riuscire ad usarlo può comunicare, ma se ha febbre o delirio, o non ha ricarica telefonica o carica-batterie è l’isolamento totale: il paziente si sente in una bolla senza tempo.

Capita che ti chiedano spesso: che giorno è? Che ore sono?

Ti ricoverano: entri nel nucleo COVID. Forse neppure i medici di famiglia sanno che il nucleo COVID è blindato.Nessuno può entrare, nessuno può uscire.

I medici di famiglia non possono entrare, possono chiedere solo informazioni telefoniche ai medici riguardo i loro assistiti. I parenti non possono neppure venire di persona a chiedere informazioni. C’è un rigido orario, una sola volta al giorno il parente designato, identificato e non quarantenato, cosa praticamente rarissima, può venire a portare un cambio. Cosa che si risolve con 1 numero, un sacchetto passato da una mano guantata all’altra.

Il privilegio-destino di questo posto letto è tutt’altro che scontato.

Dal nucleo COVID si può uscire solo in 2 modi: per dimissione o in un sacco nero

La dimissione può avvenire verso casa, e in questo caso è andata bene, ci aspetta la quarantena,ancora soli, almeno per 2 settimane se va bene. Non si firma la cartella per auto-dimissione: ci sono implicazioni penali.Alcuni non ce la faranno: quanti?

IL MALATO GRAVE ISOLATO E LA COMUNICAZIONE CON LA FAMIGLIA

I parenti chiamano, chiamano tutti i giorni, è un loro diritto, ci sono fasce orarie per le chiamate ma non è sufficiente.

I parenti di solito sono isolati in case lontane gli uni dagli altri, e questo comporta che per un papà o una mamma malato magari ci sono 3 o 4 telefonate ogni giorno: difficile conoscere tutti, difficile tenere testa a tutti. Di solito le prime telefonate sono le più difficili da gestire oserei dire inquisitorie: che farmaci usate? Che terapia state facendo, usate i farmaci più costosi o solo quelli di serie B? Il mio medico di base vuole che sia prescritto il farmaco che hanno mostrato in televisione a Napoli.

Perché non usate il farmaco dei giapponesi quello che non fa infettare? Allo Spallanzani non hanno avuto morti siete in contatto con loro? Chi decide le terapie? La televisione  dice che non si deve dare il cortisone e non si devono usare gli antiinfiammatori…Poi per fortuna il colloquio si sposta sulle condizioni del congiunto.

Abbiamo quindi deciso per le video-chiamate che portavano la discussione sul piano umano ed al contempo mostrassero il buono stato del paziente e di conseguenza i buoni effetti delle cure.

Organizziamo per una video-chiamata con orario concordato in un momento che il paziente sia nelle condizioni ottimali per rispondere, pulito, senza febbre. Cerchiamo di renderlo presentabile alla famiglia, barbato, lavato, con la maschera dell’ossigeno pulita.

Usiamo WhatsApp e mettiamo in comunicazione tutti componenti della famiglia con video- chiamata.

Il caposala partecipa alla video chiamata, utilizziamo l’IPad del reparto, adagiato sull’addome del paziente, momenti di commozione intensa, si salutano, si mandano baci, auguri.

L’isolamento è interrotto per fortuna almeno per oggi.

SociologiaOnWeb


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